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Questo articolo è disponibile anche in inglese

Il numero 3/2022 di Stato e Mercato, rivista del Mulino che esplora in chiave comparata e interdisciplinare il rapporto tra economia e istituzioni, presenta una sessione tematica sugli schemi di reddito minimo in prospettiva comparata articolata in tre contributi (in lingua inglese) che – combinando prospettive disciplinari diverse – affrontano il tema del contrasto alla povertà. Gli articoli, a partire dall’analisi del Reddito di Cittadinanza, individuano alcune questioni meritevoli di essere approfondite, anche attraverso il confronto con altri sistemi di tutela dal rischio povertà. Tali contributi forniscono così utili spunti per la comprensione delle caratteristiche della misura italiana e più in generale del dibattito in corso, alimentato dalle anticipazioni sulla nuova misura a cui sta lavorando il Governo Meloni (sarà MIA? Oppure il trittico GIL-GAL-PAL?) e da alcune proposte operative come, ad esempio, quella di Caritas Italiana.

PUC, i Progetti utili alla collettività

Il primo articolo, scritto da Rosangela Lodigiani e Franca Maino, si intitola “Minimum income, active inclusion, and work requirements in Europe: Insights from community service projects introduced by Italian Citizenship Income” e si concentra sui Progetti utili alla collettività (PUC). I PUC costituiscono una componente chiave del Reddito di Cittadinanza, misura che ha posto l’attivazione dei beneficiari al centro della strategia italiana contro la povertà. Ad eccezione di coloro che sono esonerati dalla legge, tutti i beneficiari del Reddito di Cittadinanza sarebbero tenuti ad aderire ai PUC, pena la perdita del sussidio. I PUC rappresentano quindi un requisito di attivazione simile a quelli che si stanno diffondendo negli schemi di reddito minimo europei.

Tuttavia, la normativa italiana specifica che i PUC non sono solo un obbligo ma anche “un’opportunità di inclusione e di crescita” per i beneficiari e le comunità locali, secondo una prospettiva di empowerment dei beneficiari e di sviluppo della comunità. Data questa duplice valenza (obbligo di controprestazione e capacitazione), i PUC sono particolarmente interessanti nel panorama europeo, dove simili esperienze lavorative obbligatorie non retribuite per i beneficiari degli schemi di reddito minimo sono rare e poco studiate.

L’articolo mira a colmare questa lacuna conoscitiva, esaminando l’esperienza dei PUC alla luce della letteratura internazionale sull’inclusione attiva in Europa ed entrando nella “scatola nera” della loro implementazione a livello locale, indagando i fattori che ne impediscono – o promuovono – un buon funzionamento.
 

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La povertà monetaria e l’adeguatezza degli schemi di reddito minimo in ottica comparata

Il secondo contributo dal titolo “Monetary poverty and adequacy of minimum income schemes in seven major EU countries: What linkages?” è stato scritto da Massimo Aprea, Giovanni Gallo e Michele Raitano. La Commissione europea ha definito un indicatore ufficiale del rischio di povertà denominato AROP – At Risk Of Poverty che identifica come poveri quegli individui con un reddito disponibile inferiore a una soglia di povertà, fissata al 60% della media nazionale equivalente del reddito mediano disponibile (dopo i trasferimenti sociali).

Tuttavia, quando si stabiliscono i criteri di accesso agli schemi di reddito minimo (MIS – Minimum Income Schemes), gli Stati membri spesso adottano proprie definizioni di povertà e nella maggior parte dei casi queste definizioni sono solo vagamente correlate (quando non del tutto estranee) alla soglia di povertà ufficiale a livello UE. Ad esempio, queste definizioni “amministrative” di povertà non sono correlate all’indicatore AROP quando si basano sui bilanci di riferimento, sulle linee di povertà assoluta, sugli indici del costo della vita o su livelli minimi di protezione sociale. Inoltre, anche quando adottano implicitamente criteri simili all’indicatore AROP, i Paesi possono stabilire criteri aggiuntivi (ad esempio, la ricchezza o le caratteristiche personali, come età o cittadinanza) che impediscono agli individui con un reddito inferiore alla soglia di povertà di accedere al MIS.

L’articolo analizza, in termini di adeguatezza dei sussidi e in una prospettiva comparata, la relazione tra i concetti amministrativi di povertà connessi ai requisiti di ammissibilità agli schemi di reddito minimo e l’AROP. L’ipotesi alla base dell’articolo è che mentre la riduzione della povertà è un obiettivo comune a tutti gli schemi di reddito minimo, la riduzione complessiva dell’AROP dovuta a tali schemi dipende da vari fattori, tra cui l’adeguatezza del sussidio (vale a dire la sua capacità di riportare le famiglie beneficiarie oltre la soglia AROP). A tal fine, gli autori prendono in considerazione sette Paesi UE: Italia, Germania, Spagna, Francia, Svezia, Irlanda e Polonia. Una volta descritti i requisiti di eleggibilità per il reddito minimo adottati in questi Paesi, l’articolo propone un’analisi empirica della relazione tra i valori delle soglie AROP e le soglie amministrative di povertà (implicita) per diverse tipologie di famiglie.
 

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Il nesso tra in-work benefit e reddito minimo

L’ultimo articolo, dal titolo Make them work! In-work benefits after the pandemic in the reform of Italy’s minimum income scheme”, scritto da Andrea Ciarini, Matteo Luppi e Stefano Sacchi affronta il tema dei cosiddetti in-work benefits (IWBs), sussidi al reddito, crediti d’imposta o benefici equivalenti legati al lavoro, finalizzati ad alleviare la povertà lavorativa e ad aumentare gli incentivi al lavoro per i lavoratori a basso reddito e le loro famiglie.

A seguito della pandemia, il legame tra le prestazioni lavorative (IWBs) e gli schemi di reddito minimo (MIS – Minimum Income Schemes) è destinato ad acquisire una crescente importanza a causa del potenziale impatto degli shock occupazionali asimmetrici sui lavoratori a basso reddito. Inquadrando le caratteristiche dei sussidi di reddito minimo nel contesto istituzionale e nel funzionamento del welfare state in alcuni Paesi europei, l’articolo propone alcune lezioni per il caso italiano sul ruolo di questo tipo di misure nell’evitare le trappole della povertà.

Utilizzando i dati EU-LFS e INAPP Plus, l’articolo analizza, nel caso italiano, le variazioni prima e dopo l’epidemia nei profili dei beneficiari di MIS vicini al mercato del lavoro e di quei lavoratori che sono disoccupati. Le evidenze indicano che le variazioni nei profili dei beneficiari di schemi di reddito minimo e di coloro che sono passati alla disoccupazione dopo l’esplosione della pandemia richiedono l’introduzione di un vero e proprio in-work benefit. Questo dovrebbe essere adeguatamente collegato al MIS per minimizzare i rischi della trappola della povertà e incoraggiare l’assunzione di un lavoro regolare. Piuttosto che smantellare gli schemi di reddito minimo per i beneficiari “occupabili”, i dati suggeriscono che la riforma del Reddito di Cittadinanza dovrebbe concentrarsi sul rendere il reddito minimo compatibile con il lavoro attraverso programmi di in-work benefit.
 

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