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La povertà “educativa” è la privazione, per i bambini e gli adolescenti, dell’opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. La povertà educativa è fortemente correlata alla povertà materiale. Guardando ai dati dell’indagine OCSE PISA sull’apprendimento dei minori, gli alunni che provengono da contesti maggioremente svantaggiati, dal punto di vista socio-economico e culturale hanno più del tripo di probabilità di non raggiungere un livello di competenze minime in matematica e lettura, rispetto ai coetanei che provengono da famiglie più benestanti (per la matematica, 35% contro 9%; per la lettura 36% contro 12%).

La disuguaglianza, in Italia, è così marcata che i minori che vivono in famiglie più svantaggiate hanno livelli di apprendimento, in media, tra i più bassi in Europa. Mentre i loro coetanei che vivono in famiglie con i livelli socio-economici e culturali più elevati, si trovano allo stesso livello degli studenti che vivono nei paesi top perfomers mondiali, quali Singapore e Giappone.

Una ricerca – Nuotare Contro Corrente. Povertà educativa e resilienza in Italia – promossa da Save the Children Italia con l’Università di Roma Tor Vergata, è andata a osservare, utilizzando i dati dell’indagine OCSE PISA, e provenienti da altre fonti, ISTAT ed EUROSTAT, quanti e quali minori riescono oggi a sfuggire a questa trappola, e quindi, nonostante nascano e crescano in contesti svantaggiati, dal punto di visto economico e sociale, riescono a superare le difficoltà e a raggiungere buoni livelli di apprendimento, a realizzare le proprie aspirazioni, far fiorire i loro talenti ed esercitare pienamente i propri diritti di cittadini. Questi minori li abbiamo definiti “resilienti”.

In Italia nel 2015, su un totale di quasi mezzo milione di alunni di 15 anni iscritti a scuola, circa 130.000 appartenevano al quartile socio-economico e culturale più basso (il 25% delle famiglie in maggior disagio). Tra questi, sono 34.000 i ragazzi resilienti che provengono dalle famiglie più svantaggiate – il 26%. Sono quei ragazzi che riescono quindi ad acquisire un bagaglio di competenze tale da favorire l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, fondamentale per avere un ruolo attivo nelle loro comunità. Tra i ragazzi resilienti, quasi 5.000 (3,79%) raggiungono i livelli di competenze più alti in matematica, e circa 1.000 sono considerati ‘top performer‘ (0,75%), ovvero raggiungono il livello massimo di competenze. In lettura, la percentuale di top performer si riduce allo 0,09% (120 alunni).

Gli alunni resilienti sono maggiormente concentrati al Nord, dove, ad eccezione della Ligura, più di un terzo dei minori di 15 anni svantaggiati dal punto di vista socio-economico, sono resilienti educativi, con punte del 45% in Veneto e 46% in Lombardia. Al Centro tale percentuale si attesta tra il 20% e il 30%, mentre nelle regioni del Sud e delle Isole scende sotto il 20%. Soltanto la Puglia si distingue positivamente, con una percentuale superiore al 25%. Fanalino di coda Calabria e Sicilia con il 12% e 14% rispettivamente. La resilienza è favorita o ostacolata da una serie di fattori, inirenti alla situazione famigliare, le opportunità formative a scuola, e nella comunità educante.

I fattori più importanti che aiutano i minori in condizioni socio economiche più difficili a essere resilienti sono la frequenza ai servizi per la prima infanzia (aumentano la probabilità dei minori meno abbienti di essere resilienti del 39%) e a scuole dove gli insegnanti  interagiscono positivamente e regolarmente con gli alunni e le loro famiglie (il 100% di probabilità in più di essere resilienti) e hanno infrastrutture fisiche di qualità (il doppio di probabilità in più). Inoltre, i ragazzi più svantaggiati, ma che vivono in contesti dove il tasso di dispersione scolastica è più basso rispetto alla media nazionale (17,3%), hanno oltre il 50% di probabilità di essere resilienti. La resilienza è anche fortemente favorita dalla partecipazione ad attività sportive, ricreative e culturali. I minori meno abbienti, ma che vivono in aree geografiche dove l’offerta culturale e ricreativa è maggiore rispetto alla media nazionale (quindi dove più del 38% dei minori ha svolto almeno 4 attività tra le seguenti: sport in modo continuativo, internet ogni giorno, teatro, concerti, musei, siti archeologici, lettura di un libro) hanno il triplo delle probabilità di essere resilienti, rispetto ai coetanei che vivono in contesti dove l’offerta è limitata. Infine, l’aquisizione delle abilità definite ‘non-cognitive’, quali la motivazione, la fiducia in se stessi, la perseveranza, è un passo fondamentale per avviare percorsi di resilienza tra i minori. La probabilità di essere resilienti aumenta infatti del 36% per i minori meno abbienti che indicano di  ‘non mollare facilmente’ di fronte alle difficoltà sia nello studio che nella vita, o che sono convinti che la scuola faccia ‘molto per preparami alla vita’ (78% di probabilità in più), l ‘andare bene (a scuola, nella vita) dipenda principlamente da me’ (il 133% di probabilità in più), e ‘lo studio è importante per le prospettive di lavoro future’ (145% di probabilità in più di essere resilienti).

Di converso, vi sono alcuni fattori che ostacolano la resilienza. I minori svantaggiati, ad esempio, che vivono in luoghi dove il tasso di criminalità minorile e l’incidenza della povertà è superiore alla media nazionale (1,4% ed al 12,6% rispettivamente) hanno tra il 30 ed  il 70% di probabilità in meno di attivare percorsi di resilienza educativa. Gli stessi alunni che vivono in aree dove il tasso di disoccupazione giovanile supera la media nazionale (35,3%) hanno una probabilità di quasi due volte più bassa di essere resilienti educativi, rispetto ai loro coetanei che abitano in zone dove le opportunità lavorative per i giovani sono più elevate. Le ragazze hanno il 79% di probabilità in meno dei ragazzi di essere resilienti. Mentre minori migranti di prima generazione, ovvero nati all’estero da genitori migranti, hanno una probabilità di essere resilienti due volte minore rispetto ai coetanei nati in Italia sia da genitori italiani che stranieri.

Infine, l’analisi ha evidenziato una serie di fattori che hanno scarsa influenza sulla resilienza. Ad esempio, la presenza la quantità di computer o l’utilizzo di internet a scuola, non necessariamente sembrano aiutare la resilienza. Questo dato sembra indicare che il solo investimento nelle strumentazioni tecnologiche in ambito scolastico può rimanere infruttuoso se non si investe, allo stesso tempo, sul cambiamento della didattica ed in particolare sulla formazione dei docenti per un utilizzo consapevole ed educativo delle TIC. Inoltre, la composizione familiare, oppure la condizione di lavoro della madre, in particolare l’essere casalinga, non hanno influenza sulla resilienza. Questo ultimo aspetto è particolarmente importante, perché dimostra quanto alcune credenze presenti nel nostro Paese, discriminatorie, che identificano nella donna che rinuncia al lavoro un fattore protettivo primario per la riuscita del minore, siano assolutamente inconsistenti. 

Riferimenti

Nuotare Contro Corrente. Povertà educativa e resilienza in Italia