Siamo il paese in cui la crisi ha massacrato i giovani, dal 2009 a oggi il tasso di disoccupazione giovanile è schizzato al 40% e le persone sotto i 39 anni sono quelle che hanno visto diminuire in modo drammatico la partecipazione alla massa salariale. Conosciamo bene i nostri fondamentali che ci collocano come fanalino di coda dei Paesi occidentali: debito pubblico altissimo, produttività che non cresce dal 1995 e relativi redditi bassi, tasso di occupazione inchiodato al 57%, dispersione scolastica elevata, povertà che cresce soprattutto colpendo le fasce giovanili, saldi demografici negativi.
Insomma, sempre più giovani appartengono a quella che Ricolfi definisce la terza società, quella degli esclusi, di coloro che non hanno mai trovato una reale rappresentanza le persone che non hanno un impiego pur essendo disposte a lavorare, ma anche di chi lavora in nero, senza le minime garanzie riconosciute ormai anche ai cosiddetti lavoratori atipici. Tutti parlano dei problemi dei giovani, politici nazionali e territoriali, sindacati e associazioni datoriali, ma la percezione è, da un lato, che pochissimi tra questi li conoscano e, dall’altro, che non ci sia alcuna capacità di rendere effettiva la priorità di investire su di loro.
Per questo ci vuole un Piano Marshall il cui unico criterio è l’obiettivo di sostenere il futuro dei giovani, quindi un insieme di misure coordinate tra di loro, fortemente sburocratizzate, con possibilità di correggere rapidamente in corsa gli strumenti dove non funzionano.
Una prima proposta può essere incentrata su 4 leve: la leva fiscale, la leva di welfare, la leva del sistema educativo e la leva delle politiche attive.
Dal declino dell’Occidente ci si salva investendo sui giovani
Dario Odifreddi, Linkiesta, 18 novembre 2016