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Chi per hobby, chi per necessità, chi per ragioni ecologiste, gli Italiani riscoprono la terra e i suoi prodotti. Ed è così che l’agricoltura urbana sta diventando un fenomeno sempre più diffuso, al punto che le superfici dedicate agli orti urbani sono triplicate in soli 3 anni, trasformando una pratica individuale in una strategia di urban policy destinata a co-determinare – insieme alle politiche relative ai trasporti e all’ambiente -, la sostenibilità delle città future. Ma di che cosa si tratta? 


Di che cosa parliamo

Sotto l’etichetta di agricoltura urbana possono rientrare esperienze differenti, a cominciare dagli orti urbani, spazi destinati alla coltivazione ricavati da aree del verde pubblico e assegnati dai Comuni in comodato ai cittadini, che oltre a fornire prodotti per il consumo familiare concorrono spesso a preservare aree verdi interstiziali tra le aree edificate perlopiù incolte e lasciate nel degrado. Le modalità di assegnazione variano in base alle scelte dei singoli enti, ma il funzionamento è generalmente abbastanza semplice: il bando per l’assegnazione degli appezzamenti viene pubblicato online, si fa domanda e si ottengono i propri metri quadri di verde. La crescita del fenomeno ha indotto infatti le amministrazioni comunali a dotarsi di una regolamentazione comunale per l’assegnazione e la gestione degli orti. Ma proprio per armonizzare la legislazione in materia e creare una rete tra i Comuni italiani, nel 2008 Anci, Italia Nostra e Res Tipica hanno siglato un protocollo d’intesa – rinnovato lo scorso anno – con l’obiettivo di promuovere il “progetto nazionale orti urbani”, al quale hanno già aderito numerosi Comuni.

La coltivazione di suolo pubblico non si limita alle aree specificatamente dedicate ma, nei casi più “intensivi”, può essere estesa anche agli spazi urbani marginali, come aiuole, sponde dei fiumi, margini ferroviari, spesso per iniziativa dei cittadini, senza cioè che vi sia una concessione riconosciuta dall’ente pubblico, come avviene con la diffusione del guerrilla gardening, movimento che interagisce con lo spazio urbano attraverso i cosiddetti "attacchi" verdi, occupando e rilevando un pezzo di terra abbandonato per farvi crescere piante o colture.

Accanto agli orti urbani realizzati su spazi pubblici, sono sempre più numerose le aree che i privati destinano ad “uso coltivazione” nei cortili e sui balconi delle abitazioni, dove gli ortaggi prendono il posto di rose e piante ornamentali. Un trend che si osserva anche negli spazi comuni condominiali, come dimostra OrtiAlti – vincitore del concorso promosso da Iris Network in collaborazione con Fondazione Italiana Accenture “A New Social Wave II. Rigenerare Innovazione Sociale” – un’associazione di promozione sociale che realizza e gestisce orti di comunità sui tetti piani di edifici di vario genere (scuole, biblioteche, condomini, edifici per uffici, edifici produttivi, supermercati), tramite il coinvolgimento diretto delle comunità che li abitano o li utilizzano.

Infine, crescono gli orti con una funzione riabilitativa, come gli orti delle case circondariali, aree alternative per il reinserimento nel mondo del lavoro dei detenuti; gli “orti-scuole”, aree per attività didattico-educative per i ragazzi di scuole di ogni ordine e grado; gli orti destinati all’ortoterapia, attività di giardinaggio e orticoltura a supporto di programmi riabilitativi per persone diversamente abili.

Ragioni e benefici

Le ragioni della diffusione dell’agricoltura urbana sono molteplici, alcune affondano le proprie radici nei cambiamenti socio-culturali avvenuti negli ultimi 15 anni, altre nei benefici più immediati che essa è in grado di generare.

Ci sono innanzitutto motivazioni ambientali: riduzione della CO2, tutela della biodiversità e promozione di uno sviluppo urbano ecosostenibile, volto ad inserire più “verde” nelle aree cittadine. Ma anche una crescente attenzione alla salute e alla qualità nel cibo, grazie alla possibilità di coltivare, e quindi controllare direttamente, ciò che si mangia – l’“apoteosi” del biologico.

Ed un ritrovato amore per la terra e la sua concretezza. Nulla di banale in realtà: l’agricoltura è un classico settore anti-ciclico che cresce nei periodi in cui la produzione industriale e il mondo finanziario sono in affanno. Tanto che Scienze Agrarie è l’ambito di studi universitari che cresce di più, con un +72% contro il -22,7% di Giurisprudenza e il – 21% di Economia. E poi c’è la crisi: 43 milioni di Europei non hanno accesso ad un adeguato paniere di prodotti alimentari, dunque la possibilità di auto-produrre frutta e verdura o acquistarla a costi ridotti può alleggerire notevolmente il carico di spese alimentari.

Ma queste esperienze hanno anche importanti risvolti sociali. L’agricoltura urbana è un elemento che si inserisce direttamente nell’ambito dello urban design, delle funzioni del verde pubblico, dei vuoti urbani da riempire, oltre che un modo per riqualificare aree urbane degradate o abbandonate. In questo senso basta guardare ai Paesi in via di sviluppo, dove la pratica agricola comunitaria viene impiegata in progetti di sviluppo locale volti a integrare il mondo urbano e quello rurale, dando ai cittadini l’opportunità di accedere al cibo per autoconsumo, alimentarsi in modo sano a costi accessibili, favorire l’emersione di piccole attività. La “rinascita” dell’agricoltura urbana, infatti, è partita proprio dalle città del Sud del mondo in risposta all’impennata dei prezzi del cibo, ed è stata presto riconosciuta dalla Fao come uno strumento fondamentale per contrastare l’aumento della povertà estrema nelle città – dove entro il 2050 si concentrerà quasi l’80% della popolazione – arricchendosi poi in Nord America e in Europa di nuove motivazioni, come la sostenibilità ambientale e la ricerca di modelli alimentari alternativi agli schemi dominanti.

Non solo. Gli orti sociali possono divenire veri e propri spazi di aggregazione dove fare incontrare fasce sociali e generazionali differenti, oltre che uno strumento per inserire il cittadino nell’ambiente in cui vive, trasformandolo in un cittadino attivo. Lavorando concretamente su uno spazio, infatti, questo percepisce il terreno come bene comune che va salvaguardato e tutelato e grazie al contatto con la terra, si crea quel legame col territorio in grado di sprigionare nuove idee per pensare alla città e viverla.

Certo, agricoltori non ci si improvvisa, per questo nascono – e vanno spesso sold out – corsi di formazione sulle tecniche di coltivazione. A Mantova, ad esempio, è nata l’Università degli Orti. Promossa dal Centro di Educazione Ambientale PARCOBALENO con la collaborazione dell’Istituto Bonomi-Mazzolari, dell’associazione AUSER e dal Comune nell’ambito del progetto L’Arco e le Pietre, si ripropone di contribuire, attraverso nuove e vecchie idee, al ridisegno della città in funzione della coltivazione diffusa, per riscoprirne le funzioni sociali, culturali e produttive. Il programma è semplice e accompagna le lezioni teoriche con sperimentazioni pratiche presso le serre.

Figura 1. Rete di luoghi, funzioni, motivazioni, attori e modalità dell’agricoltura urbana (clicca per ingrandire)

Fonte: Internazionale, 20 ottobre 2014.


Le food policies cittadine

Fatte queste premesse, è evidente come il cibo sia strettamente funzionale alla vita della città. In realtà lo è sempre stato: non a caso in passato per conquistare una città la si isolava, affamandola. L’agricoltura urbana, pur se a intermittenza, è stata vitale in periodi di crisi economica e sociale, dopo i disastri ambientali o durante i conflitti.

Negli ultimi anni molte metropoli come San Francisco, Toronto, ma anche città europee come Copenhagen, Parigi e, più recentemente, Milano, hanno messo in atto delle scelte politiche innovative che puntano a un radicale cambio di paradigma negli stili di produzione/consumo e nelle abitudini alimentari dei cittadini. L’attenzione alle food policies assumerà nel prossimo futuro un ruolo cruciale anche nelle questioni legate alla resilienza dei sistemi territoriali urbani. Dopotutto è impossibile immaginare città del futuro senza immaginare le strategie e i canali che utilizzeranno per nutrirsi. Per questo motivo è più che mai urgente che gli amministratori delle città riconoscano l’importanza del tema e lo collochino al centro del dibattito politico.

Proprio per l’importanza che il tema riveste nello sviluppo futuro delle città, quest’anno Smart City Exhibition ospita un evento, “Food & City: il futuro smart delle politiche alimentari urbane”, interamente dedicato alla questione del cibo nelle aree urbane.


Il fenomeno in cifre

Ancora non esiste una mappatura precisa che ci consenta di quantificare il fenomeno, ma le cifre disponibili ne confermano una rapidissima espansione, iniziata negli anni ’70 ed accelerata soprattutto negli ultimi 15 anni. Un’analisi della Coldiretti su dati Istat rileva che nel Nostro Paese gli orti urbani nel 2013 sono triplicati rispetto al 2011, salendo da 1,1 a 3,3 milioni di metri quadrati di terreni di proprietà dei Comuni. Il tutto con un’alta variabilità territoriale: se a livello nazionale circa il 50% delle amministrazioni comunali capoluoghi di provincia nel 2013 ha messo a disposizione orti urbani per la cittadinanza, esiste una forte polarizzazione regionale con la percentuale che sale all’81% nelle città del Nord (oltre che a Torino, superfici consistenti sono dedicate anche a Bologna e Parma, entrambe intorno ai 155.000 metri quadrati), mentre meno di due città capoluogo su tre al Centro Italia hanno orti urbani e nel Mezzogiorno sono presenti solo a Napoli, Andria, Barletta, Palermo e Nuoro. Secondo Istat, sarebbero invece 21 milioni gli Italiani che stabilmente o occasionalmente coltivano l’orto e curano il giardino.

 

Riferimenti

Agricoltura Urbana, Internazionale, 20 ottobre 2014

Orti Urbani: città più belle e sane, Evaristo Petrocchi

Il progetto Orti Urbani

Strategie Amministrative n.6/2013, Luglio/Agosto 2013

 

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