Lo sapevamo: qualunque sia l’ambito, la sperimentazione procede per tentativi ed errori, soprattutto quando il terreno su cui fare presa è in perenne evoluzione, come un ghiacciaio che si scioglie a velocità impreviste. È così anche nel caso della didattica digitale. Device e strumenti evolvono con passo inatteso, app e tools si aggiungono gli uni alle altre, e la scuola affronta così un paradosso: gli studenti sono più avanti dei professori.
Qui, nell’area della didattica digitale integrata di cui ci occupiamo in questa serie #OltrelaDad (qui la prima e la seconda puntata), non vale la logica di un sapere “trasmissivo”. Qui non esistono cattedre. Occorre assumere un’altra postura, collaborativa, paritetica. Entrare in ascolto dei bisogni e indugiare sulle domande più che affrettarsi a dare risposte. Serve insomma mettersi su una traiettoria antica, che in Italia va da Mario Lodi a don Lorenzo Milani, da Maria Montessori a Danilo Dolci. Sperimentatori in un tempo analogico e attualissimi maestri di metodo.
È la logica dalla quale nasce Avanguardie Educative, raggruppamento di Istituti scolastici che da qualche anno svolge sperimentazioni in tema di tecnologie didattiche su iniziativa di Indire, l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. Indire ha prima promosso un’attività di ricerca-azione, che è stata una sorta di call sull’innovazione nel mondo scolastico. Da qui Avanguardie Educative è diventato un vero e proprio movimento, nato ufficialmente il 6 novembre 2014 a Genova, quando le 22 scuole che fino a quel momento avevano sperimentato l’attuazione di proposte innovative (le cosiddette Idee) hanno sottoscritto insieme a Indire un “Manifesto programmatico per l’innovazione“.
Le scuole coinvolte: i numeri
Oggi Avanguardie Educative conta complessivamente 1.362 scuole aderenti fra “fondatrici”, “capofila delle Idee”, “adottanti” e “poli regionali”. È uno schieramento a geometria variabile, in cui ciascun istituto può avere ruoli diversi.
Le 22 scuole fondatrici, come detto, sono le firmatarie del manifesto. Quelle “capofila delle Idee” (66 in tutto) hanno sperimentato con successo le Idee del Movimento e possono ora accompagnare altri Istituti. Le “scuole adottanti” (complessivamente 1.274) sono invece quelle che aderiscono al Movimento perché si riconoscono nei suoi principi e stanno sperimentando una o più Idee. Infine, le “scuole polo regionali” (39 in tutto), selezionate attraverso un bando dedicato, sono chiamate a curare attività volte a: 1) garantire la diffusione sul territorio dei principi di innovazione promossi dal manifesto; 2) contribuire all’individuazione di nuove esperienze di innovazione; 3) promuovere e supportare l’adozione delle Idee, anche con l’ausilio degli esperti formatori. Una rete che sviluppa know how e lo trasmette da un nodo all’altro per osmosi.
Il manifesto: 7 punti per cambiare postura
Il manifesto programmatico di Avanguardie Innovative si articola in 7 punti. Vanno letti con sguardo panoramico, per comprenderne la logica di fondo, che è proprio quella che si diceva in esordio: un cambio di postura.
Non a caso il primo punto propone di “trasformare il modello trasmissivo della scuola”, partendo dall’idea di fondo secondo cui la scuola basata sul trasferimento verticale delle conoscenze sia ormai anacronistica. Al giorno d’oggi – e forse da sempre – la lezione dovrebbe costituirsi come una grande e continua attività laboratoriale in cui l’insegnante è regista e facilitatore dei processi cognitivi, anche grazie all’utilizzo delle cosiddette Information and Communication Technologies (ICT).
Il secondo punto appunto di “sfruttare le opportunità aperte dall’ICT e dai linguaggi digitali per supportare nuovi modi di insegnare, apprendere e valutare”. Nella visione del Movimento, il ricorso agli strumenti digitali potenzia, arricchisce e integra l’attività didattica, stimolando l’apprendimento attivo e contribuendo a rafforzare le competenze trasversali.
Qui viene lo snodo chiave, perché appare chiaro che per i fondatori del Movimento la tecnologia è uno strumento e non un fine, e scambiare i due elettrodi rischia di non innescare il circuito della vera innovazione. Scendere dalla cattedra e avere davanti una LIM (Lavagna Interattiva Multimediale, ndr) non basta se non si ristruttura la relazione con la classe a partire da luoghi e tempi di lavoro, se non si spalmano queste nuove metodologie – le “Idee” – su uno spettro interdisciplinare che superi la logica della materia silos, e infine se non ci si apre a saperi ed esperienze che stanno fuori dal cancello.
Sono i punti seguenti del manifesto, da leggere come un “legato” su uno spartito musicale.
La necessità di “creare nuovi spazi per l’apprendimento” – terzo punto del manifesto – pone l’attenzione sulla necessità di ripensare gli spazi per l’apprendimento in base all’attività svolta. Le aule dovrebbero allora essere compatibili con forme di didattica non necessariamente “frontali”. A tali spazi si dovrebbero poi affiancare ambienti in cui restare anche oltre l’orario di lezione, destinati ad attività extracurricolari (per esempio teatro, gruppi di studio, corsi di formazione per docenti, studenti e genitori).
E la cosa si incrocia – arrivando al quarto punto – alla “riorganizzazione del tempo scuola”, cioè al superamento del “calendario scolastico”, ovvero lezioni e discipline ben parcellizzate con cura (anche) del “giorno libero”. Meno confini di spazio e di tempo, ma anche meno steccati tra saperi, compresi quelli del “mondo di fuori”.
Il quinto punto del manifesto evidenzia infatti la necessità di “riconnettere i saperi della scuola e i saperi della società della conoscenza”: è fondamentale lo sviluppo di competenze nuove non legate a specifiche discipline, ma piuttosto a una modalità di apprendere e operare in stretta connessione con la realtà circostante.
È ciò che invita a fare il sesto punto, che sottolinea la necessità di “investire sul capitale umano ripensando i rapporti”, anche esterni. Le scuole devono cioè saper individuare, nel territorio, nell’associazionismo, nelle imprese e nei luoghi informali le occasioni per arricchire la propria offerta attraverso un’innovazione continua che garantisca la qualità del sistema educativo. Una scuola aperta all’esterno instaura un percorso di cambiamento basato sul dialogo e sul confronto reciproco.
Infine, l’ultimo punto porta al centro la necessità di “promuovere l’innovazione perché sia sostenibile e trasferibile”.In questo senso, le scuole di Avanguardie devono individuare l’innovazione, connotarla e declinarla affinché sia concretamente praticabile, sostenibile e trasferibile in altre realtà, come gli uccelli di uno stormo che cambiano direzione, dandosi segnali l’un l’altro mentre vanno in pattuglia.
Le Idee per l’innovazione: 5 casi
Nel contesto di Avanguardie Educative, le “Idee” sono i segnali dello stormo, cioè le esperienze e le pratiche innovative che le scuole sperimentano e che, se di successo, diventano poi parte della “Galleria delle Idee per l’Innovazione”.
Le Idee si basano sull’innovazione di tre dimensioni: Didattica, Spazio e Tempo. Nelle parole del Movimento, la Didattica è “il motore delle scelte che impattano su Tempo e Spazio”: l’obiettivo è quello di avviare processi di cambiamento che superino sia le rigidità delle tempistiche della scuola sia i limiti fisici delle aule e degli arredi fissi, “in netto contrasto con la dinamicità dei processi cognitivi e relazionali”. Queste Idee applicano gli orizzonti teorici del Manifesto delle Avanguardie educative.
Ma che ruolo ha il digitale in queste Idee? Vediamone alcune in cui quest’aspetto è predominante.
1. Didattica per scenari
La didattica per scenari trae fondamento dal progetto iTEC – Innovative Technologies for an Engaging Classroom, una sperimentazione europea realizzata fra il 2010 e il 2014 in più di 1.000 classi di 12 Paesi, di cui 100 in Italia. I concetti cardine su cui si basa questo approccio sono 3: Learning Scenarios, Learning Activities e Learning Story.
I Learning Scenarios sono i contesti di insegnamento e apprendimento in cui l’attività prende corpo. Le specifiche attività didattiche che si portano a termine sono le Learning Activities, che possono essere pensate come i “mattoncini” necessari a realizzare lo scenario. Una volta costruiti scenari e attività didattiche, il docente realizza la Learning Story, cioè un documento di progettazione didattica in forma narrativa.
Il caso • Gli alunni della scuola primaria “Raffaello Sanzio” di Bologna hanno scoperto che su Wikipedia non era presente la voce relativa al parco vicino alla loro scuola. È nato un progetto per scrivere una pagina dedicata sull’enciclopedia online, coinvolgendo sia i compagni e gli insegnanti della scuola, sia l’assemblea del quartiere. Da qui le diverse attività. L’insegnante e gli alunni hanno dapprima individuato scopi e obiettivi delle attività, target di utenza e tempi di consegna. I bambini hanno poi effettuato indagini attraverso rilievi cartografici, documenti amministrativi e sopralluoghi. La prima bozza ha utilizzato metodologie collaborative favorite da strumenti informatici, come l’uso di cloud di archiviazione. Gli alunni hanno quindi presentato una versione della voce di Wikipedia alle altre classi e agli insegnanti della scuola, integrando le osservazioni dell’assemblea per giungere alla stesura definitiva. La valutazione finale è avvenuta coinvolgendo l’assemblea del quartiere, che ha deciso di inserire la voce su Wikipedia. |
2. La classe capovolta
Nel 2006, due docenti di chimica americani cominciarono a videoregistrare le lezioni per permettere agli studenti assenti di recuperarle a casa. Si accorsero, però, che anche gli studenti presenti in aula usavano le registrazioni come supporto per lo studio a casa. Decisero così di “capovolgere” la didattica tradizionale, usando le videolezioni al posto di quelle frontali e sfruttando il tempo in aula per realizzare dei lavori di tipo cooperativo. È nata così la flipped classroom. L’idea che sta alla base di questa metodologia è che la lezione frontale sia registrata e svolta come compito a casa, mentre il tempo in classe sia dedicato a lavori di gruppo, dibattiti e attività laboratoriali.
Il caso • Nella sezione E del Liceo classico “Melchiorre Gioia” di Piacenza si sperimenta la flipped classroom ormai da qualche anno per tutte le materie. L’istituto ha dotato ogni studente di un notebook da usare sia a scuola che a casa e, allo stesso tempo, ha formato i docenti perché producano in autonomia delle videolezioni-podcast e le rendano disponibili agli studenti attraverso un gruppo Facebook e una cartella di Google Drive. Nelle ore di didattica, gli studenti – che hanno già studiato la teoria a casa – possono dedicarsi ad attività laboratoriali, esercitazioni e discussioni. |
3. Tecnologie per l’apprendimento attivo
Il Technology Enhanced Active Learning (TEAL) è una metodologia che combina, all’interno della stessa lezione, presentazioni, simulazioni e attività laboratoriali. L’aula stessa è pensata per questo tipo di didattica ed è quindi uno spazio riconfigurabile a seconda delle necessità (lezione frontale, visione di filmati, lavori di gruppo, laboratorio). La metodologia TEAL si presta molto bene all’insegnamento di materie scientifiche, ma ci sono molti casi in cui si sta sperimentando anche per quelle umanistiche.
Il caso • Nell’IIS “Savoia Benincasa” di Ancona, le aule TEAL sono grandi spazi diversamente configurabili per poter fare lavoro di ricerca, peer teaching, condivisione dei risultati ed elaborazione grafica. Queste aule sono dotate di PC personali, LIM e servizi di cloud. Gli argomenti di fisica sono presentati nei primi minuti della lezione, per poi passare ad applicazioni pratiche: gli studenti – in gruppi – fanno gli esperimenti e riprendono i risultati. Poi, tramite software di editing video, individuano e studiano i particolari del caso di studio. Infine, il docente assegna delle domande a cui rispondere insieme in classe. |
4. Aule laboratorio disciplinari
Se la configurazione tradizionale delle aule prevede che ogni classe abbia un suo spazio, in cui gli studenti passano la maggior parte del tempo, un’aula laboratorio disciplinare è allestita appositamente per una specifica materia. Di fatto, l’aula è assegnata al docente e sono gli studenti a cambiare classe. L’insegnante può quindi predisporre lo spazio come vuole, adeguandolo a una didattica laboratoriale che utilizza device e software diversi.
L’idea alla base dell’utilizzo delle ICT in queste aule è che la tecnologia sia in grado di sviluppare dinamiche sociali e metacognitive di supporto all’apprendimento e al rapporto tra soggetto e ambiente. Insomma, la tecnologia dev’essere centrata sullo studente e deve favorire il lavoro cooperativo.
Secondo le linee guida del Movimento, ogni aula laboratorio disciplinare dovrebbe auspicabilmente offrire: 1) un device per ogni alunno; 2) un device centrale per il professore; 3) un sistema per consentire il dialogo tra device, compreso un cloud per condividere contenuti.
Il caso • L’ITTS “Alessandro Volta” di Perugia assegna a ogni docente un’aula a seconda dell’asse disciplinare di riferimento: gli spazi dedicati alla “Comunicazione” (per le materie di italiano, storia, diritto, inglese, informatica e ICT) sono distinti da quelli in cui si possono praticare attività laboratoriali (ad esempio matematica, fisica, chimica e biologia), che invece hanno delle aule dedicate. Ogni aula è dotata di proiettori che permettono di trasformare qualsiasi piano di proiezione in una superficie interattiva, isole di lavoro digitalizzate per un massimo di 4 alunni e device per ogni docente e studente. |
5. Integrazione CDD-libri di testo
A partire dall’anno scolastico 2014-2015, le scuole italiane non devono più adottare obbligatoriamente un libro di testo e possono scegliere di utilizzare contenuti autoprodotti di vario genere. Si tratta di libri, ma anche di strumenti digitali e di simulazione: i cosiddetti contenuti didattici digitali o CDD. Le scuole del Movimento che hanno adottato l’Idea dell’Integrazione CDD-libri di testo hanno quindi investito nella creazione di contenuti didattici di vario genere che possono essere prodotti dagli insegnanti anche grazie al coinvolgimento degli studenti.
Il caso • L’ITE “Enrico Tosi” di Busto Arsizio partecipa ormai da anni a Book in Progress, una rete per l’autoproduzione di materiali didattici multicanale per diverse discipline. I docenti non sono obbligati a usare i CDD, ma i contenuti sono prodotti e utilizzati da molti docenti, a cui è offerta costantemente la possibilità di formarsi. Un esempio è il progetto Cittadinanza e Costituzione, realizzato ogni anno su diversi temi. Nell’a.s. 2018-2019, si è scelto di approfondire il tema delle città sostenibili. Una classe del 2° anno ha quindi prodotto, come contenuto didattico digitale, un tour virtuale di piazza Gae Aulenti a Milano. L’esperienza ha visto coinvolti diversi insegnanti: la docente di Informatica ha tenuto un corso agli studenti sull’utilizzo delle fotocamere a 360° e delle piattaforme pensate per la realizzazione di tour virtuali, mentre i docenti di Lingua e letteratura italiana, Economia aziendale e Geografia hanno proposto approfondimenti sulla sostenibilità e sul concetto di riqualificazione delle aree urbane. I docenti di Lingue straniere hanno poi sostenuto gli studenti nella traduzione dei testi utilizzati per realizzare audio in lingue diverse. |
Un’analisi che continua
Le Idee e soluzioni saranno i temi delle prossime tre puntate di #OltrelaDad. Proveremo a raccontare quali tra le Idee di Avanguardie Educative hanno avuto spazio in tre Istituti scolastici superiori del Nord e del Centro e del Sud.
Daremo voce a tutte le parti coinvolte: docenti, studenti e genitori. Per capire chi e come sta già innovando la didattica usando il digitale come leva, ma anche a quali condizioni è possibile estendere e replicare questo patrimonio di esperienze.
#OltreLaDad
È la serie di Secondo Welfare che, partendo dai dati e dalle voci dei protagonisti della scuola, vuole capire quale sarà il futuro della didattica digitale oltre l’emergenza pandemica. Scopri la serie.