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Negli ultimi mesi è cresciuta l’attenzione verso i consumi energetici domestici e i relativi effetti sull’impoverimento. Tre sono le ragioni principali di questo interesse: l’inflazione dei beni energetici; il dibattito sui “bonus” emanati negli anni recenti; il cambiamento climatico e i suoi effetti sul welfare. Temi di cui si sta discutendo molto in questi giorni e su cui proviamo a fare luce in questo approfondimento.

I costi energetici

Secondo i dati pubblicati da Istat, a febbraio 2023 i prezzi al consumo dei beni energetici sono aumentati del 28,2% su base annua. Nonostante il ritmo di crescita sia rallentato rispetto al mese precedente l’inflazione resta altissima, soprattutto per i beni non regolamentati (+40,8% rispetto all’anno precedente). In particolare, i prezzi dell’energia elettrica mercato libero sono a +101,3%; gas naturale mercato libero +72,9%; gasolio per riscaldamento +13,2%.

L’inflazione dei beni energetici ha effetti importanti sui redditi degli individui, se consideriamo che tali beni non sono né comprimibili né discrezionali. In altre parole, a fronte di un rincaro dei costi le famiglie sono costrette a tagliare sui consumi – e quindi ad esempio a scaldare poco la propria abitazione – o a distogliere risorse da altre spese, ad esempio quelle per l’istruzione, per la salute o per i prodotti alimentari (questi ultimi sono peraltro il secondo settore più colpito dall’inflazione, con un +13% su base annua).

Teniamo presente inoltre che le spese abitative (che comprendono appunto anche riscaldamento, gas e elettricità) rappresentano una parte significativa del bilancio familiare e incidono soprattutto sulle capacità di spesa delle famiglie meno abbienti. L’incidenza sul reddito delle spese per la casa risulta per le famiglie del primo quintile circa 5 volte superiore rispetto a quelle dell’ultimo1 (Istat 2022).

La povertà energetica: dati e trend

Assistiamo dunque a una tendenza che inasprisce le condizioni di chi già versa in povertà e che impoverisce il resto delle famiglie, aumentando il numero dei vulnerabili. Consideriamo che la povertà energetica2 già a fine 2021 colpiva circa 2,2 milioni di nuclei familiari (8,5%) (Oipe 2022). Come riporta Enea, la povertà energetica colpisce soprattutto le famiglie in cui il soggetto di riferimento ha un’età tra i 18 e i 34 anni (10%) e quelle in affitto (14%); il fenomeno inoltre cresce al crescere del numero dei componenti del nucleo familiare e all’età degli edifici, con tassi più alti per le abitazioni edificate negli anni Cinquanta (9,8%) e negli anni Ottanta (8,3%). Per le abitazioni di più recente costruzione (tra gli anni Novanta e gli anni Duemila) il peso specifico della povertà energetica si riduce considerevolmente: rispettivamente 5,4% e 3,9% (Enea 2023). Un dato molto esplicativo, se consideriamo che oltre il 70% delle famiglie italiane risiede in immobili costruiti prima del 1990 e oltre una famiglia su dieci vive in abitazioni precedenti al 1950 (si tratta del 17,9% delle famiglie che vivono nei Centri di area metropolitana) (Istat 2022).

I bonus per la riqualificazione energetica

Un contributo significativo alla riduzione delle spese energetiche è dato dalla riqualificazione delle abitazioni. Lo Stato italiano ha provato a incentivare questi interventi con l’introduzione di specifici “bonus” che danno la possibilità di detrarre dalle imposte le spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici – a cui si sono aggiunte anche le opzioni della cessione del credito e dello sconto in fattura, molto dibattute in queste settimane. I numeri sugli effetti sono al momento ancora poco chiari, il dibattito pubblico è molto polarizzato e influenzato da quello politico, il che rende difficile fare una valutazione ponderata. Da quanto emerso finora si possono avanzare però almeno alcune considerazioni.

Le agevolazioni fiscali associate all’abitazione hanno un’incidenza marcatamente regressiva, ossia vanno a beneficio delle persone con redditi più elevati (Baldini e Pavolini 2022), lasciando indietro più poveri, che non possiedono un’abitazione – e quindi non possono fruire di benefici riservati ai proprietari – e che spesso vivono in alloggi non efficienti – si pensi solo alle condizioni in cui versa una buona parte dell’edilizia residenziale pubblica. A questo proposito va specificato però che il Superbonus, ad esempio, era fruibile anche da Istituti autonomi case popolari (Iacp) comunque denominati o altri enti che rispondono ai requisiti della legislazione europea in materia di “in house providing” su immobili, di loro proprietà ovvero gestiti per conto dei comuni, adibiti ad edilizia residenziale pubblica. Secondo i dati raccolti da Altreconomia risultavano avviati al 28 febbraio 2022 più di 122.000 cantieri su condomini ed edifici unifamiliari per interventi che usufruiscono della detrazione fiscale prevista dal Superbonus 110%, con un investimento complessivo pari a 21,4 miliardi di euro. Gli interventi avviati dagli Iacp erano invece solo 1.452, con un investimento totale che ammontava a 40,6 milioni di euro.

Il rapporto tra i cantieri avviati per intervenire sul patrimonio residenziale pubblico e quelli sugli edifici privati è dunque di 1 a 84. “Bisogna però ricordare che questi ultimi sono partiti più tardi rispetto ai cittadini proprietari di case singole o ai condomini privati”, si spiega nel citato articolo di Altreconomia: “secondo le previsioni della federazione (Federcasa, NdR) entro la fine del 2023 verranno attivati interventi per un investimento totale compreso fra 3 e 3,5 miliardi di euro su 60-70.000 alloggi classificati ad alto consumo energetico”. Cifre che, se confermate, indicherebbero comunque uno spazio marginale per l’edilizia pubblica, quanto meno in proporzione a quanto fatto sul fronte di quella privata.

In un Paese dove il 70% dei nuclei vive in abitazioni di proprietà, il tasso di proprietari è piuttosto elevato anche tra le fasce povere: il 55% delle famiglie nel quintile più povero infatti risiede in abitazioni di proprietà. L’utilizzo dei bonus è però sostanzialmente precluso alle famiglie più povere, sebbene siano potenzialmente interessate dai bonus in quanto spesso proprietarie della propria abitazione. Questo accade da un lato per la mancanza di competenze e la difficoltà nel gestire le procedure richieste; dall’altro perché le famiglie, essendo spesso incapienti, non riescono a far valere le detrazioni previste.

Cambiamento climatico e welfare

Le considerazioni sopra esposte si inseriscono nel più generale dibattito sul rapporto tra welfare e ambiente. Il dibattito accademico – meno, al momento, quello pubblico – ha iniziato a interrogarsi ampiamente su come la questione ambientale apra nuovi scenari e ponga nuove sfide per il welfare state. Parlando di casa, ad esempio, ci possiamo chiedere se l’efficientamento energetico delle case possa essere considerato una misura di welfare abitativo. La risposta è affermativa: la qualità di un’abitazione influisce significativamente sul benessere di chi la abita.

Un’abitazione efficiente consente di risparmiare sulle spese abitative, liberando risorse per l’istruzione o per alimentarsi, e favorisce la salute, perché consente ad esempio di restare al caldo d’inverno e di rinfrescarsi in estate. Da questo punto di vista è necessario allora interrogarsi su come favorire l’accesso ad abitazioni efficienti anche ai più poveri, che più spesso vivono in abitazioni vecchie e di scarsa qualità. Secondo quanti riporta Istat infatti “sono più esposte a problemi relativi alla propria abitazione le famiglie del quinto più povero (in cui il 14,8% lamenta la presenza di strutture danneggiate, il 16,5% problemi di umidità, il 8,8% scarsa luminosità), con percentuali decisamente superiori a quelle dichiarate dalle famiglie con redditi più elevati” (Istat 2022, p.8).

La questione è complicata dal fatto che le politiche abitative sono utilizzate molto spesso per raggiungere obiettivi che vanno ben oltre l’assicurare a tutti un’abitazione dignitosa: “vi è uno stretto rapporto fra politiche abitative, sviluppo economico, andamento del mercato del lavoro, strategie familiari di risparmio e consenso politico” (Baldini e Pavolini 2022). I bonus sono un esempio di questa complessità, perché possono essere giudicati più o meno positivamente a seconda di come li consideriamo: sono strumenti per rilanciare il settore edilizio (prospettiva dello sviluppo economico/mercato del lavoro), per ridurre i consumi energetici (prospettiva ambientale) o per favorire la qualità dell’abitare (prospettiva sociale)?

Pensare alle politiche per la casa integrando diverse prospettive – ambientale, economica, sociale – rende certamente più complicato il quadro di azione. Tuttavia le sfide poste dal cambiamento climatico e i numeri della povertà abitativa e energetica richiedono di farlo.

Riferimenti bibliografici

 

Note

  1. Convenzionalmente i redditi delle famiglie sono ordinati in ordine crescente e suddivisi in cinque parti (quintili): i cinque quintili rappresentano cinque livelli di crescente benessere economico.
  2. Per povertà energetica si intende la difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici o, in alternativa, un accesso ai servizi energetici che implica una distrazione di risorse, in termini di spesa o di reddito, superiore a un “valore normale”.
Foto di copertina: PIRO, Pixabay.