Lo scorso 14 giugno il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la Child Guarantee, una raccomandazione che mira a prevenire e combattere l’esclusione sociale e la povertà di bambini e ragazzi. L’approvazione arriva al culmine di un percorso durato sette anni e che nei prossimi mesi vedrà i Paesi membri impegnati nell’adozione di un proprio Piano di Azione da presentare entro marzo 2022 alla Commissione Europea per attuare la Raccomandazione. Abbiamo discusso di Child Guarantee e delle prospettive che si aprono a seguito della sua adozione con Christian Morabito, Ricercatore Senior di Save the Children e collaboratore della Fondazione per gli Studi Progressisti Europei (FEPS) di Bruxelles.
Come si è arrivati all’idea di mettere in campo una Child Guarantee?
È una storia che va abbastanza indietro nel tempo. L’idea di una Child Guarantee nasce nel 2014, in occasione di un hearing del Parlamento Europeo seguito poi, nel 2015, da un’apposita Risoluzione sul tema volta a incentivare lo sviluppo di un Programma di Garanzia per l’Infanzia e l’adolescenza e per il contrasto alla povertà multidimensionale. Il tema ha poi acquisito visibilità nel 2019 quando la Commissione Europea ha avviato uno studio di fattibilità volto a esplorare il potenziale campo di applicazione della Child Guarantee. Un anno dopo, nel 2020, la Commissione ha promosso un secondo studio di fattibilità con l’obiettivo di proporre le iniziative e indagare la fattibilità sociale ed economica – in base all’area territoriale di riferimento – delle attività a supporto dei bambini a rischio di povertà ed esclusione sociale.
Quali sono i target e le aree di intervento della Raccomandazione?
La Child Guarantee si articola in quattro target e cinque aree di intervento. I target sono (1) minori in contesti vulnerabili, (2) minori con disabilità, (3) minori con background migratorio o appartenenti a minoranze etniche e (4) minori fuori dalla famiglia, ad esempio in strutture residenziali. Le aree di intervento riguardano invece servizi di cura per la prima infanzia, (2) servizi educativi e attività scolastiche, (3) alimentazione sana e adeguata, (4) condizioni abitative dignitose e (5) assistenza sanitaria.
Quali sono le risorse economiche a cui i Paesi potranno attingere per l’attuazione della Child Guarantee?
La nuova programmazione europea prevede che tutti i Paesi Membri dovranno destinare almeno il 25% delle risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE+) all’inclusione sociale; mentre, almeno il 5% dei Fondi FSE+ dovrà essere destinato a misure di contrasto alla povertà infantile negli Stati, tra cui l’italia, in cui il livello di povertà ed esclusione sociale dei minori è superiore alla media UE. A conti fatti, per l’Italia, si prevede un investimento di circa 650 milioni di euro per i prossimi 7 anni. In sostanza, l’iniziativa ha una capacità economica molto limitata, tuttavia attraverso il Piano di Azione ciascun Paese membro dovrà programmare le azioni attingendo ai diversi fondi a disposizione. In particolare, le risorse dell’FSE dovranno essere integrate con quelle del bilancio nazionale e del Next Generation EU.
In questo senso, come si raccorda la Child Guarantee con il Piano nazionale di ripresa e resilienza?
Gli interventi che saranno realizzati nel quadro della Child Guarantee dovranno chiaramente raccordarsi con quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il PNRR contiene delle sezioni interessanti, ad esempio, la parte sulle infrastrutture sociali e l’housing è del tutto in linea con gli obiettivi della Child Guarantee. Nel caso dei servizi per l’infanzia, il PNRR ha poi previsto dei fondi per la creazione di posti nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, ovviamente è una cosa positiva e in linea con la Raccomandazione europea, tuttavia non sono state previste le risorse per la gestione di questi nuovi posti e questo è chiaramente un limite cui bisognerà guardare con attenzione nei prossimi mesi.
Cosa possiamo aspettarci, in termini di impatto, dalla Child Guarantee?
Fondamentale è il monitoraggio che sarà realizzato a livello europeo: ogni Paese dovrà comunicare cosa intende fare e come; la Commissione Europea monitorerà l’avanzamento delle azioni degli Stati e produrrà delle raccomandazioni specifiche. Il monitoraggio sarà supportato dal Social Scoreboard dell’Eurostat, a cui si aggiungono due o tre indicatori dedicati al rischio di povertà relativa, educativa e all’esclusione sociale dei bambini. Inoltre, ogni Paese dovrà nominare un Child Guarantee Coordinator che coordinerà le attività di pianificazione e il monitoraggio. Trattandosi di una Raccomandazione, siamo nell’ambito della cosiddetta “soft governance” e non sono quindi previste sanzioni nel caso in cui i Paesi siano inadempienti. In generale però possiamo aspettarci che tutto questo contribuisca a portare l’attenzione sul tema dell’infanzia e favorisca quindi l’ingresso di questi temi nell’agenda politica e in quella pubblica. Accanto a questo la Child Guarantee contribuirà a dare corpo e sostanza all’attività di advocacy che le organizzazioni interessate all’infanzia già portano avanti a livello nazionale.
Quali saranno le difficoltà che i Paesi membri incontreranno nella definizione del loro Piano di Azione?
Gli Stati dovranno fare i conti con la scarsità di dati e per questo la sfida è la pianificazione. Attualmente non ci sono le capacità tecniche di raccogliere e analizzare sistematicamente i dati in ciascun Paese e realizzare quindi un attento monitoraggio. Il problema principale è allora la fattibilità del progetto a fronte della carenza di dati disponibili. Queste difficoltà sono emerse nell’ultimo Consiglio informale di Porto.