Come vi abbiamo raccontato in questo approfondimento, a gennaio è partito il progetto “Defining a company welfare system through the joint action of EWCs and Trade Unions in the metal and finance sectors: The key role of workers’ participation rights”. L’iniziativa – finanziata dalla Commissione europea – si propone di sperimentare nuove modalità di cooperazione tra i sindacati aziendali, nazionali ed europei e i Comitati Aziendali Europei (CAE), cioè organismi di rappresentanza dei lavoratori che operano a livello transnazionale e che sono destinati ai dipendenti di quelle società che hanno sedi in più Paesi dell’UE.
In particolare, il progetto – rivolto alle sigle del settore metalmeccanico e finanziario – vuole approfondire la questione del welfare aziendale e occupazionale; attraverso un’indagine che sta coinvolgendo lavoratori e delegati sindacali di 8 Paesi (Italia, Belgio, Francia, Portogallo, Polonia, Slovenia, Serbia, Turchia) i promotori intendono infatti comprendere quali sono le reali esigenze sociali e di conciliazione vita-lavoro di chi lavora, quali prestazioni e misure di welfare sono a loro disposizione e quali sono i potenziali margini di manovra definiti dalle differenti normative nazionali.
Per il nostro Paese partecipano First Cisl e Fim Cisl, le quali sono affiancate dai sindacati di altre 7 nazioni: LBC-NVK (Belgio), CFE-CGC (Francia), NSZZ Solidarno?? (Polonia), SBSI/UGT (Portogallo), SBS (Slovenia), IER-NEZAVISNOST (Serbia) e BASISEN (Turchia); sono poi coinvolti tre Comitati Aziendali Europei (BNP-PARIBAS, ISEO Group e UniCredit Group). Seguono infine due Federazioni Europee (UNI Europa e IndustriALL Europe Trade Union) e l’associazione datoriale FEDERMANAGEMENT.
Gli obiettivi del progetto
Questa particolare progettualità parte dal presupposto che il contesto europeo è caratterizzato da una debolezza del quadro normativo comunitario per quanto riguarda la validità degli istituti contrattuali di secondo livello nei diversi Paesi europei. Gli accordi aziendali che contengono welfare, seppur sottoscritti a livello nazionale da sigle sindacali e datoriali riconosciute, non risultano infatti giuridicamente vincolanti negli altri Stati. Ciò significa che nel momento in cui UniCredit (come vi abbiamo detto qui) decide di introdurre un piano di welfare per i suoi collaboratori in Italia, non ci sono norme che obbligano la società a farlo anche negli altri Paesi in cui è presente.
Ed è proprio con l’obiettivo di garantire una sempre maggiore omogeneità di trattamento dei lavoratori, promuovendo allo stesso tempo una progressiva diffusione delle azioni di welfare aziendale, che nasce questo progetto. I promotori hanno perciò avviato questa azione al fine di garantire una maggiore sinergia e partecipazione ai processi di contrattazione di: sindacati nazionali, che al momento non hanno voce in capitolo a livello comunitario; Comitati Aziendali Europei, che sono titolari solo dei diritti di informazione e consultazione e non hanno potere contrattuale in senso stretto; e federazioni europee di settore, che esercitano solo una moral suasion diretta a una definizione di standard uniformi e possono presiedere le fasi dei negoziati con i loro esperti.
L’idea alla base è che, grazie ad un ruolo definito giuridicamente di tutti questi attori nelle fasi di negoziazione del welfare, sarà possibile assottigliare sempre di più le disuguaglianze e le differenze che oggi esistono tra i lavoratori; sarà inoltre possibile garantire ad un bacino sempre più ampio azioni integrative di welfare che sempre più sono centrali nella vita delle persone.
In concreto, il progetto – che come vi abbiamo detto è stato lanciato da una conferenza tenutasi a Bruxelles – si sviluppa su un periodo di 24 mesi. Ad oggi, dopo circa un anno dall’avvio, è stata creata una survey che è stata poi distribuita a lavoratori e rappresentanti sindacali di tutti i Paesi partecipanti. Inoltre sono stati predisposti eventi e workshop al fine di formare i sindacalisti sul tema del welfare e di portare alla luce le “buone prassi” già in essere, in Italia e non solo.
I risultati preliminari della survey europea
Nonostante le analisi e i dati definitivi saranno resi noti solamente a fine anno, lo scorso settembre sono stati presentati a Roma alcuni risultati preliminari dell’indagine, che ha interessato oltre 1.700 lavoratori italiani (70% appartenenti al settore metalmeccanico e 30% a quello del credito).
Stando a quanto emerso, tra i bisogni più rilevanti per i rispondenti vi sono quelli legati alla cura dei figli e alla genitorialità (definiti come cruciali per il 40% degli intervistati); seguono poi quelli riguardanti la cura degli anziani (30%) e di familiari disabili (10%). È interessante notare poi che quasi l’80% di coloro che hanno partecipato all’indagine ha usufruito di almeno una prestazione di welfare aziendale. A questo riguardo, è stato anche domandato quali – tra le misure previste dalla normativa – fossero considerate più utili: nelle prime posizioni si trovano le azioni legate all’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro e lo smart working, la sanità integrativa e la formazione (aggiuntiva rispetto a quella prevista dal CCNL).
Infine, ci sembra rilevante menzionare i risultati relativi alle esternalità prodotte e i possibili benefici del welfare aziendale. Secondo gli intervistati, i benefit e i servizi di welfare rappresentano in primo luogo uno strumento utile per rispondere ai loro bisogni sociali e quindi capace di dare maggiore serenità nei momenti complessi della vita (ad esempio alla nascita di un figlio o nel momento della malattia di un parente). La seconda risposta data con maggiore frequenza riguarda invece la possibilità di tali politiche di rafforzare il senso di appartenenza tra lavoratori e impresa. Le altre opzioni – di fatto molto staccate rispetto a queste – sono l’incremento della produttività e il miglioramento del clima aziendale.
Tenendo conto dei temi interessanti e, più in generale, dello scopo del progetto, continueremo ad aggiornarvi e seguire con attenzione l’iniziativa. Nei prossimi mesi vi riporteremo i risultati completi dell’analisi, nel tentativo di proporre anche una comparazione tra i vari Paesi europei coinvolti nell’indagine.