Per combattere la povertà educativa serve un impegno concreto da parte dell’intera comunità: innovazione, sperimentazione e flessibilità sono le parole chiave a cui guardare nel prossimo futuro. È questo il pensiero espresso da Carlo Borgomeo, Presidente di Fondazione CON IL SUD e dell’impresa sociale Con i Bambini, in un articolo pubblicato per la piattaforma "IlPunto – Pensioni&Lavoro", curata dal Centro Studi e Ricerche "Itinerari Previdenziali", lo scorso 16 aprile 2019. Il contributo, con il consenso dell’autore, è riprodotto in versione integrale di seguito.
È in corso la fase di valutazione del quarto bando promosso da “Con i Bambini”, l’impresa sociale interamente partecipata dalla Fondazione Con il Sud e incaricata dell’attuazione degli interventi del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. Al Bando “Un passo in avanti”, che chiedeva la presentazione di idee progettuali innovative, sono pervenute 1.131 idee progettuali.
Complessivamente con i primi tre bandi, l’iniziativa speciale per le aree terremotate e quella dei progetti in cofinanziamento, sono 270 i progetti approvati per un importo complessivo di erogazioni assegnate pari a 212 milioni di euro, con l’avvio effettivo di 233 progetti, con liquidazioni di contributi pari a circa 39 milioni e 600mila euro e il coinvolgimento di oltre 6.400 partner. E oltre 400mila destinatari finali. Equilibrata la distribuzione territoriale degli interventi, che tiene conto della diversa intensità del fenomeno tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud.
Il programma quindi è in piena attuazione con un significativo livello di efficienza in termini di tempi e di costi di funzionamento, mentre il rinnovo del meccanismo del Fondo per un secondo triennio e i versamenti delle Fondazioni di Origine Bancaria danno al programma stesso un senso e una prospettiva più ampia.
Vale quindi la pena di richiamare sinteticamente gli obiettivi, le caratteristiche e anche le non marginali innovazioni introdotte dal Fondo. Le risorse destinate al Fondo servono a dare risposte concrete e quindi vere opportunità a centinaia di migliaia di minori in condizioni di povertà educativa. E su questi risultati esso andrà giudicato. Ma vi sono, evidentemente, altri importanti obiettivi.
Il primo è che il Fondo, nato grazie ad un’intuizione dell’Acri e reso possibile da un’intelligente disponibilità del Governo vuole, nei fatti, richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, delle forze sociali e delle istituzioni su un fenomeno sociale molto grave che vede il nostro Paese in una situazione di ritardo particolarmente preoccupante. La scarsità di servizi per la prima infanzia, i tassi di abbandono scolastico, le vere emergenze sociali che segnano, soprattutto nelle grandi periferie urbane la condizione degli adolescenti, sono situazioni e fenomeni che vanno affrontati con maggior decisione e con una duplice consapevolezza: da una parte, l’insostenibilità in termini di equità sociale di fortissime diseguaglianze nella possibilità di avere opportunità di crescita tra i bambini e gli adolescenti; dall’altra, la palese miopia di un Paese che, disinvestendo sui giovani, indebolisce in modo concreto le prospettive di sviluppo e di crescita che hanno nel capitale umano e nel capitale sociale una premessa fondamentale. Questa sostanziale attività di advocacy si va affermando in modo sempre più marcato, non tanto per specifiche attività di promozione e di comunicazione, cui daremo progressivamente maggiore impulso, ma per una crescente, diffusa e, per certi versi, straordinaria animazione dei territori sull’argomento. Centinaia di iniziative da Nord a Sud, nelle città e nei piccoli centri che, attorno alla presentazione dei progetti, chiamano a un confronto e a una nuova consapevolezza le comunità.
Il secondo obiettivo è quello di sperimentare approcci, metodologie, modalità di attuazione degli interventi e di verificarne l’impatto, nella logica di “contaminare” le politiche della Pubblica Amministrazione stimolandola a realizzare interventi più efficienti e più efficaci. E da questo punto di vista, nel prossimo futuro, saranno avviate esperienze esplicitamente orientate a “integrare” interventi del Fondo con quelli della Pubblica Amministrazione centrale e periferica.
La grande innovazione introdotta dal Fondo si basa su un convincimento: la questione della povertà educativa non è solo questione della scuola e neppure della scuola che tenta in modo più o meno efficace il coinvolgimento delle famiglie. La povertà educativa va combattuta con un impegno complessivo della comunità. Per questo motivo l’espressione chiave delle nostre attività, il filo rosso che lega le esperienze, il contenuto principale che si richiede nei progetti è la promozione della comunità educante. Corollario di questa scelta, di questa impostazione di fondo è il ruolo decisivo che, nei progetti, è assegnato ai soggetti del Terzo Settore.
Tale impostazione non intende, ovviamente, mettere in secondo piano il ruolo della scuola che, al contrario, resta il riferimento essenziale, ma intende estendere la responsabilità degli interventi all’intero territorio chiamato a costruire le condizioni che consentano la piena fruizione da parte dei minori delle opportunità di crescita.
Ma a me preme sottolineare un altro aspetto, forse il più importante di questa sperimentazione. In una fase di profonda e strutturale crisi del tradizionale modello di welfare, si fa un gran parlare di innovazioni, sperimentazioni, di nuovi possibili modelli. Quella del Fondo è una straordinaria e neppure piccola sperimentazione di un nuovo rapporto tra pubblico e privato. Su un tema particolarmente importante e delicato si realizza un’intesa che consente una modalità di intervento affidato sostanzialmente al privato sociale: non solo, come ho già ricordato, perché i progetti premiano il ruolo delle organizzazioni di Terzo Settore, ma perché a un organismo espressione delle Fondazioni di Origine Bancaria e del Terzo Settore, viene affidata la attuazione degli interventi: dalla promozione alla valutazione, dal monitoraggio all’erogazione dei contributi. Si afferma nei fatti, un meccanismo “pubblico” non statale: le nostre procedure sono tutte di piena evidenza pubblica; i risultati dei bandi sono pubblici; i soggetti hanno in piena trasparenza una continua interlocuzione con gli uffici; il personale è assunto con meccanismi di evidenza pubblica. Ma si tratta di procedure non vincolate dalle leggi della Pubblica Amministrazione. E questo consente una flessibilità e un approccio sperimentale particolarmente preziosi.
Infine va segnalata la grande innovazione in materia di valutazione, con la presenza obbligatoria, nei partenariati, di un ente incaricato della valutazione d’impatto che, naturalmente, non sostituisce la nostra rigorosa attività di controllo e monitoraggio – che, se necessario, ci spinge alla revoca dei progetti – ma che obbliga i partenariati ad avere presente in modo strutturale la necessità di verificare gli effetti del loro lavoro.
L’insieme di questo impegno e anche di singoli aspetti potrà naturalmente essere giudicato quando si concluderanno i progetti: sarà possibile valutare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi, la capacità dei progetti di “durare” oltre il periodo coperto dal nostro sostegno, l’efficacia e la replicabilità dei modelli sperimentati. Ma già da adesso, a meno di tre anni dalla partenza, è possibile esprimere una cauta soddisfazione: per l’efficienza complessiva del sistema, per le tante innovazioni introdotte, per una certa mobilitazione sul tema; mobilitazione che, sono certo, crescerà nel prossimo futuro.