La spesa sociale dei Comuni italiani nel 2020 è stata di 7 miliardi e 848 milioni di euro. La cifra è aumentata del 4,3% rispetto al 2019, e questo è dovuto principalmente all’emergenza pandemica che ha portato a stanziamenti straordinari per fronteggiare alcuni problemi. A dirlo è la rilevazione pubblicata dall’Istat ad aprile 2023, riferita appunto al primo anno della pandemia.
L’impatto del Covid sulle voci di spesa dei Comuni
Ai Comuni compete la gestione degli interventi e dei servizi sociali che hanno lo scopo di tutelare i cittadini rispetto a una serie di rischi o bisogni di varia natura: invalidità, vecchiaia, necessità legate alla crescita dei figli, povertà ed esclusione sociale, ecc.
Con l’inizio della pandemia si è registrato un cambiamento nella composizione della spesa, sia per il tipo e la funzione dell’assistenza fornita, sia per le caratteristiche dei destinatari. A crescere è stata soprattuto la voce “povertà, disagio adulti e persone senza dimora”, passata dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva. Fra le altre aree di utenza, quelle che hanno visto aumentare leggermente la spesa sociale sono “Famiglia e minori” (+1,3%) e “Immigrati, Rom, Sinti e Caminanti” (+2,2%), mentre si riduce la spesa per i servizi offerti ai disabili (-5,9%) e agli anziani (-1,7%). In calo anche la spesa per le dipendenze (-8%) che, tuttavia, assorbe una quota marginale della spesa sociale dei Comuni. Ad aumentare sono state anche le spese per i servizi generali e la multiutenza (+5,9%).
È aumentata per tutte le aree di utenza la spesa erogata sotto forma di trasferimenti in denaro (+22,7%), in particolare a causa dei contributi a sostegno del reddito per i cittadini in difficoltà economica, mentre è diminuita (-3,7%) la spesa per i vari interventi e servizi (assistenza domiciliare, trasporto sociale, ecc.), di cui in alcuni periodi dell’anno non si è potuto beneficiare a causa dell’emergenza sanitaria.
Nel 2020 sono aumentate soprattutto le misure in contrasto alla povertà
Come detto, il dato più significativo rilevato da Istat nella composizione della spesa può essere ricondotto all’area “povertà, disagio adulti e persone senza dimora”, che è aumentata del 72,9% passando da 555 a 959 milioni di euro.
Le persone prese in carico dai servizi sociali per problemi di povertà ed esclusione sociale nel 2020 sono circa 500.000. Le persone o i nuclei familiari beneficiari che hanno ottenuto sussidi per l’acquisto di alimenti e beni di prima necessità risiedono per il 46,5% al Nord, il 24,2% al Centro e il 29,3% nel Mezzogiorno e l’importo medio percepito nell’anno per utente è di 371 euro.
La spesa che è aumentata in maniera più consistente è stata quella relativa a “buoni spesa o buoni pasto” (ne avevamo parlato qui). La pandemia ha infatti aumentato il numero di persone con difficoltà ad accedere a beni alimentari e, pertanto, in povertà alimentare: le persone che hanno beneficiato di interventi dei Comuni in tal senso sono state oltre 743.000, a fronte delle 21.500 del 2019. Questo grazie a finanziamenti straordinari disposti a partire da marzo 2020.
Rimane preoccupante il divario territoriale
Come per gli scorsi anni, l’offerta di servizi socio-assistenziali di cui i cittadini possono beneficiari è caratterizzata da notevoli differenze tra Nord, Centro e Sud Italia.
Un indicatore di sintesi della disparità nella fruizione di servizi è dato dalle risorse economiche che i Comuni hanno utilizzato nell’anno in rapporto alla popolazione residente: mediamente la spesa sociale dei Comuni del Sud, pari a 66 euro pro-capite, è la metà rispetto alla media nazionale (132 euro) e poco più di un terzo rispetto al Nord-est dove è di 184 euro. Il Nord-ovest e il Centro si attestano su 145 e 141 euro rispettivamente, al di sopra della media italiana (132 euro), su cui converge la ripartizione delle Isole, ma con due situazioni molto differenti: da un lato la Sardegna, che ha una spesa pro-capite fra le più alte in Italia (283 euro pro-capite) e dall’altro la Sicilia, con un valore decisamente inferiore (82 euro).
Questo, come si può intuire, influisce anche su quantità e qualità dei servizi offerti in alcune zone del Paese. Istat, ad esempio, riporta che quasi il 30% dei Comuni del Mezzogiorno non offre il servizio di assistenza domiciliare agli anziani in condizioni di fragilità. Al Centro i Comuni che non offrono questo tipo di assistenza sono invece meno del 15% e sono neanche il 10% al Nord, dove per altro vengono erogati voucher, assegni di cura e buoni socio-sanitari agli anziani non autosufficienti da più del 70% dei Comuni, contro il 33% dei Comuni al Centro, il 12% al Sud e il 13% nelle Isole.