La seconda ondata Covid sta suscitando proteste e disordini in tutta Europa. Alla base del profondo disagio sociale vi è l’intreccio «perverso» fra il problema sanitario e quello economico. Ciò che si deve fare per contenere i contagi danneggia l’economia. Senza contenimenti, la pandemia fa però saltare le strutture sanitarie. Peggiora le cose la struttura «a buchi» di entrambi i rischi, che colpiscono categorie produttive, fasce d’età e aree territoriali in modo differenziato, rendendo più difficile la composizione degli interessi.
Nella prima ondata i due rischi si sono presentati in sequenza. A marzo, il pericolo di ammalarsi era una preoccupazione reale e quotidiana per tutti i cittadini. Il rischio di perdere reddito e lavoro era prevedibile, ma meno immediato. A giugno il rischio sanitario è diminuito (qualche esperto diceva che il virus era clinicamente scomparso), mentre le perdite economiche si sono manifestate in tutta la loro intensità. Secondo le stime della Commissione, alcune regioni italiane hanno registrato un calo di Pil fra i più elevati d’Europa, soprattutto nei comparti del commercio, dei trasporti e del turismo.
A settembre, il rischio sanitario è improvvisamente risalito in un contesto ancora imbevuto di disagio economico. L’alta percentuale di asintomatici, la (supposta) diminuzione della carica virale, i bassi tassi di ricovero in terapia intensiva e di letalità hanno tuttavia attutito la percezione del pericolo. La prospettiva di ulteriori perdite economiche ha invece amplificato i timori per un nuovo lockdown da parte di quelle categorie già seriamente colpite.
Il divario di percezione fra i due rischi è particolarmente alto in Italia per una serie di fattori. Abbiamo una maggiore quantità di lavoratori autonomi: la più alta in Europa all’interno dei comparti sottoposti a lockdown la primavera scorsa, dopo la Polonia. C’è inoltre un’ampia economia sommersa senza tutele e un’alta percentuale di famiglie monoreddito con figli. Il rischio di cadere in un buco economico è molto più alto che in altri Paesi. Aggiungiamo i ritardi e le inefficienze già sperimentate nell’erogazione dei sussidi pubblici e la gravità del caso italiano emerge in tutta la sua evidenza.
I tentennamenti della politica sono comprensibili, ma il tempo per le decisioni sta per scadere. La strategia più efficace sarebbe quella di risposte differenziate in base all’intensità di ciascuno dei due rischi. L’alternativa è quella di provvedimenti lineari: divieti generalizzati e «ristori» a pioggia, il più possibile automatici. Ciò che sta succedendo in questi giorni.
In campo sanitario, se i divieti parziali non bastano c’è sempre il lockdown. Per quanto tragico sia questo scenario, potremo andare avanti con cicli di chiusure e aperture fino a quando arriverà il vaccino o si raggiungerà l’immunità di gregge. Ma non possiamo fare lo stesso in campo economico. Una eventuale sequenza di ristori compensativi attenuerebbe le conseguenze sociali delle chiusure, ma non arresterebbe il soffocamento progressivo dell’economia.
Su questo secondo fronte, il governo dovrebbe sforzarsi di adottare la prima strategia. Agli interventi selettivi andrebbero peraltro aggiunti incentivi per l’adattamento al mondo post-Covid. Possiamo imparare da altri Paesi (Germania, Francia, Olanda, gli scandinavi) che già in risposta alla prima ondata hanno cercato di collegare gli aiuti ad attività di riqualificazione professionale. Un esempio per tutti. Oltre ai ristori temporanei, l’Olanda ha deciso di investire quasi 1% del Pil in un pacchetto d’iniziative denominato «I Paesi Bassi continuano ad apprendere»: formazione per i lavoratori sospesi, schemi di ricollocamento lavorativo, rafforzamento dei canali di transizione scuola-lavoro, apprendistati online, sussidi agli studenti universitari. L’idea di fondo è che alla riduzione dei danni economici debba affiancarsi già adesso l’apertura di nuove opportunità.
I margini per imboccare questa strada sono stretti. Alla macchina dello Stato (Regioni comprese) mancano i dati e la capacità di usarli per la scelta e l’attuazione delle misure. Da ovunque si parta, si arriva sempre lì, al nodo della pubblica amministrazione. Un governo compatto e responsabile cercherebbe di riparare la macchina anche se intorno c’è la tempesta. Molte delle iniziative utili possono però essere promosse direttamente dal mondo produttivo e dalle sue associazioni. In fondo, gli operatori sanitari hanno giocato un ruolo di primo piano nella gestione dei contagi. Le sorti dell’economia italiana meritano una mobilitazione straordinaria dei suoi principali protagonisti. Non solo per chiedere ristori, ma per far sì che le imprese e i lavoratori «continuino ad apprendere», nonostante le cicatrici inferte dalla pandemia.
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera dello scorso 28 ottobre 2020, ed è stato qui riprodotto previo consenso dell’autore