Le statistiche delle organizzazioni nazionali e internazionali (OMS) indicano che a una riduzione della “povertà educativa e sociale” corrisponde un’altrettanta diminuzione della “povertà economica”, con enormi vantaggi per la realizzazione del percorso umano di ogni singolo individuo, per la spesa pubblica e quindi, in definitiva, per lo sviluppo di ogni Paese. Ma come si può vincere la sfida culturale della povertà educativa e sociale?
Per il nostro Paese è necessario un vero e proprio “progetto culturale e sociale” che, uscendo dai classici schemi risarcitori e assistenziali (erogazione di sussidi pubblici e solidarietà filantropica), coinvolga tutte le organizzazioni pubbliche e private. A partire dalla scuola, con la reintroduzione dell’educazione civica obbligatoria, con una votazione che “faccia media” in tutti i livelli di istruzione fino alle superiori; una spinta gentile che induca ad apprezzare la grande convenienza a comportarsi in maniera civile nelle relazioni sociali. Ma non solo educazione civica, anche educazione al lavoro e all’inserimento sociale attraverso test e dialoghi al fine di indirizzare i giovani in funzione delle loro attitudini personali e meno ai “desiderata” dei genitori; in questa attività il collegamento con le organizzazioni del commercio, artigianato, agricoltura e servizi e con le professioni (si pensi agli psicologi e ad altre categorie) è fondamentale anche per una corretta alternanza scuola-lavoro.
Povertà educativa e sociale: che fare?
Alberto Brambilla, Itinerari Previdenziali, 7 marzo 2018