Lo scorso 4 febbraio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo a Trento in occasione dell’assegnazione alla Città del titolo di capitale europea del volontariato, ha sottolineato con enfasi il valore del lavoro di cura che tanto permea e si coniuga nelle molteplici e poliedriche attività svolte su tutto il territorio nazionale dai volontari. Un esercito di persone che “si prendono cura” di altre persone, specialmente le più fragili, e dell’ambiente in tutte le sue declinazioni.
Il valore del prendersi cura del prossimo, l’ “I care” di Don Milani, proprio nel centenario della sua nascita, è il punto focale del mondo dei servizi e della cura alla popolazione anziana, soprattutto non autosufficiente, di cui molto si sta parlando in questi ultimi mesi. I continui “alert” riferiti all’inverno demografico, che sta modificando profondamente i nostri assetti sociali ed economici, ci suggeriscono come sia necessario agire. Altrimenti intere filiere produttive saranno senza addetti, mancando la materia prima umana. Pare sia in atto una presa di coscienza circa i fenomeni citati: in un anno nascono circa 400.000 bambini, ma muoiono circa 700.000 persone. La popolazione anziana ultrasessantacinquenne supera il 25% della popolazione totale, con un indice di vecchiaia superiore a 280 (ovvero, 2,8 anziani per ciascun adulto).
Questi fenomeni riguardano soprattutto alcune Province italiane: ad esempio, quella di Biella, dove vivo e opero. Una società dove la curva demografica si raffigura a “panettone” non può reggere : poiché, in sintesi, vi sono più vecchi che bambini. Non regge da nessun punto di vista, economicamente (ad esempio, in virtù della sostenibilità del sistema pensionistico) e socialmente. In carenza di nuove nascite, mancano “le braccia e le menti” per sostenere il sistema socio-economico del domani, nella sua interezza e complessità. Gli esperti gerontologi avevano già previsto l’andamento demografico circa vent’anni fa.
Il Focus di Secondo Welfare sulla non autosufficienzaCi stiamo occupano sistematicamente della riforma del sistema della Long Term Care. Lo facciamo pubblicando ogni settimana articoli e interviste che aiutino a capire meglio le diverse questioni che riguardano l’in Italia. Sono tutti qui. |
La Legge 33/2023: un “apparente” punto di svolta
La politica, tuttavia, segue altre traiettorie. Ed eccoci al presente: la Legge Delega n. 33 del marzo 2023 – accompagnata nel suo iter dal Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza – ha introdotto, nel nostro Paese, una norma che contempla tutti i diversi livelli della cura, nel senso più ampio ed esteso del termine. Da marzo 2023 in poi, si sono dunque attesi – con ansia – i decreti attuativi, da licenziare entro gennaio 2024. Si attendevano, nello specifico, modelli di intervento e risorse. Molti di questi temi sono stati portati all’attenzione dei legislatori da parte di esperti ed enti di rappresentanza.
La tematica dell’invecchiamento è articolata, sfaccettata, complessa e va vista nel suo insieme, affrontando con realismo il nuovo assetto demografico con interventi a tutto campo, dall’urbanistica, ai servizi, alle persone. Lo sguardo olistico sostiene il passaggio verso una composizione della società che tutti i Paesi occidentali si trovano ad affrontare per la prima volta nella storia dell’umanità.
Dal mio osservatorio – direi privilegiato – di un’organizzazione in cui si svolgono servizi per anziani e famiglie ho potuto verificare che esistono soluzioni organizzative applicabili e replicabili, volte a fronteggiare il tema affinché ciò che appare come un problema (l’invecchiamento demografico) si trasformi in un’opportunità. L’aumento dei bisogni delle persone anziane potrà essere soddisfatto attraverso la creazione di lavoro e, di conseguenza, la crescita dei territori che sapranno essere capaci ed attrattivi.
I decreti attuativi (o meglio, la messa in opera della Legge 33) non hanno dato i risultati attesi e, anzi, è molta la delusione. E ora?
I decreti attuativi: le aspettative deluse, i punti da cui ripartire
La differenza la faranno le persone al di là delle ricette economico-finanziarie, organizzative o normative che si sapranno mettere in campo. Di seguito tre principali criticità e qualche soluzione.
L’equivoco del bonus anziani e della integrazione socio-sanitaria nei servizi
Le problematiche economiche insistono e insisteranno sempre più sulle famiglie, sempre più povere. Il tema poi si acuisce in modo esponenziale per i non autosufficienti, un numero elevato di persone di cui una larga fetta unisce a problematiche sociali la componente sanitaria (le cronicità) da declinarsi a più livelli. Questo è un tema che appare ignorato sempre più dal sistema sanitario nazionale.
In questi decreti attuativi non è menzionata la componente di compartecipazione sanitaria alle cure a tutti i differenti livelli assistenziali, dal domicilio alla residenzialità. Una “giungla” che necessita di un rapido e doveroso riordino nazionale, considerando che ci sono 21 sistemi socio-sanitari in capo alle Regioni. Il sistema sanitario nazionale dovrà scegliere di investire nella cronicità per sopravvivere nel suo ruolo universalistico, così come previsto dalla Costituzione Italiana, sostenendo ed implementando per le future generazioni formule assicurative legate alla lungodegenza e obbligatorie (come, ad esempio, in Germania).
La carenza di posti letto destinati alla long-term care
Non si può pensare di intervenire con progetti esclusivamente mirati alla prevenzione e all’invecchiamento attivo della attuale popolazione, ignorando di mettere in primis in sicurezza il diritto alle cure socio-sanitarie residenziali a tariffe accessibili, in strutture idonee, con la compartecipazione della sanità, evitando così ricoveri impropri nelle strutture ospedaliere, come sta accadendo in molti Paesi europei. Questo è il passaggio cruciale che permetterà, in seguito, di dedicarsi con attenzione ad implementare servizi domiciliari e residenziali, al fine di allontanare il più possibile il ricorso alla istituzionalizzazione.
Anche in questo caso, i decreti attuativi non prevedono nessun intervento né tanto meno risorse. Il suggerimento è di cominciare a considerare le esistenti RSA aiutandole a trasformarsi in veri e propri “centri servizi” con sguardo multidimensionale e olistico, attenti alle necessità degli individui e delle loro famiglie.
La carenza di personale di tutti i livelli
Da un lato vediamo che il settore socio-sanitario vive un aumento esponenziale del numero di persone che domandano servizi a più livelli, proprio in virtù del crescente numero di persone anziane. Vediamo, inoltre, che le organizzazioni di servizi alla persona affrontano la domanda crescente, attrezzandosi per trovare soluzioni concrete e possibili partendo dal fatto che non ci si può permettere di chiudere servizi o strutture. Dall’altro, assistiamo contemporaneamente alla costante riduzione di forza lavoro. Per sopperire a questa carenza, l’obiettivo è stato integrare il personale con uomini e donne provenienti da altri Paesi. In Piemonte nelle imprese sociali che si occupano di servizi per anziani più del 30% del personale è rappresentato da stranieri e straniere. Possiamo a tutti gli effetti affermare che queste organizzazioni sono un esempio lampante di integrazione ottimamente riuscita nel nome di un obiettivo comune che unisce Enti e Persona: la cura.
È utile menzionare che, ormai da decenni, si è persa la valenza caritatevole che era tipica di queste organizzazioni con la loro trasformazione in aziende, con sistemi qualitativi certificati orientati alla centralità delle persone (clienti/utenti) e a coloro che vi operano, attenti a non perdere quella valenza etica che ha saputo produrre un modello vincente socialmente: servizi indispensabili capaci di creare contemporaneamente lavoro e vita per i cittadini. In moltissimi casi queste aziende (o organizzazioni) destinano il 70% del loro bilancio al personale e spesso, soprattutto nei territori periferici, è l’unica attività rimasta a dare lavoro alla gente che li abita. Secondo le stime del Patto si tratta di oltre 700.000 addetti, persone impiegate nei diversi aspetti disciplinari e professionalità in organizzazioni che hanno sempre più necessità di accrescere le proprie maestranze, di avere più addetti con l’aumentare della domanda, di avere nuove persone interessate a formarsi per entrare in questo ambito.
Nei decreti attuativi non ci sono modelli organizzativi a supporto di questo sistema. Non è citato nessun impegno concreto a formare, integrare o inserire nuovi/e stranieri/e, aumentando il saldo migratorio annuale, valorizzando il lavoro di cura e rispondendo alla crescente domanda, unendo così continuità nei servizi per gli anziani con nuova linfa.
In altre parole, sia da un punto di vista economico e di integrazione (punto 1), che di struttura (punto 2), che di persone (punto 3), i decreti attuativi devono essere rivisitati concretamente, tenendo conto del parere di chi si occupa delle persone anziane e delle loro famiglie.