“In tutte le aziende ci sono i dispositivi anti-incendio”, dice Flavia Brevi, responsabile comunicazione della Fondazione Libellula. “Allo stesso modo dovrebbero esserci anche dei kit anti-molestie”.
Il paragone è efficace anche perché le fiamme delle molestie in Italia bruciano forte. E toccano tante lavoratrici.
A rivelarlo è l’edizione 2024 della survey L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione), condotta proprio da Fondazione Libellula per indagare la violenza di genere e le discriminazioni nel mondo del lavoro in Italia.
Secondo il sondaggio, che ha coinvolto un campione di 11.201 donne, circa 7 su 10 si sono dichiarate vittime di molestie, avendo ricevuto complimenti, allusioni e osservazioni sul proprio corpo che le hanno messe a disagio. Inoltre, sempre circa il 70% del campione ha dichiarato di aver ascoltato battute sessiste o volgari, rivolte a loro stesse o ad altre donne, sul posto di lavoro: quest’esperienza è stata sperimentata soprattutto dalle lavoratrici che non hanno un partner stabile o che lavorano in aziende con meno di 49 dipendenti.
Ma non è tutto, come spiega un comunicato della Fondazione il 43% delle donne che ha risposto alla survey ha ricevuto avance esplicite indesiderate, il 27% ha segnalato richieste e comportamenti di natura sessuale non graditi o non sollecitati e il 40% ha subito contatti fisici indesiderati.
“Quando ho letto questo ultimo dato” riprende Brevi “ho proprio pensato: ‘questa cosa mi tocca’. E, infatti, il titolo dell’ebook che contiene i risultati del sondaggio, quest’anno, si intitola proprio Ti tocca. Ha una doppia valenza: una relativa, appunto, ai contatti fisici indesiderati, con qualcuno che ti tocca. E un’altra legata alla consapevolezza: ora che conosciamo questo dato ci tocca prendere posizione, prenderne la responsabilità e fare qualcosa”.
Ci sono altri dati che l’hanno colpita tra i risultati della survey?
Quello che non potevo immaginare è che per le donne manager i dati sono peggiori rispetto alla media. Il 79% delle dirigenti e il 76% delle manager è stata oggetto o ha ascoltato delle battute sessiste o volgari verso altre donne, mentre la media è circa al 70%. E se parliamo poi dei contatti fisici indesiderati, la percentuale media del campione (40%) cresce fino al 47% per le dirigenti e al 54% per le imprenditrici. Ma forse l’aumento più significativo si riscontra sui dati riguardanti le avance esplicite indesiderate (43%), di cui sono state vittime il 64% delle imprenditrici e il 54% delle dirigenti, e le richieste di natura sessuale non gradite o non sollecitate (27%), che hanno riguardato il 45% delle imprenditrici e il 35% delle dirigenti.
Ho pensato: ma allora anche quando ce la fai, rompi il soffitto di cristallo e raggiungi delle posizioni di potere, la molestia è dietro l’angolo… Sono dati su cui si possono fare ipotesi diverse. La prima suggerisce che queste donne siano più consapevoli della situazione; la seconda ipotizza che, occupando posizioni storicamente riservate agli uomini, siano soggette a comportamenti che le depotenziano, le sminuiscono o le “oggettificano”, come se venissero “rimesse al loro posto di donna” (vedi questo articolo di Giulia Greppi in cui parlavamo di teoria del backlash, ndr).
Cosa è cambiato rispetto alla survey precedente, pubblicata nel 2022?
In quell’occasione avevano risposto poco più di 4.300 lavoratrici. Ora, circa 11.200. In neanche due anni, abbiamo avuto più del doppio delle risposte: evidentemente c’è una richiesta di esplorare questi fenomeni e anche una minor paura di parlare di queste questioni, che ovviamente non sono facili perché possono portare a conseguenze lavorative negative. Il fatto che la nostra survey assicuri l’anonimato ha sicuramente permesso alle donne di sentirsi più libere di rispondere e di far circolare il sondaggio, proprio per ottenere il maggior numero di risposte possibili.
Detto questo, il 50% circa delle risposte proviene da donne residenti al Nord Italia. Se si riuscisse a renderla questa survey più istituzionale e quindi a diffonderla ancora di più avremmo un quadro maggiore, più ampio e anche più attinente al reale di quello emerso finora.
Infine, alcuni dati sono peggiorati. Proprio quello dei contatti fisici, per esempio, è aumentato dell’81% in due anni. Era circa il 22% nel 2022 e adesso siamo al 40%.
Cosa possono fare le imprese per affrontare il problema?
Dobbiamo andare oltre la frase fatta del “non deve succedere”. La domanda che dobbiamo porci è: “se succede, l’azienda è pronta a intervenire?”. Le aziende non sono obbligate per legge a dotarsi di strumenti anti-molestie, ma sono assolutamente e caldamente consigliate a farlo. Dovrebbero avere, per esempio, delle norme e delle politiche anti-molestie tali per cui una persona neoassunta sappia subito cosa fare e a chi rivolgersi nel caso subisca una molestia o assista a una molestia verso un’altra persona. È un primo passo.
Violenza economica contro le donne: servono cultura e educazione finanziaria per combatterla
Ci sono spazi o figure specifiche da creare?
Ci sono strumenti addizionali alle politiche appena citate che possono essere messi in campo. Penso, per esempio, agli sportelli di ascolto oppure al servizio della consigliera di fiducia. Quest’ultima è una persona esterna all’azienda specializzata su queste tematiche che si può chiamare in caso di bisogno. Tante aziende non hanno le risorse umane oppure, in certi casi, i problemi di molestie possono nascere proprio con le risorse umane, è quindi necessaria una persona esterna con cui interfacciarsi e con cui essere certi dell’anonimato.
Anche la formazione ha un peso?
Certo, perché il grande problema è che spesso non ci rendiamo conto di tutte le micro-aggressioni che facciamo, perché non abbiamo necessariamente cattive intenzioni. Noi non mettiamo mai in discussione le intenzioni con cui si fanno certe cose. Il punto è la ricezione da parte della persona oggetto di certe parole o certi comportamenti. Ciò che per te può essere un complimento al mio corpo, per me può essere un commento non desiderato e non richiesto sul mio corpo in ambito lavorativo. È importante quindi riflettere su queste cose, fare una formazione a tutto il personale di un’impresa e magari formare in maniera più specifica alcune persone che possano diventare ambassador di questa tematica, per aiutare tutte le persone a migliorare la situazione e rendere l’ambiente lavorativo sano, protetto, sicuro.
Ci sono anche attività di welfare aziendale legate a questi temi?
Si, a volte questi percorsi di formazione ne fanno parte. Ci sono anche aziende che legano il premio di risultato del dipendente all’aggiornamento in materia di equità di genere, che viene incluso nel più ampio ambito della sicurezza sul posto di lavoro. E diventa così un incentivo reale alla formazione. L’idea di fondo è che se tu sai cosa puoi fare e non fare in azienda, ti senti più sicuro o sicura in prima persona.
Come si fa a capire se un’azienda “fa sul serio” su questo tema oppure si limita a un burocratico esercizio continuando invece a tollerare una cultura tossica, come quella emersa in alcuni eclatanti casi di cronaca degli ultimi anni?
Un buon segnale è se l’azienda in questione non ha paura di fare dei sondaggi interni, gestiti però da enti esterni, per indagare il clima esistente. Come Fondazione Libellula, consigliamo sempre di partire dal percepito, da cosa dicono davvero le persone interne a un’organizzazione. Istituire la figura della consigliera di fiducia, di cui ho parlato prima, è sicuramente un altro buon segnale. E poi possiamo anche osservare il modo in cui un’azienda fa comunicazione. Se, per esempio, per l’otto marzo un’azienda pubblica dei contenuti sui social media in cui si dice ‘w le donne’ e non si parla invece della giornata internazionale della donna, di solito quello è un segnale di una consapevolezza della questione ancora poco sviluppata.
Violenza contro le donne: l’Italia non sa raccogliere i dati
Che cosa possono fare gli attori del secondo welfare che operano nel mondo del lavoro, come sindacati e associazioni datoriali, per contribuire a migliorare la situazione?
Penso possano avere una maggiore voglia di imporsi su questi temi, senza avere paura di esporsi, facendo formazione e aggiornamento ai propri membri. Mi spiego meglio: io come singola persona non posso abbattere il soffitto di cristallo che non consente alle donne di accedere ad alcuni ruoli apicali, ma posso sicuramente evitare che nel mio ambiente lavorativo le donne vengano sminuite anche a livello di linguaggio. Per esempio, posso evitare di far circolare l’idea che se una donna ha raggiunto una certa posizione lavorativa è perché ha usato la leva della seduzione. E, in tal senso, penso che i sindacati potrebbero proporre delle formazioni specifiche alle loro categorie. Sarebbe una buona pratica, perché le cose devono cambiare dall’alto, ma serve anche una spinta dal basso.
Da quando abbiamo diffuso la survey si sono fatte avanti alcune realtà per iniziare a ragionare sul da farsi, a partire dai dati. Per noi è importante: non vogliamo farci annichilire da questi numeri negativi, ma usarli per capire quali sono le possibili soluzioni.
In conclusione, quale è il primo passo da fare proprio per migliorare la situazione? Da dove si inizia a spegnere l’incendio, insomma?
Il punto di accesso è la consapevolezza di aver bisogno di formazione. Va formato tutto il personale di un’azienda, il management, chi si occupa di reclutamento, anche i collaboratori e le collaboratrici. Poi si possono aggiungere altre azioni, migliorative, ma si parte dalla formazione perché il grande problema è che non ci è mai stato spiegato cosa è una molestia. Quali sono i confini da non superare. Quando certe parole sono un complimento o, come dicevo prima, non lo sono più. Tutte queste cose non ce le hanno insegnate a scuola da bambini e bambine. Ora che siamo persone adulte ce le può insegnare l’azienda che, in questo modo, fa cultura aziendale e, a mio parere, fa anche welfare.
Il 1522 è un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. Il numero, gratuito è attivo 24 ore su 24, accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking. Per avere aiuto o anche solo un consiglio chiama il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). |