La Regione Emilia Romagna e la Delegazione Regionale Caritas Emilia Romagna hanno pubblicato il rapporto "Approdi. Ricerca sulle realtà che distribuiscono generi alimentari attraverso la modalità dell’Emporio solidale in Emilia Romagna" sugli empori solidali (sapete cosa sono?) curata da Andrea Gollini. Lo studio rappresenta l’ideale prosecuzione di due precedenti lavori di ricerca coordinati dalla Delegazione Regionale Caritas per conto del Servizio Politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale della Regione Emilia-Romagna: “Indagine ricerca e messa in rete delle realtà che raccolgono generi alimentari provenienti dalle eccedenze alimentari” e “L’incontro fra solidarietà e povertà alimentare Indagine 2013 su Enti, beneficiari e volontari all’interno del circuito della raccolta e distribuzione di prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale in Emilia-Romagna”. Di seguito vi raccontiamo i principali contenuti del rapporto.
Gli empori emiliano-romagnoli: cifre e caratteristiche
Secondo la ricerca, gli empori emiliani crescono con un tasso annuo medio del 74,4%. Dopo l’apertura, nel 2010, del primo emporio regionale a Parma, tra il 2013 e il 2014 si è assistito infatti ad un vero e proprio boom di empori. Tale crescita è avvenuta in concomitanza con la crisi economica, un dato molto significativo perché, come spiegano gli autori “se da un lato si sta vivendo un impoverimento di quasi tutti i membri della società, dall’altro si sono trovate strade e risorse (alternative a quelle meramente finanziarie) all’interno del privato sociale in grado di rispondere a uno dei bisogni primari dell’uomo”.
Tutte le provincie della regione hanno già almeno un emporio (attivo o in fase di progettazione), per un totale di 20 empori di cui 12 attualmente già funzionanti (Parma, Lesignano dei Bagni, Borgo Val di Taro, Modena, Soliera, Sassuolo, Bologna (2), Imola, Forlì, Rimini e Cervia), 5 in fase di avvio (Reggio Emilia, Guastalla, Bologna (2) e Ferrara) e 3 in fase di progettazione (Piacenza, Vignola e Ravenna). Segno di una vivacità della società civile ben diffusa su tutti i territori.
Anche in Emilia Romagna la rete si rivela un fattore centrale per la nascita degli empori. Questi infatti sono promossi grazie alla collaborazione fra più enti – si contano fino ad un massimo di 31 enti coinvolti -, e con il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati, laici e religiosi. Inoltre, una specificità della regione consiste nel ruolo che i Centri Servizi per il Volontariato (CSV) hanno assunto come soggetti trainanti delle progettazioni. Più difficile invece definire chi sono gli enti gestori. Mentre nei progetti di carattere sociale tutti gli aspetti amministrativi gestionali fanno normalmente capo ad un’unica realtà “nel caso degli empori, data la natura di progetto di rete, questi compiti sono ripartiti fra più soggetti: un’associazione per la gestione dei volontari, una cooperativa per il coordinatore, l’ente pubblico per l’affitto, un’altra associazione fornisce gli automezzi, ecc.”. “Giuridicamente – spiegano gli autori – gli empori non esistono, nel senso che sono caratterizzati da quella che abbiamo definito come fluidità giuridica, in certi casi si arriva addirittura a tre soggetti diversi” che si occupano della gestione dell’ente.
La selezione dei beneficiari avviene solitamente in base al criterio di residenza e all’ISEE, generalmente corretto da altri indicatori (perdita del lavoro, numero componenti nucleo familiare, ecc.), mentre talvolta gli indicatori sono appositamente costruiti per fronteggiare i nuovi rischi e bisogni emergenti sui territori. Nel caso di Ferrara, ad esempio, per individuare i “nuovi poveri” non esistevano indicatori prestabiliti di riferimento – anche il servizio pubblico non aveva orientamenti precisi in tal senso – e si è dovuto quindi costruirli ad hoc.
Le modalità di funzionamento sono molto diverse. Ad esempio non c’è una formula di approvvigionamento comune. Il Banco Alimentare risulta la prima fonte di approvvigionamento degli empori dell’Emilia-Romagna, seguita dal recupero e le donazioni dalle grandi aziende, e dall’acquisto diretto. Ad oggi, inoltre, nessun emporio è in grado di provvedere al suo approvvigionamento senza bisogno di acquistare i prodotti necessari. Anche sul fronte della distribuzione ogni emporio funziona a proprio modo, con i suoi orari, le sue modalità di erogazione e le sue tipologie di prodotti offerti: tutti gli empori distribuiscono il secco, quasi tutti distribuiscono il fresco, qualcuno distribuisce anche i surgelati. La ricerca rivela anche che, a fianco dei beni alimentari, sono aumentati i beni no food, come ad esempio i prodotti per l’igiene della casa e per l’igiene personale.
Gli empori emiliani contano complessivamente su 442 volontari e 16 dipendenti, figure che si occupano delle questioni di maggiore complessità e responsabilità (coordinamento, reperimento prodotti, rappresentanza, gestione dei volontari).
Infine, i costi. Sebbene difficili da quantificare, poiché per la “fluidità giuridica” sono suddivisi fra più soggetti, il rapporto spiega che per aprire un emporio serve un investimento iniziale di circa 300 mila euro per gli empori più grossi e dotati di mezzi (come ad esempi celle frigo o furgoni refrigerati), ma che può scendere fino a 40 mila euro per i più piccoli. Passando alla gestione ordinaria, anche in questo caso si va da empori che spendono molto a empori che spendono molto poco, in base al numero dei beneficiari.
Prospettive per il caso emiliano
La ricerca conferma molte delle riflessioni contenute nel volume Povertà alimentare in Italia: le risposte del secondo welfare (Maino, Lodi Rizzini e Bandera, 2016): gli empori sono una risposta innovativa ed efficace al problema della povertà e dello spreco alimentare, favoriscono il lavoro di rete e un approccio meno assistenzialista e più proattivo degli utenti. Tuttavia, essi si scontrano con diversi problemi: il rischio di un incastro distorto e confuso con gli strumenti preesistenti, problematiche operative, difficoltà nella valutazione degli interventi. Come spiegano gli autori della ricerca di Caritas e Regione “a rendere ulteriormente complessa la raccolta dei dati e la loro aggregazione a livello regionale è il fatto che non esiste ad oggi un sistema di monitoraggio che preveda indicatori comuni inoltre i software gestionali sono diversi e alcuni autoprodotti”.
Il rapporto fotografa infatti un territorio molto vivace su questo fronte, che potrebbe fare della regione un laboratorio in cui sperimentare pratiche per dare slancio e consolidare nuovi modelli di contrasto alla povertà alimentare. Ma bisogna evitare che gli ostacoli abbiano il sopravvento. Il lavoro che gli empori e la Regione Emilia Romagna hanno portato avanti in questi mesi può però aiutare a superarli. Il rapporto costituisce ad esempio un primo tentativo di approfondire la conoscenza delle realtà attive sul territorio (difficili come detto da monitorare e quantificare) e contiene inoltre importanti informazioni su come aprire un emporio, sui procedimenti necessari, la normativa esistente, ecc. La Regione si sta proponendo come soggetto attivo su questo fronte e potrebbe assumere quel ruolo di supporto, “coordinamento leggero” ed advocacy necessario per non disperdere gli sforzi locali. Il 10 settembre, inoltre, si svolgerà a Cervia il Festival regionale degli empori solidali, un’occasione per permettere a chi quotidianamente è in “prima linea” di confrontarsi mettendo a disposizione degli altri la propria esperienza e aprirsi a nuovi interlocutori del pubblico, del privato sociale e del profit interessati per sostenere le attuali iniziative in corso o ad avviarne altre in nuovi territori.
Riferimenti
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