Dal Reddito di inclusione (Rei) al Reddito di dignità (Red). Non è solo un esercizio linguistico, né una variante concettuale: è il tentativo di assicurare dignità attraverso il lavoro, non solo assicurare l’opportuna assistenza; è l’impegno di tutelare e includere non solo le nuove povertà, ma anche chi ha perso il lavoro e ha un mutuo da pagare, senza essere ancora arrivato all’indigenza.
Mentre il Rei cammina sulle gambe dell’Inps e dello Stato – sebbene le domande debbano comunque essere fatte presso il Comune di residenza – il Red è un’iniziativa di welfare territoriale, una forma di welfare di comunità, pagato con i soldi che il Comune mette a bilancio come spesa corrente.
L’Italia dei Comuni si conferma il network essenziale per rendere efficiente ogni azione di protezione sociale, rivolta all’inclusione dei più deboli e all’assistenza dei meno fortunati. Il Reddito di dignità è frutto di un’iniziativa a favore degli esclusi; meglio, a favore di chi si è ritrovato escluso in modo traumatico dal mercato del lavoro e dalle protezioni connesse. A differenza del Rei, il Red, reddito di dignità, prevede una "presa in carico" da parte del Comune che attiverà una serie di progetti che richiederanno un impegno di 18 ore settimanali per una durata massima di 18 mesi.
Il welfare riparte dai Comuni e si chiama reddito di dignità
Guido Castelli, Huffington Post, 6 febbraio 2018