I termini per la presentazione dei progetti che saranno finanziati attraverso il Fondo di contrasto alla povertà educativa sono scaduti. Nel complesso sono state raccolte circa 1.200 proposte, di cui 395 riguardanti la fascia 0-6 anni (il cui bando è scaduto il 26 gennaio) e quasi 800 rivolte alla fascia 11-17 anni (il cui bando è scaduto l’8 febbraio).
Il Fondo povertà educativa, che nasce grazie alla collaborazione fra governo e fondazioni di origine bancaria (FOB), nel 2016 ammontava a 115 milioni di euro, destinati a due diversi bandi dedicati alla prima infanzia (0-6 anni) e all’adolescenza (11-17 anni). Per il 2017, sono invece stati previsti finanziamenti per oltre 120 milioni che si rivolgeranno anche ad altre fasce di età.
Abbiamo discusso del funzionamento del Fondo e delle sfide che si prepara ad affrontare con Marzia Sica, rappresentante per la Compagnia di San Paolo all’interno del Comitato di Indirizzo Strategico del Fondo.
Attraverso quali meccanismi le fondazioni sono coinvolte nel Fondo povertà educativa?
L’adesione al Fondo da parte delle Fondazioni è su base volontaria. Nel 2016, primo anno di operatività del Fondo, l’Acri ha coinvolto quasi tutte le FOB italiane sollecitando Il loro apporto.
Le fondazioni di origine bancaria sono 88 e, nel 2016, ben 72 sono state coinvolte nel Fondo. Le FOB sono coordinate dall’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio (Acri), che funge da tramite tra il Comitato di Indirizzo e le fondazioni. Il Fondo ha natura privata.
Il coinvolgimento delle FOB è poi assicurato anche attraverso l’impresa sociale Con i bambini, creata all’interno di Fondazione con il Sud per gestire le risorse messe a disposizione dal Fondo. All’interno di “Con i bambini” ci sono un Consiglio di Amministrazione e un Comitato d’ascolto composti da rappresentati di FOB e organizzazioni del terzo settore, oltre che da esperti indipendenti.
Com’è stato declinato il tema della povertà educativa all’interno del Comitato di Indirizzo strategico?
Nelle indicazioni del Comitato si è sottolineata l’esigenza di guardare alla povertà educativa in stretta relazione con le altre forme di povertà che possono colpire bambini e ragazzi. Molte FOB vedono nelle azioni rivolte a bambini e famiglie in povertà uno dei principali campi del loro intervento. Credo che i primi due bandi (rivolti alla prima infanzia e all’adolescenza) rappresentino dei passi concreti anche per accendere i riflettori su questo tema, per promuovere nelle agende dei policy makers italiani ed europei l’attenzione verso la povertà educativa.
Quali sono gli elementi maggiormente innovativi del Fondo?
Significativo è, in primo luogo, il modello di intervento. Il Fondo è un’iniziativa del governo in collaborazione con le FOB e vede la partecipazione del Forum del Terzo Settore. Si tratta di un’iniziativa in cui la cooperazione pubblico/privato è reale e intensa. Le FOB infatti, per la prima volta, non sono soltanto erogatrici di risorse, ma contribuiscono in maniera significativa alla programmazione e all’individuazione delle linee strategiche d’azione.
In secondo luogo, l’innovazione si lega anche all’approccio che il Fondo sostiene. In proposito, a noi piace parlare di “opportunità educativa” piuttosto che di “povertà educativa”. Questo significa guardare non tanto a cosa manca ai nostri bambini e ragazzi, ma piuttosto a cosa potremmo aggiungere per promuovere le competenze di crescita e il benessere a tutto tondo di bambini e di adolescenti.
Infine, altro elemento importante è la centralità della “comunità educante”. Chi assume la responsabilità educativa di bambini e di adolescenti? Noi riteniamo che siano la scuola, la famiglia, l’associazione che lavora con bambini e adolescenti nel pomeriggio, le istituzioni e altri soggetti – a volte anche inediti – del territorio. Questa è la sfida del Fondo, rafforzare le comunità educanti. L’obiettivo è quindi attivare reti territoriali che possano contribuire a prevenire la povertà (economica, culturale e sociale) delle famiglie. In questi anni di crisi del lavoro e di crisi dei legami familiari si è diffuso sempre più il fenomeno della solitudine delle famiglie.
Non sempre si tratta di famiglie economicamente povere, ma spesso di nuclei che lamentano l’assoluta mancanza di reti. Un problema che hanno ovviamente anche molte famiglie in povertà economica. Questo è davvero un fenomeno con il quale dobbiamo confrontarci quando parliamo di povertà educativa, perché famiglie sole crescono bambini e ragazzi soli. Ci sono bambini e ragazzi che frequentano la scuola (talvolta anche con dei buoni rendimenti), ma che poi, a causa di motivi economici o della povertà culturale dei loro genitori, non frequentano attività pomeridiane, non hanno opportunità di sviluppare competenze trasversali, non hanno possibilità di avere amici, di condividere spazi di socialità con coetanei, di realizzare esperienze di cittadinanza attiva. Ecco, le comunità educanti mirano a affrontare queste situazioni.
Quindi il Fondo non intende rivolgersi solo alle famiglie in povertà?
Ovviamente l’obiettivo primario del Fondo è rivolgersi ai bambini e ragazzi in condizioni di disagio e in territori dove c’è una situazione più difficile, ma riteniamo molto importante assicurare un approccio universalistico. La letteratura, soprattutto ricerche italiane e internazionali evidence based, ci insegnano che gli interventi rivolti esclusivamente ai bambini e ai ragazzi svantaggiati non sono sempre efficaci. Gli interventi più adeguati sono invece quelli rivolti a tutti i minori i e a tutte le famiglie. Questo per evitare ulteriori e inutili emarginazioni di target di popolazione svantaggiata e per assicurare la riattivazione di reti e di relazioni tra le famiglie e i minori.
Giustamente, le risorse del Fondo sono comunque ripartite a livello territoriale tenendo conto di indicatori relativi alla povertà educativa, alla presenza di NEET e ad altri fenomeni.
Concretamente come è stato raggiunto questo equilibrio tra universalismo e concentrazione dei finanziamenti nelle zone più bisognose?
Questo è stato un tema oggetto di dibattito all’interno del Comitato di Indirizzo strategico: concedere più fondi a chi ha i progetti migliori o assicurare più fondi a chi ne ha più bisogno perché si trova in condizioni peggiori? Si è quindi giunti ad un compromesso, e le risorse sono state suddivise in due canali di finanziamento. C’è una graduatoria su base regionale, in cui le risorse sono concentrate nelle zone dove sono presenti maggiori criticità. E poi c’è una graduatoria nazionale che risponde all’esigenza di promuovere progetti fortemente innovativi, in cui si sostenga il trasferimento di esperienze e di competenze tra soggetti attivi in diversi territori e in cui le comunità educanti operanti in diverse aree del Paese siano effettivamente protagoniste.
In che modo la Compagnia di San Paolo ha sostenuto la preparazione di progetti di contrasto alla povertà educativa?
Abbiamo realizzato molta attività di informazione e sensibilizzazione sul Fondo e sulle sue modalità di funzionamento, ad esempio attraverso l’organizzazione di incontri di formazione e seminariali; abbiamo inoltre accompagnato diverse realtà che si sono rivolte a noi a seguito di questi incontri informativi. Questa attività di sostegno si è rivolta anche a numerosi soggetti del terzo settore e a istituzioni pubbliche locali dei territori di riferimento della nostra Fondazione interessati al Fondo povertà educativa. In tutti i casi abbiamo assicurato un supporto esterno a processi che si sono poi sviluppati in autonomia.
Infine, nel caso di soggetti interessati a presentare progetti nelle graduatorie nazionali, abbiamo sostenuto lo sviluppo di reti anche suggerendo la collaborazione con possibili partner attivi in altre regioni d’Italia
Quali sono le aspettative di Compagnia di San Paolo rispetto al Fondo povertà educativa?
L’aspettativa è molto elevata. In primo luogo, ci aspettiamo che il Fondo sostenga interventi effettivamente innovativi rispetto al tema della povertà educativa. In particolare, ci piacerebbe che il Fondo finanziasse progetti capaci di produrre un reale scambio tra realtà di diversi territori del nostro Paese quotidianamente impegnati a favorire opportunità educative per bambini e ragazzi. Riterremmo ad esempio molto interessante trasferire l’esperienza acquisita nel campo del contrasto alla dispersione scolastica a Torino, attiva ormai da decenni, in altre aree del Paese; e dall’altro lato acquisire competenze e metodologie già sperimentate da altri soggetti in altre città italiane sugli stessi temi. L’idea è di favorire lo scambio di esperienze, la loro comparazione, l’elaborazione di nuovi processi e modelli capaci di superare le criticità affrontate da sperimentazioni già sviluppate.
In sostanza – e questa rappresenta la nostra seconda aspettativa – è molto importante condividere e consolidare innovazioni, pratiche e politiche che si svilupperanno all’interno di sperimentazioni promosse all’interno del Fondo, per poter contribuire alla definizione di una vera e propria politica nazionale di contrasto alla povertà educativa. In questo senso, sarebbe importante non limitarsi al supporto e alla valutazione delle singole sperimentazioni e dei loro impatti, ma avviare una lettura sistemica del movimento che si genererà intorno al Fondo di contrasto alla povertà educativa. Ci auguriamo che questo costituisca un tema di ulteriore dibattito e riflessione all’interno del Comitato di Indirizzo Strategico del Fondo.
Infine, la terza aspettativa (anche questa condivisa più volte all’interno del Comitato), è quella di far convergere questo Fondo e altri fondi istituiti con obiettivi simili. Per esempio, poche settimane fa sono stati approvati i decreti attuativi della Buona Scuola, tra i quali anche quelli relativi alla fascia 0-6 anni che prevedono una specifica dotazione finanziaria. Noi ci auguriamo che si possa prevedere una loro effettiva integrazione o complementarietà con quanto sostenuto all’interno del Fondo povertà educativa. Si tratta di una sfida complessa ma, siamo assolutamente convinti, altrettanto necessaria e importante.