Ricorrono quest’anno i vent’anni dall’approvazione dell’importante e attesa legge 328/2000 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali. La legge quadro intendeva affrontare le diseguaglianze territoriali in materia, assai rilevanti nel nostro Paese (Fargion 1997; Kazepov 2009), definendo per la prima volta un sistema nazionale di interventi di carattere “universale” e introducendo o integrando alcuni dispositivi chiave (livelli essenziali, fondo nazionale delle politiche sociali, programmazione zonale) per la sua realizzazione. A vent’anni di distanza, il numero 3/2020 di Politiche Sociali/Social Policies avvia un bilancio dell’implementazione di questa legge, ne indaga i nodi irrisolti e si interroga sulle prospettive attuali del sistema italiano dei servizi sociali.

L’implementazione della 328 e la nuova geografia delle diseguaglianze nei servizi sociali

Il contributo introduttivo, a firma dei curatori, inquadra l’implementazione della 328 nel lungo periodo, attraverso le principali tappe che hanno segnato lo sviluppo dei servizi sociali nel nostro Paese dalla fine dell’Ottocento alla congiuntura critica che vide, più di un secolo dopo, in rapida successione, l’introduzione della legge quadro 328/0000 e la riforma del Titolo V della Costituzione. Discute, poi, le difficoltà relative al successivo processo di implementazione della legge, riconducendole a quattro principali fattori.

Innanzitutto, l’ambizioso obiettivo di perseguire una maggiore uniformità territoriale è immediatamente compromesso da alcuni limiti intrinseci della legge stessa: la mancata definizione di diritti soggettivi esigibili per i servizi sociali e la natura del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali che, pur determinando un’importante innovazione e razionalizzazione di linee di finanziamento settoriali frammentate, rimaneva non strutturale e dunque soggetta alla discrezionalità politica.

In secondo luogo, la riforma costituzionale del Titolo V, approvata della stessa maggioranza di governo nel 2001, poco dopo l’approvazione della legge quadro, ha definito la competenza esclusiva delle Regioni in materia di servizi sociali. I livelli essenziali delle prestazioni sociali previsti nella legge quadro come dispositivo di coordinamento per ridurre le differenziazioni territoriali risulterebbero addirittura rafforzati dalla riforma del Titolo V, essendo costituzionalmente riconosciuti in capo allo Stato centrale (Da Roit 2010). È tuttavia indubbio che, negli anni a seguire, il perseguimento di una politica nazionale nel settore dei servizi sociali ha conosciuto una significativa battuta di arresto (Kazepov 2009; Benassi 2012). I governi nazionali che hanno guidato il Paese dal 2001 in poi hanno infatti dispiegato una sostanziale inerzia in questo campo, anche nel periodo precedente alla grande recessione economica iniziata nel 2008, quando i margini di manovra finanziari non erano così stringenti.

Un terzo fattore fondamentale è dunque rappresentato proprio dalle dinamiche di politics. I governi nazionali di centro-destra che hanno guidato ininterrottamente il Paese negli anni duemila (eccetto la parentesi del breve e fragile governo Prodi II dal 2006 al 2008) hanno mostrato un disinteresse strategico per lo sviluppo territoriale dei servizi sociali, da un lato privilegiando una delega all’attivazione spontanea delle famiglie, delle comunità e del volontariato in risposta ai bisogni delle persone più fragili, dall’altro lasciando piena libertà alle Regioni (Vicarelli 2005). In parallelo si sono registrati trasferimenti decisamente inferiori dal livello centrale verso regioni ed enti locali comuni, pur con andamenti non lineari (Tangorra 2015), poi drasticamente esasperati dalle misure di austerity.

Il fattore finanziario assumerà dunque sempre più autonoma rilevanza, in quanto la definizione di livelli essenziali di assistenza quali diritti esigibili avrebbe determinato impegni di spesa strutturali che nessun governo ha inteso ingaggiare in una tale cornice di penuria.

Tali fattori contribuiscono a spiegare una implementazione difficoltosa della legge quadro che, nei territori, si è dovuta confrontare con orientamenti e stili di governo e di intervento tanto regionali quanto locali che nel frattempo erano andati consolidandosi in un percorso di differenziazione non coordinata centralmente, ovvero di grande frammentazione. Di questo danno conto i contributi nel numero di Politiche Sociali/Social Policies che, a partire da fuochi tematici e/o territoriali diversi, ricostruiscono un panorama sfaccettato eppure coerente di due decadi di storia della legge 328/00.

I contributi nel Focus di Politiche Sociali/Social Policies

Livia Turco, Ministro per la Solidarietà Sociale nel Governo di centro-sinistra all’epoca dell’introduzione della 328, ricostruisce nel dettaglio e con passione, nel suo intervento nella Rubrica “Welfare Italia”, il complesso percorso che portò alla definizione della legge quadro, le relazioni tra gli attori pubblici e non a livello nazionale e territoriale, le dinamiche politiche che ne accompagnarono l’approvazione, anche in relazione all’iter parlamentare, alle scadenze della legislatura, alle sorti della maggioranza di governo, evidenziando in particolare i nodi problematici originari che tuttora rimangono irrisolti, in primis la mancata identificazione dei livelli essenziali di assistenza e di risorse strutturali per garantirli.

Il contributo di D’Emilione, Giuliano e Ranieri fa il punto sulla programmazione sociale di zona, a partire da inediti dati di monitoraggio, mostrando come la legge sia sedimentata nei territori (nella gran parte degli ambiti esiste un Piano di Zona), sia pure con esiti parziali. I Piani di Zona infatti spesso arrivano a scadenza senza essere rinnovati, e vedono un’allocazione di risorse scarsa o nulla, soprattutto nei territori più fragili, come nel Sud del paese, dove la quota di autofinanziamento è inferiore alla media nazionale.

Coerentemente, il contributo di Nava e Pomatto, che analizza le dinamiche di gestione associata dei servizi sociali nel caso specifico della regione Piemonte, conferma che l’esperienza dei Piani di Zona ha favorito lo sviluppo di nuove collaborazioni tra una varietà di soggetti pubblici e del Terzo Settore. Mostra anche, però, che l’assenza di risorse economiche aggiuntive ha limitato il processo di convergenza dei sistemi di offerta, mentre l’assenza di vincoli sovraordinati non ha aiutato a superare gli scogli politici che impediscono le fusioni degli enti gestori.

La persistente diversità tra i modelli regionali, esito anche della mancata azione di armonizzazione che dalla 328 si attendeva, è esemplificata da due contributi che analizzano rispettivamente il caso lombardo e calabrese. Il contributo di Cristiano Gori esamina l’evoluzione del welfare in Lombardia in un’ottica di medio periodo, sottolineando come si sia qui consolidato un modello di welfare regionale assai lontano dallo spirito della 328, tanto nei termini di relazioni orizzontali orientate a i quasi-mercati, quanto in quelli di relazioni verticali improntate a un forte centralismo regionale in cui, tuttavia, la regione rinuncia ad agire sul versante della regolazione e a costruire rapporti fluidi con gli ambiti territoriali.

Una dinamica path-dependent che osservano anche Pascuzzi e Marcello nel ricostruire il complesso insieme di fattori strutturali, politici e culturali che ha fortemente compromesso l’implementazione della 328 in uno dei contesti regionali più fragili nel nostro Paese, la Calabria. Anche qui gli autori notano una forte centralizzazione regionale di competenze, funzioni e risorse, che ha assunto in questo caso la forma specifica della costituzione di un ente in-house (Fondazione Calabria Etica), attraverso cui la Regione ha a lungo gestito importanti partite, come il controllo del rispetto dei requisiti di funzionamento delle strutture residenziali e l’affidamento diretto della gestione di una serie di servizi al Terzo Settore perpetuando, tuttavia, lo scarso livello quantitativo e qualitativo di sviluppo del sistema dei servizi sociali.

Alle organizzazioni di Terzo Settore la 328 aveva riconosciuto un ruolo chiave non solo riguardo la gestione dei servizi, ma anche il coinvolgimento nei processi territoriali di programmazione e progettazione degli interventi. L’articolo di Lori e Zandonai mette in luce il loro crescente apporto nell’ambito dei servizi sociali, mostrando come esse impiegano una quota maggioritaria e crescente degli occupati del settore dell’assistenza sociale, ma sottolinea anche come la loro presenza sia minore proprio nei contesti nei quali la copertura pubblica è più limitata, il che rinforza – anziché compensare – le disparità territoriali che caratterizzano il nostro paese.

Infine, il contributo di Elena Vivaldi sulla legge 112/16 “Dopo di noi” nell’ambito della disabilità mostra come anche le letture settoriali rilevano analoghi punti di debolezza, e in particolare che i limiti organizzativi impediscono il pieno godimento di diritti sociali, pur quando questi siano introdotti in linea di principio.

Prospettive attuali e future

Negli ultimi anni alcuni elementi in contro-tendenza paiono indicare una nuova fase, con un crescente ruolo dello Stato centrale nella regolazione, nel finanziamento e anche nella programmazione delle politiche sociali (si pensi all’introduzione del Reddito di Inclusione prima e del Reddito di Cittadinanza poi, e all’approvazione del “Piano sociale nazionale 2018-2020”). Se gli assetti di governance multi-livello ne saranno inevitabilmente condizionati, il potenziale di armonizzazione a livello territoriale sarà, tuttavia, fortemente influenzato da come le misure nazionali si caleranno in sistemi di welfare regionali e locali consolidatisi nel tempo. Fondamentale sarà, ancora, la definizione di livelli essenziali di assistenza in qualità di diritti esigibili anche per quanto concerne i servizi sociali territoriali, per realizzare una cittadinanza sociale finalmente non più differenziata territorialmente.


Riferimenti bibliografici 

  • Benassi, D. (2012), Disuguaglianze nell’accesso al welfare, in D. Checchi (a cura di), Disuguaglianze diverse, Bologna, Il Mulino, pp. 255-286.
  • Da Roit, B. (2010), Livelli essenziali: stato del dibattito e proposte di sviluppo, in Ranci Ortigosa, E. (a cura di), Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni, I Quid, Milano, Irs, pp. 13-36.
  • Fargion, V. (1997), Geografia della cittadinanza sociale, Bologna, il Mulino.
  • Kazepov, Y. (a cura di) (2009), La dimensione territoriale delle politiche sociali in Italia, Roma, Carocci.
  • Tangorra, R. (2015), Il welfare locale in Italia: nella morsa tra deficit storici e mancanza di disegno futuro, “La rivista delle politiche sociali”, 1.
  • Vicarelli, G. (a cura di) (2015), Il malessere del welfare, Napoli, Liguori.

 


I Policy Highlights di Politiche Sociali / Social Policies Policy

Politiche Sociali / Social Policies è una rivista quadrimestrale, punto di riferimento per la conoscenza, l’analisi e il confronto sui sistemi di welfare e le politiche sociali italiane ed europee. La rivista è edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia, e da qualche mese è parte del nostro network. In forza di questa sinergia Secondo Welfare pubblica periodicamente i Policy Highlight, contributi che riprendono in maniera semplice e accessibile alcuni degli articoli pubblicati sulla rivista.