I deputati Repubblicani hanno presentato lo scorso mese un progetto di legge per apportare tagli massicci al Supplemental Nutrition Assistance Program – programma volto al contrasto della povertà alimentare – che, con un costo di 80 miliardi di dollari l’anno, viene additato come finanziariamente insostenibile. Una proposta che quasi certamente non supererà il voto al Senato ma che vale la pena conoscere meglio, per due aspetti. Innanzitutto perché rientra nel più generale scontro sul futuro del modello sociale statunitense culminato nello shutdown, un vero e proprio arresto delle attività del governo federale. In secondo luogo perché i food stamp hanno molto in comune con le social card e quei progetti contro la povertà alimentare che stanno prendendo sempre più piede anche in Italia.
Che cos’è?
Il Supplemental Nutrition Assistance Program (SNAP) è un programma federale di aiuti alimentari istituito nel 2008 con lo scopo di contrastare la povertà alimentare e, in particolare, sostenere le famiglie meno abbienti nell’acquisto di prodotti aventi un alto livello nutritivo. In realtà un programma di questo tipo esisteva già dagli anni ’40, ma era afflitto da un problema di non take up, cioè di scarsa adesione, principalmente dovuto alla “paura dello stigma”, la vergogna di ricevere cibo dal Governo. Poi nel 2008, un po’ per la crisi, un po’ per la maggior enfasi data al tema del “mangiare sano”, il programma ha visto una forte ascesa delle richieste e nel 2012 ne ha beneficiato il 15% della popolazione.
Lo SNAP consiste nell’erogazione di food stamp, cioè dei buoni – non erogati in contanti ma attraverso una carta elettronica simile a una carta di credito – spendibili nei supermercati e nei negozi di alimentari. Possono quindi essere considerati il prototipo della nostra social card e di quelle carte a punti che vengono sempre più spesso utilizzate negli empori sociali (vedi anche L’esperienza di Emporio Parma tra povertà economica e relazionale e Modena: nasce Portobello, un "market di comunità" contro la povertà alimentare).
A chi sono rivolti? I food stamp sono destinati ai cittadini meno abbienti. L’idoneità viene definita sulla base del reddito e delle risorse personali, tra cuirisparmi, proprietà, ecc. L’obiettivo è infatti quello di stimare, e di conseguenza integrare, la quota di reddito disponibile che può essere spesa in beni alimentari. I singoli Stati, a cui compete la distribuzione dei benefits, possono poi variare alcuni dei requisiti – ad esempio, il possesso di un’automobile non viene sempre conteggiato tra le risorse personali. Vi sono poi norme speciali per over 60 e disabili. Il programma è aperto anche ai cittadini immigrati residenti nel Paese da almeno cinque anni, ai minori di 18 anni e ai rifugiati (i non-cittadini statunitensi rappresentano comunque solo il 4%). Un’attenzione speciale è riservata, come vedremo meglio più avanti, ai bambini, tant’è che il programma è accessibile, ad esempio, anche ai minori di origine straniera nati sul suolo americano anche se figli di genitori non idonei. L’ammontare dei buoni invece dipende dal reddito e dal numero di persone appartenenti al nucleo familiare – in media si attesta sui 133 dollari mensili, circa 1,5 dollari a pasto.
Lo SNAP prevede inoltre una serie di “misure workfare” finalizzate a incentivare l’attivazione dei beneficiari e prevenire l’insorgere di fenomeni di dipendenza dall’aiuto pubblico. I singoli Stati possono richiedere ai beneficiari abili al lavoro di cercare un impiego, accettare un’offerta di lavoro o partecipare ad un corso di formazione, pena la revoca dell’assistenza. Gli adulti senza figli inoltre, se senza lavoro o non coinvolti in un programma di reinserimento per almeno 20 ore, possono prendere parte al programma solo per un periodo massimo di 3 mesi ogni 3 anni, limite che gli Stati possono superare fino al 15% del totale dei residenti disoccupati adulti senza figli.
Attualmente il 76% dei buoni viene erogato a nuclei familiari che includono un bambino, un anziano o un disabile. Più del 40% dei destinatari sono donne con figli, il 50% ha al più un diploma o un titolo di studio equivalente. Si tratta cioè di quelle categorie più colpite dalla crisi o difficilmente ricollocabili nel mondo del lavoro. La percentuale di persone che hanno ricevuto più del dovuto, o ricevuto senza diritto un aiuto dallo SNAP nel 2012 è stata di circa il 2%. Paragonando questo dato a quello sull’evasione fiscale, che si attesta intorno al 15%, possiamo ragionevolmente concludere che “l’ansia da parassitismo” sia piuttosto infondata e il programma nella maggior parte dei casi vada incontro a persone che versano realmente in stato di necessità.
Il dibattito
La proposta repubblicana si inserisce nel più generale dibattito che, nato dallo scontro sull’Obamacare, in questi giorni sta provocando il collasso del sistema federale statunitense.
Secondo i deputatati repubblicani, lo SNAP, con un costo di 80 miliardi di dollari l’anno e 46,6 milioni di beneficiari, sarebbe andato fuori controllo, col rischio di aumentare ulteriormente la spesa pubblica. Ma soprattutto, non si spiegherebbe a loro avviso l’espansione del programma (circa +70% dei beneficiari tra il 2007 e il 2011) negli ultimi due anni, considerato che il numero di disoccupati è calato e il Paese sta uscendo, seppure timidamente, dalla recessione. La proposta è quindi di ridurre il programma gradualmente – almeno 40 miliardi in meno nei prossimi 10 anni – e introdurre meccanismi vincolati più rigidamente al lavoro per eludere comportamenti opportunistici e di dipendenza dall’aiuto del governo. Ad esempio, si vorrebbe limitare la facoltà per gli Stati di estendere l’accesso ai benefici oltre il limite dei 3 mesi e ampliare parimenti la libertà di revoca.
Ma l’enfasi che la proposta pone sul tema del lavoro sembrerebbe ingiustificata per tre motivi. Punto primo, come abbiamo visto, il programma prevede già numerosi criteri volti a favorire l’attivazione dei richiedenti. In secondo luogo più dell’80% dei beneficiari ha già un impiego o ha lavorato nell’anno precedente l’adesione allo SNAP. Questo significa che la maggior parte dei partecipanti sono working poor che lavorano ma hanno stipendi così bassi o irregolari da non riuscire a raggiungere una soglia adeguata di sostentamento. Inoltre, la mancanza di un impiego spesso non dipende esclusivamente dai beneficiari quanto dal contesto socio-economico nel quale essi vivono. Attualmente gli Stati che si impegnano a attivare programmi per creare occupazione o percorsi di formazione destinati agli utenti dello SNAP, possono beneficiare di un fondo apposito che ammonta circa a 20 milioni di dollari. Tuttavia solo pochi di loro se ne servono e se tale fondo venisse eliminato o ridotto – come previsto dalla nuova legge – gli Stati perderebbero un importante incentivo all’implementazione di politiche per l’autonomia, arrivando al risultato paradossale di scaricare sugli utenti la totale responsabilità della propria disoccupazione.
Per quanto riguarda i costi, il Congressional Budget Office ha stimato che se l’economia continuasse a riprendersi, il numero di riceventi potrebbe calare di 14 milioni di persone, circa il 30%, e tornare nel 2019 ai livelli del 1995. Se il programma venisse tagliato invece colpirebbe circa 3.8 milioni di persone con basso reddito nel 2014 e quasi 3 milioni ogni anno successivo. Ne vale la pena? Secondo un recente rapporto del Census Bureau il programma ha mantenuto circa 4,6 milioni di Americani sopra la soglia di povertà e ha evitato a molti altri di sprofondare in una condizione di povertà peggiore. Quasi 47 milioni di americani, la cifra più alta raggiunta in due decenni, vivono infatti uno stato di “precarietà alimentare”, cioè non sanno quando e come potranno procurarsi un pasto adeguato.
Ma perché il programma continua a espandersi? L’economista Paul Krugman, che si è schierato in difesa dello SNAP, spiega l’espansione del programma col fatto che la grande recessione (che negli Usa si è collocata nel biennio 2007-2009) è stata la più grande dal 1929 e la ripresa che vediamo è ancora molto debole. Le richieste di sostegno quindi non calano perché sebbene la recessione sia ufficialmente finita nel 2009, la ripresa sta per ora riguardando solo quella fascia di persone che si trovano all’apice della piramide sociale, senza ricadute sulla base. Mentre il reddito reale dell’1% che vive alla sommità è cresciuto del 31% dal 2009 al 2012, quello del 40% che si trova alla base in realtà è sceso del 6%. Ecco perché l’uso dei food stamp non è calato, anzi cresce. Il numero di posti di lavoro creati (150.000-200.000 al mese) rimane al momento insufficiente: per ogni nuovo posto, tre persone restano ancora disoccupate.
Infine, i supporter dello SNAP sostengono che questo, oltre ad aver mitigato gli effetti della crisi, tenendo milioni di americani fuori dalla povertà, avrebbe indirettamente salvato migliaia di posti di lavoro. I food stamp, come tutti gli aiuti statali, sono infatti sovvenzioni a doppio senso di marcia. Aiutano i poveri ma anche le industrie alimentari, proteggendole dai cali di fatturato.
Povertà alimentare e salute
Ma c’è anche un altro aspetto. Negli Stati Uniti la povertà alimentare non si manifesta solamente nell’incapacità di acquistare il cibo, quanto di acquistare cibo di qualità. In un Paese dove il 35% degli adulti e il 16% dei bambini sono obesi, promuovere una corretta alimentazione è più che mai necessario. Ma il cibo sano è molto costoso e quindi un privilegio delle upper classes mentre i ceti più basi si riversano sul junk food, cibo spazzatura – il turista italiano rimane spesso basito da come una Coca Cola costi più dell’acqua o le patatine fritte più della verdura. Non a caso i food stamp possono essere utilizzati esclusivamente per l’acquisto di prodotti alimentari e non di cibo scaldato o cucinato direttamente in loco, alcolici e tabacco. Possono invece essere utilizzati per comprare semi e piante dalla cui coltivazione si producono beni alimentari. In questo senso il programma assume anche un “valore pedagogico”, quello di spronare i cittadini a uscire dal tunnel di fast food e take away e scoprire l’opportunità di acquistare materie prime e cucinare i propri pasti in modo più sano e equilibrato.
Sicuramente un obiettivo ambizioso, che non si raggiunge unicamente grazie ai food stamp ma che deve essere coadiuvato da campagne capillari di informazione e sensibilizzazione. Secondo i sondaggi infatti i percettori dei buoni non differiscono dai non-percettori nelle abitudini alimentari, continuando molto spesso a fare uso di cibi ad alto contento calorico. Lo stesso programma da questo punto di vista andrebbe migliorato, dal momento che ancora non prevede standard nutrizionali vincolanti. Nel 2010, ad esempio, lo Stato di New York aveva proposto di escludere dal programma le bevande con alta concentrazione di zuccheri, ma l’idea è stata bocciata dagli uffici federali. Il programma rappresenta comunque un primo passo in avanti.
Un recente studio condotto dalle economiste Hilary Hoynes e Diane Whitmore Schanzenbach sul Food Stamp Program degli anni ‘60 e ‘70 – anni in cui il programma è stato progressivamente espanso sull’intero territorio nazionale – ha dimostrato che i bambini che ricevono questo tipo di assistenza in media crescono più sani e produttivi, quindi hanno meno probabilità di dover ricorrere da adulti a forme di aiuto pubblico – oltre che al sistema sanitario – con evidenti risparmi in termini di bilancio. Se consideriamo che circa la metà dei beneficiari dello SNAP ha figli minorenni, è evidente che si tratta di un programma importante non solo per migliorare oggi le condizioni di vita dei cittadini, ma anche per contenere, in futuro, i costi dell’assistenza, in primis quella sanitaria.
Riferimenti
Sito del Supplemental Nutrition Assistance Program
Cuts in House Leadership SNAP Proposal Would Affect Millions of Low-Income Americans, Center on Budget and Policy Priorities
Free to Be Hungry, Paul Krugman, in "The New York Times", 22 settembre 2013
House Republicans Pass Deep Cuts in Food Stamps, Ron Nixon, in "The New York Times", 10 settembre 2013
The Safety Net: An Investment In Kids, Hilary W. Hoynes, University of California, Davis and Diane Whitmore Schanzenbach, Northwestern University – Posted July 1, 2013
SNAP (Food Stamps): Facts, Myths and Realities, Feeding America