Negli ultimi mesi l’abolizione del Reddito di Cittadinanza è stata oggetto di scontri dialettici intensi tra partiti politici, parti sociali e commentatori vari, e non sono mancati episodi che hanno messo in evidenza la profonda tensione sociale che attraversa il nostro Paese. Eppure nel dibattito pubblico sembra mancare la consapevolezza di quello che è accaduto nel sistema che dovrebbe permettere di sostenere chi si trova in povertà.
In questi giorni è stato pubblicato il volume “Sostegno ai poveri: quale riforma? Dal Reddito di Cittadinanza all’Assegno di Inclusione”, che propone una analisi approfondita del Reddito di Cittadinanza (RdC) per arrivare ad analizzare le nuove misure del governo Meloni: l’Assegno di Inclusione (ADI) e il Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL). Si tratta di uno strumento che può aiutare a chiarire molti degli aspetti della riforma approvata dall’Esecutivo, non rivolgendosi unicamente al mondo dell’accademia ma ad un pubblico più vasto, interessato alle questioni economiche e sociali del nostro Paese, così come a chi si occupa professionalmente delle politiche sociali, ai giornalisti e ai policy-maker.
Autori e autrici del volume sono infatti componenti del Comitato scientifico dell’Alleanza contro la povertà in Italia che, all’interno di questa cornice, dal 2021 lavorano insieme per accompagnare l’Alleanza verso la predisposizione di proposte di riforma del RdC (di cui abbiamo parlato ampiamente nel nostro Focus Povertà e inclusione, in particolare approfondendo le 8 proposte presentate a settembre). Fin da quanto era stato disegnato il RdC presentava infatti limiti in termini di equità ed efficienza che richiedevano modifiche sotto molti profili, inclusi i meccanismi di governance e la sua attuazione a livello locale. La strada scelta dall’Esecutivo è stata però diversa.
Un dibattito da sempre polarizzato
Negli anni del RdC la povertà ha continuato a crescere ma il nuovo Governo ha da subito chiarito che non ci sarebbe stato spazio per una riforma del RdC e confermato la sua intenzione di introdurre nuove misure. E così è stato. Tra maggio e luglio 2023 sono state introdotti due nuovi strumenti – l’Assegno di Inclusione e il Supporto per la Formazione e il Lavoro – ed è stata approvata la Legge 85 che nei fatti ha messo fine al RdC.
Come è noto, il RdC è stato in questi anni oggetto di aspri scontri, anche ideologici. Dalla sua introduzione nel 2019 sino alla sostituzione nel maggio 2023 il dibattito è sempre stato fortemente polarizzato. Da un lato, coloro che volevano abolire la povertà per decreto, presentando la misura di reddito minimo come uno schema contro la disoccupazione; dall’altro, chi si opponeva a interventi generalizzati, pur a fronte del forte aumento del rischio povertà e delle disuguaglianze sociali, temendo che tali interventi avrebbero generato effetti negativi sul comportamento dei beneficiari e sulla loro propensione ad attivarsi e cercare un’occupazione regolare. Da un lato, la retorica del RdC come panacea contro tutti i mali del welfare italiano; dall’altro quella contrapposta di una misura facile preda dei “furbetti” e delle organizzazioni criminali.
La contrapposizione di queste posizioni non ha contribuito ad alimentare un dibattito sulle misure di contrasto alla povertà razionale e basato su evidenze empiriche.
Le domande giuste per dare un giudizio
Il volume mostra che uno schema universalistico di reddito minimo come il RdC è un tassello importante del sistema di protezione sociale italiano perché non segmenta la popolazione tra categorie di appartenenza in base alle caratteristiche dei componenti del nucleo familiare o al loro status occupazionale. Uno schema di questo genere, ispirato al principio dell’universalismo selettivo e rivolto a chi è in condizioni di bisogno, indipendentemente da altre caratteristiche dell’individuo o della famiglia al di là dell’insufficienza di risorse economiche, contribuisce ad assolvere una funzione fondamentale di un sistema di welfare moderno e compiuto: il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, anche attraverso l’attivazione e la capacitazione dei suoi beneficiari, tutelando in questo modo individui e famiglie non raggiunti dagli schemi di assicurazione sociale (come le pensioni o le indennità di disoccupazione).
Partendo da queste analisi, sostenute da numerosi dati, il volume mette a tema diverse questioni che richiedono risposta. La riforma introdotta dal governo Meloni va nella direzione di superare i limiti e correggere gli errori di disegno e attuazione del RdC? La nuova misura di contrasto alla povertà, l’ADI, assieme all’indennità di partecipazione a misure di politica attiva, il SFL, funzioneranno oppure la riforma finirà per creare nuovi problemi? C’è forse il rischio che con questo intervento si creino problemi maggiori di quelli che si propone di risolvere?
Per formulare un giudizio sulla riforma Meloni, valutandone i pro e i contro e offrendo previsioni sulla sua efficacia, autori e autrici prendono le mosse da un’analisi sistematica delle caratteristiche e dei limiti principali del RdC. Nel quadro delle esperienze pregresse e delle tentate riforme volte a introdurre in Italia uno schema di reddito minimo garantito legato a percorsi di inclusione sociale e lavorativa, sulla scorta delle analoghe esperienze europee, il testo affronta quindi i tanti e diversi nodi critici emersi nel corso della breve attuazione del RdC.
Il passo indietro dell’Italia nel contrasto alla povertà
L’Italia, infatti, è stata per lungo tempo l’unico Paese in Europa a non essersi dotato di una politica nazionale di contrasto alla povertà pur di fronte a una situazione di forte deterioramento delle condizioni economiche e di esclusione sociale, esacerbate dalla crisi del 2008, non solo tra le fasce tradizionalmente più svantaggiate, ma anche tra parti consistenti di lavoratori a basso reddito e precari, soprattutto donne, giovani e residenti nelle regioni meridionali.
In Italia, per assistere all’introduzione definitiva di uno schema universalistico e non categoriale, si è dovuto attendere luglio 2018 quando, con l’eliminazione dei vincoli categoriali di accesso al Reddito di Inclusione (REI), per la prima volta il Paese si è dotato di uno schema di reddito minimo ispirato al criterio dell’universalismo selettivo e rivolto a tutti quanti versassero in condizioni di bisogno economico, senza ulteriori condizioni relative alle caratteristiche individuali e familiari. Una svolta che ha rappresentato una rottura rispetto al passato, mobilitando un investimento di finanza pubblica comparabile a quello degli altri Paesi europei, tra lo 0,3 e lo 0,4% del PIL, aprendo la copertura a una platea molto più ampia e prevedendo un sussidio di tutt’altro importo rispetto al REI.
Ma l’impostazione, il disegno e l’implementazione del RdC hanno evidenziato – e da subito – una serie di limiti che una riforma votata all’introduzione di uno schema di reddito minimo equo, efficiente ed efficace avrebbe dovuto superare. “Sostegno ai poveri: quale riforma?” vuole contribuire ad approfondire questi aspetti, sia guardando a quanto è stato fatto in passato ma anche a quello che si potrebbe fare in futuro.
I contenuti del volume
I capitoli del volume prendono in considerazione tali limiti, per identificare gli interventi correttivi che sarebbero stati necessari e che costituiscono anche le basi per la valutazione della riforma del governo Meloni.
Il Capitolo 2 descrive l’architettura del RdC e gli elementi che lo caratterizzano rispetto ad altri omologhi dispositivi precedentemente introdotti e con una attenzione particolare a mettere in luce i requisiti di ammissibilità, le platee dei beneficiari, gli importi, i vincoli all’attivazione e le condizionalità tra presa in carico socio-assistenziale e inserimento attivo nel mercato del lavoro.
Successivamente il volume affronta quatto temi principali.
Presenta una serie di elaborazioni che mettono in evidenza in maggior dettaglio le caratteristiche della platea degli eleggibili, valutando possibili scenari di riforma che avrebbero consentito di migliorare l’impianto del RdC rispetto ai limiti evidenziati dall’analisi. Tali scenari sono utili a considerare se la direzione presa dal governo Meloni nella sua riforma possa consentire di superare le criticità del RdC. Fra le criticità note, in particolare il Capitolo 3 si sofferma:
- sul problema delle famiglie povere di reddito ma con un patrimonio lievemente superiore alla soglia di eleggibilità per il RdC (un problema questo che ha condizionato l’equità orizzontale nell’accesso alla misura);
- sui requisiti di residenza particolarmente stringenti che escludevano dal beneficio soprattutto i cittadini extracomunitari;
- sulla scala di equivalenza che sia dal punto di vista dei requisiti di accesso, sia dell’importo delle prestazioni erogate, sfavorisce relativamente i nuclei familiari più numerosi.
Ricostruisce poi le diverse fasi di implementazione del RdC, dalla presentazione delle domande alla realizzazione dei percorsi di inserimento e di inclusione. Qui il focus è sulle criticità del disegno istituzionale e sui fattori di contesto, quali le differenze territoriali relative alla disponibilità di servizi, alle opportunità di lavoro e alle diverse culture politico-amministrative locali, che hanno avuto un peso negli esiti del processo di attuazione. Nelle sue conclusioni, il Capitolo 4 individua le aree su cui sarebbe auspicabile intervenire per strutturare in modo efficace la connessione tra la componente di trasferimento economico e quella di attivazione tipica degli schemi di reddito minimo di ultima generazione diffusi in Europa.
Affronta inoltre il nodo del raccordo del sussidio monetario con l’occupazione, in particolare rispetto al ruolo giocato dai meccanismi di cumulo con i redditi da lavoro, discutendo anche il funzionamento dei cosiddetti in-work benefit. Il disegno del RdC prevedeva meccanismi sfavorevoli sia all’accesso alla misura per cittadini e cittadine a basso reddito, sia alla combinazione tra sussidio e reddito da lavoro per chi trova una nuova occupazione, dando così luogo a rischi di trappola della povertà. Questo è tanto più problematico quanto più, nel periodo post-pandemico, si sono pericolosamente accostati al rischio di disoccupazione e povertà molti lavoratori a basso salario. Sulla scorta di questa analisi, il Capitolo 5 elabora degli scenari di riforma del RdC, che offrono elementi utili al confronto con le misure introdotte dal governo Meloni.
Descrive, infine, la riforma introdotta dal governo Meloni fornendo chiavi interpretative alla luce delle lezioni apprese attraverso l’analisi del RdC. Il Capitolo 6 si sofferma sia sull’Assegno di Inclusione che sul Supporto per la Formazione e il Lavoro mettendone in luce gli elementi qualificanti e le criticità:
- l’ADI, in quanto sostegno al reddito di ultima istanza di tipo categoriale, può essere definito come uno schema di reddito minimo «atipico» nel panorama europeo, dove vige ovunque il principio dell’universalismo selettivo (ovvero, tutelare tutte le persone in condizione di bisogno, indipendentemente dalla «categoria» a cui appartiene il loro nucleo familiare)
- il SFL è una misura di attivazione lavorativa, sempre categoriale, che conta su un trasferimento economico temporaneo e, quindi, non può essere considerata uno schema di reddito minimo.
Attraverso queste analisi, come detto, il volume – disponibile in formato open access sul sito di Egea – si propone come un utile strumento per capire meglio il percorso del Reddito di Cittadinanza, tra limiti, meriti e opportunità mancate. Ma anche e soprattutto la direzione che ha preso, e che dovrebbe prendere, la riforma voluta dal Governo, che ha abolito la misura. Lo fa mettendo nero su bianco analisi e riflessioni di esperti e studiosi di questi temi, rivolgendosi tuttavia a un pubblico ampio e variegato interessato ad approfondire questioni che sono state tra le più divisive degli ultimi anni e che, inevitabilmente, continueranno a essere al centro del dibattito.