Emanuele Ferragina sul Fatto Quotidiano analizza alcune dinamiche della politica britannica che hanno implicazioni globali. Il tema è quello del capitale sociale, un concetto che ha molto influenzato il mondo politico negli ultimi vent’anni. L’analisi parte dalla campagna elettorale inglese del 2010, frangente in cui emerse la proposta di Cameron di costruire una Big Society. L’idea era semplice: servono incentivi alla partecipazione civica e alla creazione di capitale sociale per creare nuovi servizi e ridurre il ruolo dello Stato.
Tuttavia, come dimostrato dalla ricerca che ho condotto con Alessandro Arrigoni, nonostante l’idea di Big Society abbia avuto un picco di popolarità tra il 2010 e l’inizio del 2011, la strategia lanciata da Cameron è rapidamente sparita dal dibattito pubblico. Nel 2012 solo il 9% dei britannici dichiarava che la Big Society avrebbe contribuito a migliorare la qualità dei servizi sociali, mentre prevalevano gli scettici (il 73%). In aggiunta, il coinvolgimento dei britannici nel volontariato – quello che la Big Society voleva promuovere – è drasticamente calato dall’inizio della crisi.
Ma perché un’idea così intuitiva come quella della Big Society non ha convinto? La risposta è che in un periodo caratterizzato da crisi economica e crescita delle disuguaglianze, l’obiettivo di veder crescere il capitale sociale non sembra credibile ed è in contraddizione con le politiche di austerità implementate dai conservatori.
Capitale sociale, ascesa e declino: la partecipazione diminuisce con l’austerità
Emanuele Ferragina, Il Fatto Quotidiano, 21 maggio 2016