Da circa un mese a Milano è operativo il primo social market della città, creato dall’Associazione Terza Settimana col sostegno del Comune per rispondere ai bisogni di chi non riesce più a soddisfare adeguatamente le proprie esigenze primarie, specialmente sul fronte alimentare. Aperto in un locale confiscato alla criminalità organizzata in zona Loreto, questo emporio solidale rappresenta un’interessante esempio di welfare mix, capace di mettere in sinergia attori pubblici e privati per affrontare i nuovi rischi e bisogni emergenti a causa della crisi. Ce ne ha parlato Federica Balestrieri, referente milanese dell’associazione, grazie alla quale anche Milano ora ha il suo emporio solidale.
Terza Settimana: fare rete per aiutare chi ha bisogno di aiuto
L’Associazione Terza Settimana è nata a Torino per aiutare le famiglie che si trovano in situazione di indigenza e necessitano di aiuto per rispondere alle proprie esigenze primarie. Per perseguire tale scopo, Terza settimana si prefigge di creare una rete di empori solidali (vedi in questo senso anche le esperienze di Modena e Parma di cui ci siamo occupati nei mesi scorsi) attraverso cui distribuire cibo a coloro che ne hanno bisogno. L’idea di base è la creazione di forme di welfare mix che mettano in contatto soggetti pubblici e privati, in modo che questi si trovino nelle condizioni più adeguate per sostenere chi ha bisogno di aiuto.
Partendo da questo presupposto, nel marzo 2013, a Torino è nato il primo social market dell’associazione grazie al contributo di diverse realtà del territorio. Compagnia di San Paolo ha finanziato tutti i costi di start up; Ortobra srl, società ortofrutticola, ogni settimana garantisce gratuitamente al social market più di una tonnellata e mezza di frutta e verdura; ATC (Agenzia Territoriale per la Casa) ha messo a disposizione i locali per le attività dell’associazione; QuiFoundation ha donato le carte e i POS per la tracciabilità delle consegne. Così, in poco più di sei mesi, hanno usufruito del servizio del social market circa 370 famiglie, che hanno effettuato complessivamente più di 1100 spese.
Un po’ per caso, da Torino a Milano
Poco dopo l’apertura del social market Federica Balestrieri, giornalista RAI inviata a Torino per raccontare l’esperienza di Terza Settimana, ha incontrato il fondatore dell’associazione, Bruno Ferragatta, e si appassionata alle attività svolte in tale ambito. E’ nata così l’idea di aprire qualcosa di simile anche a Milano, in primo luogo dando vita a una sezione milanese di Terza Settimana, attorno alla quale si è coagulato un numero crescente di volontari interessati al progetto. Grazie a un altro incontro fortuito, questa volta con Pierfrancesco Majorino, Assessore alle politiche sociali di Milano, si è quindi trovato lo spazio fisico per dare gambe a quella che pareva solo una bella intuizione.
Il Comune ha messo a disposizione un locale confiscato alla mafia in via Leoncavallo e si è impegnato a pagare le utenze dello stesso. L’ente pubblico, tuttavia, ha chiarito fin da subito che la situazione di austerity in cui si trovano le casse comunali avrebbe impedito di indirizzare ulteriori risorse verso il progetto. Per far partire l’iniziativa servivano tuttavia arredamenti e strumenti adeguati per la gestione delle attività, un furgone per il trasporto dei prodotti e soprattutto, denaro per comprare i prodotti, alimentari e non, necessari al funzionamento del market. Le soluzioni a queste questioni sono arrivate anzitutto dai volontari, che hanno donato mobili e computer, e dalla Fondazione Mike Bongiorno, che ha donato il furgone necessario al trasporto delle merci. "Per quanto riguarda il reperimento delle risorse economiche necessarie all’avvio dell’attività, circa 8.000 euro, siamo ricorsi invece al crowdfunding online: attraverso la piattaforma Crowdfunding Italia in poche settimane è stata raccolta la cifra fissata". In ottobre il primo Social Market di Milano ha così aperto i battenti. Attualmente sono coinvolti nel progetto più di quaranta volontari, tra cui la stessa Balestrieri, che offrono gratuitamente il proprio tempo libero per portare avanti le diverse attività del market.
Come funziona il supermercato solidale
Il social market sostanzialmente è un punto vendita di generi alimentari che funziona come una rete di acquisto solidale: Terza Settimana acquista i prodotti presso piattaforme da cui si serve la grande distribuzione per poi distribuirli ai beneficiari, segnalati da enti pubblici e privati che si interfacciano con persone in situazioni di fragilità. Nello specifico l’acquisto dei beni alimentari avviene attraverso la piattaforma Iper, La grande i, che permette di acquistare i prodotti all’ingrosso “con un risparmio medio del 20-25% rispetto ai prodotti venduti nei supermercati”. La frutta invece viene donata da Ortobra, un grossista di Torino che garantisce 1.700 chili di prodotti al mese.
Il paniere del social market si compone di circa sessanta prodotti di qualità selezionati in modo da permettere un’alimentazione sana. “Alcuni prodotti” ci spiega Federica “magari si possono trovare a un prezzo inferiore nei discount, ma la qualità alimentare di questi ultimi è sicuramente più bassa di quella offerta al social market: teniamo uno standard alto, ma lo facciamo per garantire un’alimentazione il più possibile completa. Non puntiamo certo al lusso, ma non rinunciamo alla qualità”. Al social market si possono recare coloro che, previa la stipula di una convenzione con Terza Settimana, vengono segnalati da Comune, parrocchie o associazioni che aiutano gli indigenti. Attraverso un sistema web l’ente indica la situazione di disagio, con l’accortezza di sottolineare la presenza di figli o altre particolari esigenze. Questo serve per capire quante persone usufruiranno dei servizi del social market ma “anche per capire quali prodotti è meglio comprare quando facciamo la spesa all’ingrosso. Per esempio, se sappiamo che verranno tante famiglie con bambini ci orientiamo verso l’acquisto di più prodotti per l’infanzia”.
Chi si reca all’emporio solidale effettua quindi una spesa del valore fisso di 20 euro selezionando, grazie all’aiuto dei volontari presenti, i prodotti che più si adeguano alle proprie esigenze alimentari. I beneficiari, a seconda delle indicazioni fornite dall’ente che li ha segnalati, possono ricevere i beni gratuitamente, oppure pagando totalmente o parzialmente la quota. “Per ora ad esempio” spiega Federica “il Comune di Milano inserisce solo chi può pagare la quota in toto, perché non ci sono fondi per sostenere questa spesa”. A un mese circa dall’apertura del social market meneghino le persone che hanno usufruito dei servizi del social market sono oltre una settantina, che dovrebbero salire a 200 entro la fine dell’anno. “Tra i beneficiari non ci sono solo poveri “cronici”, ma anche tanta gente normale che a causa della crisi è scivolata in condizione di povertà. Ci sono stranieri, ma anche molti più italiani di quanto si possa pensare”.
I benefici di un modello interessante
L’idea del social market indubbiamente porta con sé diversi aspetti positivi per quel che riguarda il contrasto diretto alla povertà alimentare, l’inclusione sociale degli individui e la nascita di partnership tra soggetti pubblici, privati e del settore non profit. In primo luogo, chi fa la spesa attraverso il social market può scegliere prodotti di qualità a un costo inferiore rispetto ai normali prezzi di mercato, garantendosi un’alimentazione sana e completa nonostante una disponibilità economica limitata. “Il Banco Alimentare svolge un lavoro importantissimo assicurando ogni giorno prodotti di prima necessità a migliaia di persone in difficoltà” dice Balestrieri “noi coi nostri servizi è come se integrassimo il lavoro del Banco, garantendo prodotti complementari, ad esempio frutta e verdura fresca, che difficilmente le persone acquisterebbero autonomamente, e offrendo anche una certa possibilità di scelta”. In un contesto in cui la povertà alimentare ha toccato livelli mai raggiunti dal secondo dopoguerra, la presenza di un luogo in cui poter rispondere in maniera più completa alle proprie esigenze alimentari primarie rappresenta senza dubbio un elemento importante.
In secondo luogo, per quanto riguarda l’inclusione sociale, chi si reca all’emporio solidale ha la possibilità di instaurare rapporti umani positivi: un fattore non scontato per chi si è ritrovato da un giorno all’altro in una situazione di forte disagio sociale. Il rapporto coi volontari nella maggior parte dei casi va oltre la mera distribuzione-acquisizione del cibo, si crea una sintonia e, come già è successo a Torino, non è da escludere che alcuni vogliano restituire l’aiuto ricevuto diventando anch’essi volontari una volta usciti dalla propria situazione di disagio. In un’ottica di sostegno più ampio si inserisce ad esempio un’iniziativa promossa da alcuni volontari che mirano a raccogliere giocattoli nuovi da distribuire, in vista delle festività natalizie, alle persone con figli che si recano al market. L’intento è quello di poter permettere, tanto ai genitori quanto hai figli, di poter vivere un Natale più sereno nonostante i tanti problemi da cui possono essere interessati.
Infine, il modello descritto dimostra la capacità del soggetto pubblico, nonostante la scarsa disponibilità economica che caratterizza questo momento storico, di collaborare con soggetti sia del terzo settore che del privato for profit per dar vita a forme di intervento sociale che rispondano alle esigenze dei cittadini. Mettendo a disposizione uno spazio abbandonato e scegliendo di coinvolgersi direttamente con l’associazione, il Comune di Milano, ad esempio, ha potuto garantire un servizio che altrimenti non avrebbe avuto modo di offrire ai propri cittadini.
Allargare l’esperienza
I risultati raggiunti dagli empori di Torino e Milano hanno spinto i volontari dell’associazione ad allargare ulteriormente l’esperienza ed esportare il modello anche in altre città. “Da poco abbiamo aperto un social market Terza settimana anche a Catanzaro, il primo nel Sud d’Italia, in collaborazione con l’associazione Carlotta” ci dice Federica “e ora stiamo valutando la possibilità di aprirne uno a Brescia”. “Tuttavia” aggiunge “preferiamo andare con calma, perché occorre che il servizio sia equo e sostenibile in tutti i posti in cui si sviluppa”.
Creare un social market non è infatti un affare semplice, e necessita un impegno costante da parte di coloro che hanno scelto di impegnarsi in questo ambito. In ogni caso, resta l’alto valore di questi luoghi che, in un momento complesso come quello attuale, rappresentano realtà significative di cui tener conto e, con le dovute attenzioni del caso, replicare laddove se ne rilevi necessità. Per maggiori informazioni i volontari di Terza Settimana sono sempre disponibili a un confronto con coloro che abbiano questo desiderio. Per eventuali contatti si rimanda al sito dell’associazione: www.terzasettimana.org.
Riferimenti
Il servizio di Federica Balestrieri sul Social Market di Torino, Tg1, 12 marzo 2013
La raccolta di giocattoli nuovi in vista del Natale
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