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Negli ultimi due Rapporti del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC) si è tentato di dare una risposta alla domanda sull’impatto che l’introduzione del Reddito di cittadinanza (RDC) ha avuto sulla condizione dei nuclei con minori. In altri termini: il Reddito di cittadinanza ha segnato un progresso nel contrasto alla povertà dei minori rispetto al passato, come ci si augura accada quando si avvicendano misure di politica sociale?

Oggi che il Reddito è in funzione da quasi due anni, con i dati disponibili è possibile cominciare a fare luce su quello che è accaduto, pure tenendo conto del fatto che una valutazione dell’impatto effettivo richiede in primis un arco di tempo lungo (dai 5 anni) e, inoltre, necessita di una molteplicità di dati quantitativi e qualitativi. In aggiunta ai dati che l’Osservatorio INPS sul reddito e la pensione di cittadinanza aggiorna a cadenza periodica, come fonte di dati possiamo fare riferimento anche al Rapporto annuale sul Reddito di cittadinanza 2020 relativo al 2019 che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso noto nello scorso mese di novembre.

Per avviare una prima riflessione su minori in povertà e Reddito di cittadinanza consideriamo tre questioni:

  • il confronto tra i dati del RDC e l’entità del fenomeno della povertà minorile in Italia;
  • la composizione interna dei nuclei percettori del RDC (e il peso che all’interno della platea complessiva occupano i nuclei con minori);
  • l’impatto sui minori del concreto funzionamento della misura.

Una prima domanda a cui rispondere riguarda il confronto fra quanti sono i minori raggiunti dal RDC e quanti quelli in povertà assoluta rispetto alla popolazione residente: quanto più le due percentuali sono vicine tanto più la misura sta raggiungendo la popolazione in povertà. In base ai dati del Ministero, nel 2019 le persone di minore età in nuclei percettori di Reddito o Pensione di cittadinanza rappresentano il 7% della popolazione residente. Se consideriamo che i minori in povertà assoluta costituivano, nel 2019, l’11% della popolazione residente, ne desumiamo che resti ancora scoperta una quota di minori in povertà. Dato che l’incidenza della povertà assoluta è più alta nelle famiglie con minori, come ci dicono i dati Istat, occorrerebbe verificare quanti nuclei con minori sono tagliati fuori per via dei criteri di accesso alla misura (reddito, patrimonio) e questo al fine di rendere la misura il più aderente possibile alla realtà della povertà nel nostro paese.

La seconda domanda da porsi è: fra i nuclei percettori del RDC qual è la quota di quelli in cui sono presenti minori? È vero che il RDC allarga ampiamente la platea di beneficiari, ma per capire se sul fronte del supporto ai minori si sono fatti passi avanti o meno, occorre valutare la consistenza della quota di nuclei con minori sul totale dei nuclei beneficiari. A novembre 2020, su 1,2 milioni di nuclei beneficiari, erano 413.000 quelli con minori. Si tratta del 34% dei nuclei, corrispondente al 56% delle persone. Una percentuale stabile da aprile 2019 che ci fa dire che complessivamente, dalla sua introduzione ad oggi, sono poco più di un terzo i nuclei beneficiari di RDC con minori (v. Figura 1). Questa quota si è decisamente ridotta rispetto al Reddito di inclusione (REI), la misura di reddito minimo precedente al RDC: con il REI il 50% dei nuclei percettori della misura vedeva al suo interno la presenza di minori (pari al 69% degli individui). Sotto questo profilo, il RDC non ha, quindi, rappresentato un miglioramento, ma piuttosto un passo indietro su cui urge adesso intervenire per evitare le distorsioni di una misura che nel 60% dei casi raggiunge nuclei composti da soli adulti.

Figura 1. Nuclei con minori (e corrispondenti persone) beneficiari di RDC sul totale dei percettori, aprile 2019-novembre 2020

Fonte: elaborazione Gruppo CRC su dati INPS

Non vanno poi trascurate le modalità con cui le famiglie con minori vengono gestite nella fase di presa in carico. Come sappiamo, il RDC prevede due canali di assegnazione automatica dei beneficiari, ai Servizi sociali e ai Centri per l’impiego, in base alla presenza o meno del requisito della occupabilità di almeno uno dei componenti (i nuclei familiari in cui sia presente almeno un componente uscito da poco tempo dal mercato del lavoro o un giovane in cerca di prima occupazione sono convocati dai Centri per l’impiego per stipulare il Patto per il lavoro. I restanti nuclei sono convocati dai Servizi sociali territoriali dei Comuni per stipulare il Patto per l’inclusione sociale).

I dati del Ministero dicono che almeno il 40% dei nuclei indirizzati sia ai servizi sociali che ai Centri per l’impiego hanno almeno un minore al loro interno e tale quota sale al 50% nel caso di nuclei obbligati a sottoscrivere i Patti per il lavoro. Questo significa che ai nuclei con minori indirizzati ai CPI non viene riservata un’attenzione specifica legata alla necessità di interventi immediati e di una valutazione complessiva dei bisogni del nucleo, anche nel caso in cui quella famiglia non presenti disagi particolari, oltre a problemi legati alla mancanza di lavoro. Ai nuclei con minori bisogna riconoscere interventi ad hoc e la possibilità da subito di contare sul supporto degli operatori dei servizi per poter gestire i bisogni specifici connessi alla presenza di minori e alla gestione degli equilibri relazionali e familiari (C. Gori ha fatto presente questo aspetto critico nel suo commento al Rapporto sul Reddito di cittadinanza, avanzando un’ipotesi di introduzione, fra i criteri di smistamento dei nuclei fra i due percorsi, in aggiunta alla occupabilità, anche di dimensioni sociali che consentano di salvaguardare la specificità degli interventi richiesti per i nuclei con minori).

Da ultimo non possiamo non menzionare le ricadute che, soprattutto sulle famiglie con minori, sta avendo l’interruzione della erogazione del beneficio economico dopo 18 mesi, a partire da cui la persona dovrà ripresentare domanda per poter accedere nuovamente alla misura. Lo scorso mese di ottobre sono stati 380.000 i nuclei che hanno visto concludersi il primo ciclo di erogazione. Come già alcune organizzazioni hanno fatto presente al Governo, in questa fase di crisi economica dovuta alla pandemia sarebbe opportuno andare in deroga rispetto a tale vincolo di legge, prolungando, per esempio a 24 mesi, il periodo di erogazione continuativa del beneficio e posticipando quindi l’interruzione del contributo. Flessibilità e adeguatezza sono le due caratteristiche che una misura di contrasto alla povertà dovrebbe avere per raggiungere l’obiettivo insito in essa, ovvero migliorare le condizioni di vita di persone e famiglie in difficoltà. Un RDC flessibile che risponda alle esigenze delle persone in difficoltà economica in questa particolare fase storica è quello di cui abbiamo bisogno più che mai ora. Non possiamo attendere oltre.


Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito del Gruppo CRC ed è qui riprodotto previo consenso dell’autrice.