Con la diffusione dei computer e poi con l’avvento della rete informatica la tecnologia e i dispositivi digitali hanno preso sempre più piede all’interno delle vite quotidiane di ognuno di noi. Che sia in ufficio, a casa o nel tempo libero ormai è praticamente impossibile pensare la propria vita senza poter usufruire delle comodità offerte dalla rete e dai digital devices

Un progresso, quello tecnologico e digitale, che negli ultimi 50 anni ha pervaso ogni aspetto della nostra quotidianità, tanto che era impensabile che potesse rimanere al di fuori degli istituti scolastici. Sappiamo che il Covid ha accelerato e reso più evidente questo processo, ma la digitalizzazione della scuola era già lentamente iniziata ben prima che la pandemia imprimesse una repentina spinta in avanti.

Di seguito, nell’ambito della più ampia analisi che stiamo svolgendo con il progetto Nova Schol@, si propone una rassegna delle principali politiche che accompagnano, danno forma e informano il processo di digitalizzazione del mondo della scuola. A partire dall’inquadramento di principi e strategie comuni e condivise dettate dall’Unione Europea, di seguito si analizza questa dimensione prendendo in considerazione i più recenti provvedimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Piano Scuola 4.0 nel nostro Paese. 

L’Unione Europea e il Piano d’Azione per l’Istruzione Digitale 

Se già la Strategia di Lisbona (2000) fissava i primi obiettivi in tema di digitalizzazione non solo delle scuole, ma anche delle amministrazioni pubbliche, è solo all’indomani della pandemia che l’Unione Europea ha fatto forma alla visione comune e condivisa dell’istruzione digitale che conosciamo oggi. Visto l’incremento massiccio nell’uso delle tecnologie digitali nella vita quotidiana da parte delle persone, il 30 settembre 2020, l’Unione ha adottato il Piano d’Azione per l’Istruzione Digitale 2021-2027, un documento politico che invita gli Stati membri a cooperare sul tema per un duplice fine: da una parte, affrontare le sfide poste dalla trasformazione digitale;  dall’altra, cogliere le sue opportunità per costruire insieme – anche attraverso il ricorso a metodi di insegnamento e pedagogici innovativi – un sistema educativo basato su un’istruzione di qualità, inclusiva e accessibile. 

Didattica digitale per includere e innovare: il progetto Nova Schol@

Due sono gli assi di priorità che – attraverso 13 Azioni – sono individuati dal Piano per raggiungere questi obiettivi: la creazione e lo sviluppo di un ecosistema di istruzione digitale efficiente e il miglioramento delle competenze e delle abilità digitali. Nel primo asse, l’attenzione è posta sulle infrastrutture, cioè sulla tipologia di connessioni e di strumenti digitali a disposizione degli istituti scolastici. All’interno dell’infrastrutturazione, tuttavia, il Piano ricomprende anche il delicato tema della formazione degli insegnanti e del personale coinvolto nei processi educativi e formativi; una formazione che non deve essere intesa solo rispetto alle conoscenze e competenze possedute da ognuno/a sul digitale, ma anche con riferimento all’oggetto dell’apprendimento e agli strumenti che possono sostenerli durante la transizione digitale. Lungo il secondo asse, invece, si dipana il tema dello sviluppo delle competenze e capacità digitali sin dalla prima infanzia e per tutto l’arco della vita, secondo il principio del lifelong learning secondo cui, nel corso del tempo, dovrebbe permettere ai soggetti coinvolti di sviluppare, raggiungere e mantenere un alto livello di alfabetizzazione digitale. 

Appare qui fondamentale sottolineare come, dopo un primo entusiasmo dell’opinione pubblica nei confronti delle potenzialità offerte dal digitale e dalla sempre nuova tecnologia a disposizione, siano diventate sempre più ricorrenti le preoccupazioni legate a un loro uso inconsapevole e superficiale. 

Tra le azioni del PAID (e in particolare della Bussola per il digitale 2030), una fonte speciale di riflessione per il legislatore europeo è costituita dalle sfide poste dall’uso non etico dell’Intelligenza Artificiale (IA) e dalla raccolta transnazionale dei dati. Un elemento, questo, che denota l’attenzione crescente e l’intenzione di rimettere al centro del processo di transizione digitale la tutela delle persone, di cui abbiamo parlato in un nostro precedente articolo.

Digitale a scuola: il cambio di paradigma in atto

Come riporta anche Unesco nel report Artificial Intelligence in Education (2019), se è evidente che l’IA ha molte applicazioni positive nell’ambito educativo, la sfida principale per la discussione e le politiche pubbliche deve riguardare proprio la trasparenza nella raccolta, produzione, analisi, utilizzo e diffusione dei dati personali. In uno scenario che (realisticamente) vedrà la concentrazione di queste informazioni nelle mani delle poche aziende proprietarie delle piattaforme educative, i Governi dovrebbero comunicare chiaramente ai propri cittadini le caratteristiche dei dati che verranno raccolti, lo scopo della raccolta e quali potrebbero essere le conseguenze (attese ed inattese) della condivisione dei propri dati. In questo senso, dunque, lo sviluppo e il rafforzamento delle competenze digitali non sono intese dal legislatore europeo come meramente utili a migliorare l’occupabilità delle persone nel mercato del lavoro poiché rappresentano soprattutto un mezzo per la realizzazione personale degli individui. Una visione, dunque, che punta sulla cittadinanza attiva, sul contrasto alle disuguaglianze e sulla promozione dell’inclusività, così come ribadito anche nella recentissima dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali (2022).

Infatti, uno tra i principali problemi con cui (non solo) l’Europa si confronta ancora oggi è il permanere di significative disuguaglianze sociali nell’accesso ai dispositivi digitali così come nel loro utilizzo: in entrambi i casi si parla di digital divide (o divario digitale) (Hargittai 2002, Gui e Argentin 2011). Nonostante più del 90% dei Ministeri dell’educazione mondiali abbia adottato una qualsivoglia forma di didattica a distanza per rispondere all’emergenza pandemica, circa il 31% degli studenti di tutto il mondo (quasi mezzo miliardo tra scuola dell’infanzia e  secondaria di secondo grado) non ha potuto usufruire della didattica a distanza proprio a causa della mancanza o di accesso alla tecnologia necessaria o di politiche che rispondessero ai loro bisogni (Avanesian et al. 2021, Muñoz-Najar et al. 2021, UNESCO 2023).

Cosa succede, quindi, se andiamo a guardare ai singoli casi nazionali e, in particolare, al caso italiano? Ricordando che l’Unione Europea è responsabile dell’indirizzo e dell’armonizzazione degli interventi degli Stati membri per ciò che riguarda la digitalizzazione dell’istruzione ma sono poi i singoli Paesi a declinare tali principi e obiettivi con le misure e le politiche che ritengono più opportune, andiamo quindi a vedere alcuni dei più recenti provvedimenti sulla transizione digitale della scuola in Italia.

PNRR, piano Scuola 4.0 e l’esperienza italiana in ottica comparata

Ricalcando le Azioni e i principi del PAID europeo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede un totale di 2,1 miliardi di euro di spesa attraverso apposite linee d’investimento a supporto: della didattica digitale integrata e della formazione sulla transizione digitale del personale scolastico (linea d’investimento 2.1); dello sviluppo di nuove competenze e nuovi linguaggi (3.1), di nuove aule didattiche e laboratori, la cosiddetta Scuola 4.0, e del sistema di formazione professionale terziaria (1.4).

Il futuro della scuola: rischi e opportunità del PNRR

Tra queste il Piano Scuola 4.0 spicca in quanto costituisce un piano ad hoc per la digitalizzazione nelle scuole che, ruotando attorno al concetto di “ecosistema di apprendimento”, ha l’obiettivo di valorizzare gli spazi, la loro organizzazione fisica e temporale, ma anche la formazione di coloro che li vivono e vi insegnano – ossia docenti, personale scolastico e studenti. Buona parte dei fondi del Piano Scuola 4.0 andranno a finanziare nuove iniziative, ma una parte di essi servirà per rifinanziare le progettualità precedentemente avviate. In particolare, il  Piano si articola in due azioni:

  • Next Generation Classrooms, che mira a trasformare almeno 100.000 aule in ambienti innovativi di apprendimento per le scuole del primo e secondo ciclo di istruzione. Il principio è che la trasformazione fisica e virtuale deve essere infatti accompagnata dal cambiamento delle metodologie e delle tecniche di apprendimento e insegnamento. In questo caso, la ripartizione dei finanziamenti (circa il 62% delle risorse del PNRR assegnate) è avvenuta in base al numero di classi attive nell’anno scolastico 2021-2022;
  • Next Generation Labs, che ha l’obiettivo di realizzare laboratori per le scuole secondarie di secondo grado relativi alle professioni digitali del futuro – laboratori che siano capaci di fornire competenze digitali specifiche nei diversi ambiti tecnologici avanzati e trasversali ai settori economici. In questo caso, le risorse stanziate sono state divise a cifra fissa tra i licei e le altre scuole.

Tra le principali criticità legate ai finanziamenti erogati dal PNRR non solo possiamo annoverare la mancanza di trasparenza sulla loro assegnazione – tanto che sembrano mancare all’appello circa 111 milioni (OpenPolis 2023) – ma anche il fatto che questi fondi siano  assegnati su base demografica. Questo significa che i territori con più studenti sono anche quelli che hanno ricevuto più risorse: un principio che rischia di esacerbare le differenze territoriali che connotano il nostro Paese, non solo tra Nord e Sud ma anche tra grandi città (metropolitane) e piccole province più o meno rurali, restituendo un’immagine frastagliata dell’avanzamento del processo di digitalizzazione nelle scuole sul territorio nazionale. 

Nonostante queste difficoltà nel reperimento di alcuni dati sulla transizione digitale nel nostro Paese, il Sole24Ore (Arleo 2023) riporta un generale sentimento positivo da parte di docenti e personale scolastico nei confronti del PNRR e, in particolare, del piano Scuola 4.0. Secondo l’Osservatorio sulla transizione digitale del mondo della scuola di Aura Immersive1, che ha somministrato un questionario a docenti e dirigenti “in prima linea nei progetti come quello del PNRR”, l’88,2% dei rispondenti credono che, grazie ai finanziamenti previsti dal PNRR, la scuola pubblica italiana possa migliorare in termini di didattica (76,3%), di coinvolgimento degli studenti (79,5%), di contrasto all’abbandono scolastico (56,7%) e di rapporto con il mondo del lavoro e delle imprese (67,1%). 

Il questionario ha anche rilevato un altro dato interessante, ossia che sebbene il 96,7% dei dirigenti scolastici e degli insegnanti parteciperà al bando Scuola 4.0, solo il 12,3% delle scuole ha personale formato per gestire una tale impresa. Questo dato, dunque, oltre a evidenziare l’ottimismo del campione intervistato, espone anche una delle principali criticità del sistema scolastico italiano, da anni caratterizzato da una “carenza cronica” (Orizzonte Scuola 2023) di personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) e di docenti (Redazione Scuola 2023). 

C’è vita oltre la Dad?

Infine, se in capo al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’Istruzione risiede la funzione di dettare le relative strategie d’azione per allinearsi alle indicazioni europee in tema di transizione digitale, le Regioni sono invece competenti soprattutto per quanto riguarda l’edilizia scolastica e, in particolare, gli interventi strutturali di cablatura degli edifici. All’inizio della pandemia, i dati dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) (2019) rivelavano l’impreparazione delle scuole italiane rispetto a quella che sarebbe stata l’esperienza della DAD.

Sul 97% delle scuole connesse sul territorio nazionale, infatti, solo l’11,2% disponeva di un servizio di connessione ad alta velocità. Ieri come oggi, le disuguaglianze di connessione penalizzano maggiormente i territori periferici: mentre l’86,4% delle famiglie dei comuni polo viene raggiunto dalla rete fissa di banda larga, lo stesso vale solo per il 39,3 % delle famiglie residenti nei comuni periferici (Figura 1). Un dato che, tradotto in numeri concreti, sta a significare che 1.020.585 di minori vivono in Comuni dove nessuna famiglia è raggiunta dalla rete fissa a 30 Mbps (Osservatorio Povertà Educativa 2021). Inoltre, sebbene ridotti rispetto al passato, permangono in tutta Italia divari finanziari legati alla connettività, con le Regioni del Mezzogiorno e le zone montane del territorio che registrano la quota più alta di famiglie che non usufruiscono della banda larga a causa dell’alto costo del collegamento (Istat 2020).

Percentuale di famiglie raggiunte dalla rete fissa con velocità di download pari a 30 Mbps o superiore (2019)
Figura 1. Percentuale di famiglie raggiunte dalla rete fissa con velocità di download pari a 30 Mbps o superiore (2019). Fonte: OpenPolis e Con i Bambini

Va comunque notato che nell’ambito del DESI regionale2 anche le Regioni italiane con le migliori performance si trovano a registrare valori ben al di sotto della media europea. Ad esempio, la provincia di Trento registra il dato migliore tra le regioni italiane per quanto riguarda il possesso, da parte dei suoi cittadini, di competenze digitali avanzate (27,6%) mentre la Lombardia è terza (26,4%)3; nonostante ciò, entrambe si trovano al di sotto della media europea (31,1%) – di 4 e 5 punti percentuali rispettivamente. 

Quale futuro la scuola digitale?

Arrivati a questo punto, è chiaro che il processo di digitalizzazione della scuola rappresenta una tappa fondamentale (e ormai inevitabile) nell’evoluzione dell’istruzione. Sarebbe decisamente poco lungimirante sostenere il contrario. Tuttavia, se è vero che l’integrazione delle tecnologie digitali all’interno delle aule può offrire opportunità uniche di apprendimento, è altrettanto vero che questo potenziale deve essere accompagnato e sostenuto (se non anticipato) dall’impegno di governi (europeo, nazionale e regionale), istituzioni scolastiche e comunità educative. 

Non possiamo infatti dimenticare che, oltre a un concreto ripensamento non solo del ruolo degli insegnanti ma anche del processo educativo, secondo quel cambio di paradigma che abbiamo già avuto modo di approfondire, cruciale rimane il tema dell’accessibilità della tecnologia, che non può che essere affrontato attraverso politiche mirate alla riduzione di tali disparità e a garantire un’istruzione equa e inclusiva per tutti e tutte. Sarebbe quindi cruciale investire nello sviluppo dell’infrastruttura e nella cablatura delle aree ancora oggi scoperte dalla banda larga, ma anche ridurre i costi di connessione e dei device. Infine, appare prioritario investire nel coinvolgimento delle scuole e di luoghi pubblici di apprendimento (come le biblioteche o i centri educativi) quali luoghi di accesso a una rete condivisa.

Sono alcuni dei passi che possono essere intrapresi fin da subito per abbattere il divario digitale.

 

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito di Nova Schol@. È una ricerca di Percorsi di secondo welfare, sostenuta da Bolton Hope Foundation, che studia l’innovazione digitale della didattica e come questa può favorire l’inclusione sociale. Dentro e fuori la scuola.

 

Bibliografia

Note

  1. Aura Immersive è un progetto di Aura Group, nato per digitalizzare i saperi e renderli fruibili dagli studenti delle scuole in modo accattivante e semplice.
  2.  Il Digital Economy and Society Index (DESI) regionale è un indice composito elaborato dal Politecnico di Milano con cadenza annuale che rispecchia le dimensioni dell’omonimo indice elaborato dalla Commissione Europea.
  3. Secondo il report di PoliS-Lombardia (2022), tra la popolazione lombarda, il 26,6% possiede competenze digitali elevate rispetto alla media italiana (22%), mentre il 49,2% della popolazione lombarda possiede quelle almeno di base, contro una media italiana del 41,5%.
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