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Aprile 2023. In una lettera pubblicata sul Corriere della Sera gli studenti di 24 istituti superiori hanno chiesto «non […] di studiare meno» ma di «studiare meglio, in un ambiente sereno e fertile» in cui non ci si senta alienati ma riconosciuti nelle proprie specificità.

Marzo 2024. Un decreto ministeriale propone di aggiungere la valutazione Invalsi1 all’interno del CV dello studente. La Flc Cgil risponde chiedendo al Parlamento di “cancellare questo obbrobrio pedagogico e didattico” poiché le prove invalsi nascono unicamente come prove di valutazione di sistema e non come una valutazione degli apprendimenti dei singoli studenti. Attribuire un voto che poi figurerebbe nel CV dello studente potrebbe creare inutili pressioni negli alunni in un momento storico in cui la loro situazione appare già complicata.

Oltre i punteggi: il potenziale dei dati INVALSI che dovremmo imparare a sfruttare

Negli ultimi anni, complici anche gli effetti del Covid sulla salute mentale, tanti giovani appaiono più in difficoltà nel vivere positivamente (anche) gli ambienti scolastici. E non a caso il tema del benessere – soprattutto psicologico – è entrato in maniera sempre più forte anche nelle aule, spesso mettendo in discussione teorie decennali legate alla valutazione. Sociologi, psicologi e numerosi altri studiosi hanno iniziato ad interrogarsi sull’impatto che il sistema scuola ha sul benessere degli studenti.

Anche il nostro Laboratorio se lo è chiesto. Ne sono un esempio i due volumi pubblicati recentemente che affrontano il tema del benessere a scuola – “Welfare per le nuove generazioni” e “La sfida del digitale: innovare la scuola per promuovere l’inclusione” – ma anche la sesta puntata del podcast Oltre la Cattedra dove abbiamo scoperto, tramite l’esperienza di alcune scuole, che è possibile fare a meno dei voti.

Attraverso questo articolo cercheremo di fornire ulteriori strumenti per comprendere a che tipo di valutazione oggi sono sottoposti gli studenti e se questa sia in grado di rispondere agli obiettivi pedagogici che la scuola deve perseguire.

Che cosa vuol dire “stare bene a scuola”

Il primo passo da affrontare è quello di comprendere come la definizione di benessere possa essere applicata anche nel contesto scolastico. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il benessere “esprime la disposizione in cui l’individuo è in grado di sfruttare le proprie capacità cognitive ed emozionali per rispondere alle esigenze della routine quotidiana, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattarsi costruttivamente alle condizioni esterne e ai conflitti interni”2.

La scuola diventa un luogo di benessere quando gli studenti ci vanno volentieri, si sentono coinvolti e si riconoscono nel gruppo e nelle relazioni che si instaurano all’interno del gruppo classe (Barbagli 2024). La socialità e il rapporto con gli altri quindi rappresentano una condizione essenziale di benessere: se sto bene con i miei compagni e riesco ad instaurare relazioni di stima e confronto con i miei insegnanti, la scuola non verrà più vista solo come un dovere, ma soprattutto come un’occasione per sviluppare le mie potenzialità in un clima positivo e stimolante.

Salute mentale dei giovani: un nuovo ruolo per la scuola

In sintesi, più il clima in aula è sereno, maggiore è il benessere degli studenti. Ciò che determina il clima in classe, come abbiamo visto, sono i rapporti che intercorrono durante le ore di lezione. A scuola si costruiscono principalmente due tipi di relazioni: tra studente e studente e tra studente e insegnante.

La prima è una relazione tra pari dove entrambi i soggetti attraverso queste relazioni e scambi riescono a sviluppare una propria conoscenza basata sul confronto con gli altri. In questa relazione i protagonisti sono gli stessi studenti che, quindi, possono avere una parte attiva nella definizione del clima scolastico.

La seconda è normalmente una relazione impari poiché l’insegnante è per gli studenti un modello e un punto di riferimento di grande importanza che trasmette le proprie aspettative, stati d’animo e consapevolezze ai suoi studenti. In altre parole, con i propri comportamenti riesce ad influenzare la percezione che gli studenti hanno su sé stessi.

In questa relazione troviamo dinamiche diverse rispetto a quella tra pari. Infatti, è l’insegnante a svolgere un ruolo attivo e quindi è in grado di influenzare in positivo o in negativo il clima della classe e il benessere dei propri studenti attraverso l’utilizzo di vari strumenti a sua disposizione: primo fra tutti la valutazione.

Come funziona oggi la valutazione nella scuola italiana

Per un numero crescente di studenti la valutazione è un fattore in grado di influenzare negativamente l’esperienza scolastica e il benessere personale. Basti pensare allo stress e all’ansia che spesso precedono un compito in classe o come un semplice voto ottenuto negli ultimi mesi di scuola possa cambiare drasticamente la valutazione nella pagella finale e quindi la percezione che lo studente ha delle sue capacità.

Il DPR 122 del 2009 afferma che “la valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre […] al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo”. L’obiettivo principale della valutazione scolastica, quindi, è verificare l’apprendimento degli alunni su una determinata materia, assicurandosi che abbiano acquisito le conoscenze e le competenze previste dal programma. Tuttavia, spesso la valutazione è erroneamente vissuta dagli studenti come un giudizio su loro stessi, anziché sul loro rendimento scolastico. Questa ambiguità può generare dinamiche di competizione tra gli alunni: un compito in classe o un’interrogazione diventano l’occasione per dimostrare il proprio valore e/o per dimostrare di essere migliore di altri compagni di classe. In questo modo la valutazione non è percepita come un momento formativo e di apprendimento ma come una performance in cui non è ammesso sbagliare.

La sfida del digitale: innovare la scuola per promuovere l’inclusione

Queste dinamiche sono possibili perché ad oggi la valutazione più utilizzata nelle aule scolastiche è la valutazione tradizionale3 che utilizza giudizi sintetici: 10, 7, 4 e così via, ma anche buono, ottimo, eccetera. Questa valutazione tende a concentrarsi sulla misurazione dei risultati finali o sull’assegnazione di punteggi o voti, piuttosto che sull’analisi approfondita dei processi di apprendimento o sul feedback formativo. I criteri utilizzati per valutare sono standardizzati e uniformi: per questo motivo spesso non tengono conto della specificità degli studenti, delle loro esigenze e dei contesti di apprendimento.

Questa valutazione spesso si concentra sulla misurazione della performance degli studenti in termini di voti e punteggi; così facendo alimenta la competizione piuttosto che considerare i processi di apprendimento individuali e fornire un feedback utile per migliorare. Ciò può influenzare negativamente il benessere degli studenti, generando stress e un senso di competizione che non sempre favorisce un ambiente di apprendimento sereno e inclusivo (Corsini 2018).

Di conseguenza, viene da chiedersi: smettere di valutare i propri alunni potrebbe favorire il loro benessere? Una risposta netta non è in realtà possibile, perché la questione è complessa e sfumata.

Valutazione tradizionale o valutazione educativa?

Sempre secondo il DPR 122/2019 “al termine dell’anno conclusivo della scuola primaria, della scuola secondaria di primo grado, […] nonché al termine del secondo ciclo dell’istruzione, la scuola certifica i livelli di apprendimento raggiunti da ciascun alunno, al fine di sostenere i processi di apprendimento, di favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi, di consentire gli eventuali passaggi tra i diversi percorsi e sistemi formativi e l’inserimento nel mondo del lavoro.” Gli insegnanti sono tenuti per legge a inserire un voto in pagella agli alunni come sono tenuti a definire se la preparazione del singolo alunno è sufficiente per proseguire gli studi all’anno successivo. Ciò che la legge lascia alla discrezionalità del corpo docenti sono le modalità e i criteri di valutazione: “il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento. Detti criteri e modalità fanno parte integrante del piano dell’offerta formativa” della scuola.

In un quadro normativo che offre ai docenti la libertà di scegliere come valutare gli studenti, e in un contesto scolastico sempre più provato dagli effetti negativi della valutazione tradizionale, la letteratura ha individuato un nuovo tipo di valutazione. Questo approccio si concentra sul vero obiettivo della valutazione: monitorare l’apprendimento degli alunni per migliorare le loro conoscenze e capacità. Tale nuovo modello di valutazione si chiama valutazione educativa ed utilizza non un giudizio sintetico bensì un giudizio descrittivo, che aiuta lo studente a comprendere l’errore, il motivo all’origine di esso e come procedere per migliorare. Nella valutazione educativa il docente non attribuisce un voto all’alunno bensì una descrizione, da qui anche l’altro termine con cui è identificata questa modalità: “valutazione descrittiva”.

Oltre la cattedra: valutare, non giudicare

In pratica, un alunno quando si vede riconsegnata, ad esempio, la versione di greco non trova come valutazione un 5, un 8 e nemmeno un giudizio come buono o ottimo bensì un breve paragrafo scritto dal professore. In queste righe il docente spiega quali sono state le parti meglio svolte e quali gli errori commessi insieme a consigli su come migliorare la preparazione per riuscire, la volta successiva, a svolgere il compito in maniera più puntuale evitando di commettere gli stessi errori.

È semplice comprendere quindi come per i propri obiettivi e metodi questo tipo di valutazione si contrapponga nettamente alla valutazione tradizionale definita anche egemonica4 ponendo l’attenzione sui processi educativi piuttosto che sul voto tout court.

La valutazione educativa, infatti, si concentra sull’analisi dei risultati degli studenti, delle pratiche didattiche e dei programmi scolastici al fine di identificare i punti di forza dei singoli studenti e le aree di miglioramento.  Ciò è possibile poiché la valutazione educativa prevede una varietà di metodi di valutazione, come test, compiti, progetti, osservazioni in classe e valutazioni formative (Corsini 2018).

La valutazione educativa per il benessere a scuola

Ottenere dei giudizi descrittivi può incentivare gli studenti a migliorarsi sempre di più poiché li aiuta a comprendere dove sbagliano, focalizzandosi sul processo di apprendimento piuttosto che sul risultato finale. Il rischio della valutazione tradizionale quindi è che gli studenti vivano le valutazioni in itinere con una sensazione di ansia e stress per paura di compiere errori e quindi di ottenere un voto inferiore rispetto ai propri compagni. L’errore, però, non deve essere un punto di arresto nel percorso scolastico dello studente bensì un punto di ripartenza utile a comprendere dove migliorare.

La valutazione, tuttavia, non è in grado di operare questa rivoluzione da sola ma è necessario un cambiamento anche della didattica proposta nelle scuole: applicare la valutazione educativa senza intervenire sulla didattica non produrrebbe nessun effetto anzi sarebbe deleterio per gli alunni stessi. Per rendere l’ambiente scolastico meno competitivo e più inclusivo bisogna cambiare contemporaneamente sia il modo di insegnare sia quello di valutare.

In questo modo, la scuola può essere un luogo dove coltivare relazioni ed interessi, dove i ragazzi sono contenti di andare e sono stimolati a proseguire il proprio percorso di studi, in altre parole un luogo che mette al centro il benessere del singolo.

Riferimenti bibliografici

  • Bacchi S., Romagnoli S. (2019). La classe senza voto. I Quaderni della Ricerca, vol. 48, Loescher, Torino, pp. 87-88
  • Barbagli (2024), Imparare e stare bene a scuola, in Agostini C. (2024) a cura di. Welfare per le nuove generazioni: scuola, salute mentale e promozione del benessere. pp. 175-239.  Roma, L’asino d’oro
  • Corsini, C. (2018). Inclusione e culture valutative. In Diritti, cittadinanza, inclusione. Pensa MultiMedia, pp.85-94.
  • Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122. Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169.
  •  Giannandrea L. (2009) Valutazione come formazione: percorsi e riflessioni sulla valutazione scolastica. Macerata: EUM-Edizioni Università di Macerata, 2009, p. 268
  • Viganò R. (2017) Qualità e professione docente: la valutazione come risorsa. Edetania 52.

Note

  1. Le Prove nazionali INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) sono prove scritte svolte ogni anno da tutti gli studenti italiani delle classi previste dalla normativa. (fonte: https://www.invalsi.it/)
  2. S. Bacchi, S. Romagnoli, La classe senza voto, I Quaderni della Ricerca, vol. 48, Loescher, Torino 2019, pp. 87-88; per approfondimenti: World Health Organization, Measurement of and target-setting for well-being: an initiative by the WHO Regional Office for Europe, 2012.
  3. Per approfondire il concetto di valutazione tradizionale si veda: Viganò R. (2017) Qualità e professione docente: la valutazione come risorsa Edetania 52 e Giannandrea L. (2009) Valutazione come formazione: percorsi e riflessioni sulla valutazione scolastica. Macerata: EUM-Edizioni Università di Macerata, 2009.
  4. Termine “valutazione egemonica” è utilizzato da Cristiano Corsini in: Corsini, C. (2018). Inclusione e culture valutative. In Diritti, cittadinanza, inclusione (pp.85-94). Pensa MultiMedia.
Foto di copertina: athree23, Pixabay.com