Una grande riforma per l’assistenza agli anziani non autosufficienti che punti alla integrazione degli interventi socio-sanitari, tenendo conto delle specifiche ed eterogenee condizioni degli anziani e delle loro famiglie, incrementando i finanziamenti pubblici in particolare per i servizi domiciliari e residenziali e puntando sull’innovazione. È questa, in sintesi, la riforma che il neonato “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” ha avanzato al Parlamento e ai Ministri della Salute Roberto Speranza e del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando nel corso di un evento pubblico svoltosi il 20 luglio.
Il tema è quanto mai cruciale. Secondo gli ultimi dati Istat, il rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni è notevolmente aumentato, passando dal 33,5% del 1951 a quasi il 180% del 2019 (era il 148,7% nel 2001). Oggi nel nostro Paese sono presenti circa tre milioni gli anziani non autosufficienti, ossia coloro che non sono in grado di svolgere da soli le normali attività quotidiane e hanno bisogno di un accompagnamento: rappresentano il 5% della popolazione e il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030. Affrontare la situazione di queste persone e delle loro famiglie è pertanto cruciale per fare un futuro al Paese.
Da qui il Patto, a cui hanno finora aderito 37 realtà della società civile* – tra cui Percorsi di secondo welfare – che hanno deciso di rinnovare l’impegno grazie al quale, negli scorsi mesi, è stato inserito nel PNRR un progetto di riforma radicale del sistema della non autosufficienza, atteso dalla fine degli anni ’90. Un’occasione imperdibile per dare risposte alle esigenze degli anziani non autosufficienti e delle loro famiglie, formalizzata dalle organizzazioni ed accolta dalle istituzioni e che, a partire da oggi, può tradursi in realtà grazie alle proposte e al confronto continuo fra i vari attori. Ma per raggiungere gli obiettivi è cruciale cominciare bene il percorso riformatore, cioè creando solide fondamenta sulle quali poggiare i passi successivi. Le organizzazioni aderentei al Patto chiedono quindi al Governo di assumere cinque impegni, tra loro coerenti, che costituiscono il pacchetto di condizioni di base necessarie per avviare il lavoro di elaborazione della riforma nel modo migliore. Il primo impegno delinea l’impostazione, i successivi tre toccano gli assi strategici della riforma e l’ultimo riguarda gli interventi transitori. Li riportiamo di segutio.
Fare la storia
La sua previsione all’interno del PNRR sembra costituire una garanzia che la riforma verrà varata. Ma quale riforma sarà? Esiste il rischio di una riforma solamente formale, cioè incapace di aggredire i problemi di fondo. È necessaria, invece, una riforma sostanziale.
Due sono le condizioni a tal fine. Una riguarda la profondità della riforma: modificare strutturalmente il settore, come avvenuto nei paesi vicini al nostro, che già l’hanno introdotta (l’Austria nel 1993, la Francia nel 2002, la Germania nel 1995, la Spagna nel 2006). L’altra condizione concerne l’estensione della riforma: considerare congiuntamente l’insieme degli interventi compresi nell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Dunque, la filiera sanitaria e quella sociale, i contributi economici e i servizi alla persona, le risposte nel territorio e quelle nelle strutture, così come gli interventi dedicati alle assistenti familiari.
In breve, il primo impegno richiesto fa riferimento a un ridisegno sostanziale dell’insieme degli interventi afferenti all’assistenza degli anziani non autosufficienti.
Superare la frammentazione
Veniamo al primo asse strategico della riforma. Consiste nel superare la frammentazione che oggi contraddistingue il sistema dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Si tratterebbe di promuovere la molteplicità di risposte previste (siano esse contributi economici o servizi) in un approccio unitario, fornite da attori sovente non coordinati tra loro. Dal punto di vista dei cittadini, un simile cambiamento dovrebbe toccare i percorsi per accedere agli interventi, la loro progettazione e la loro erogazione.
Per ottenere risposte coordinate nei territori, l’integrazione istituzionale non basta. Rappresenta, però, una condizione necessaria, senza la quale la possibilità di raggiungere l’obiettivo viene meno sul nascere. I primi a dover superare la frammentazione, in altre parole, sono i soggetti titolari della materia a livello nazionale (Ministeri della Salute e del Welfare).
Riconoscere le specificità della non autosufficienza
Oggi, non di rado, gli interventi destinati agli anziani non autosufficienti seguono modelli e logiche solo in parte confacenti alle peculiarità della loro condizione. Si sconta, dunque, un’eccessiva distanza tra i modelli d’intervento condivisi sulla base della ricerca scientifica, e di numerose esperienze locali positive, e quelli sovente utilizzati. Su questo problema dovrebbe agire la seconda linea strategica della riforma.
La questione ha un duplice risvolto. Da una parte, la necessità di seguire il paradigma proprio dell’assistenza agli anziani, cioè quello del care multidimensionale, che prevede risposte progettate a partire da uno sguardo complessivo sulla condizione dell’anziano, sui suoi molteplici fattori di fragilità, sul contesto di vita e le relazioni. La natura stessa della non autosufficienza, uno stato che coinvolge l’intera esistenza della persona, rende necessario ricorrere all’approccio multidimensionale, che comporta spesso di progettare le risposte combinando molteplici interventi.
Dunque, è necessario definire ogni aspetto della riforma compiendo sempre un’operazione iniziale. Questa prevede, oltre che a prendere in considerazione le specifiche condizioni degli anziani non autosufficienti, la valutazione della loro eterogeneità, legata innanzitutto alle diverse condizioni di disabilità, fisica (motoria) e/o mentale (cognitiva). Emblematica, in proposito, è la diffusa difficoltà a predisporre interventi adatti all’assistenza delle persone affette da demenza.
Investire per cambiare
Siamo così al terzo asse della riforma. È necessario incrementare i finanziamenti pubblici dedicati al settore, in particolare ai servizi alla persona. Gli attuali stanziamenti pubblici per i servizi risultano nettamente inadeguati a rispondere alle esigenze degli anziani e delle loro famiglie. Lo mostrano gli studi così come i confronti internazionali. Tale carenza accomuna tutte le principali unità di offerta: domiciliari, semi-residenziali e residenziali.
Attenzione, però. Più fondi in sé non sono un valore, dipende da come vengono utilizzati. Bisogna evitare che gli auspicabili nuovi finanziamenti siano impiegati per replicare su scala maggiore le criticità oggi esistenti. Il tutto deve seguire una regola semplice: ogni Euro stanziato in più deve essere finalizzato a innovare le risposte.
Connettere interventi transitori e riforma
Bisogna avviare il cantiere della riforma. Per farlo, è necessario chiarirsi in merito al suo perimetro. Il cantiere dovrebbe comprendere sia l’elaborazione della riforma sia la predisposizione delle azioni transitorie (investimenti PNRR ed eventuali altri interventi decisi dal Governo) e considerarle sempre congiuntamente. La mancata coerenza tra preparazione della riforma e interventi, nel frattempo, messi in campo minerebbe alle radici il percorso di cambiamento.
In materia di interventi transitori, il primo passo riguarda la domiciliarità: è qui, infatti, che si concentrano gli investimenti previsti dal PNRR (2,7 miliardi di Euro per il Ministero della Salute). Gli interventi transitori per la domiciliarità, dunque, dovrebbero essere congegnati come uno step fondamentale del percorso che si compirà con l’introduzione della riforma. In quetso senso, gli interventi transitori sulla domiciliarità rappresentano il banco di prova per la credibilità del complessivo percorso riformatore. Per aprire la strada ad un cambiamento sostanziale, questi dovrebbero: essere disegnati congiuntamente dai due Ministeri, seguire il modello del care multidimensionale e prevedere risorse di fonte sia sanitarie sia sociali.
Lo sforzo richiesto a entrambi i Dicasteri coinvolti è sostanziale. Al Ministero della Salute: decidere di utilizzare le proprie risorse già disponibili in questa prospettiva. Al Ministero del Welfare: prevedere, in Legge di Bilancio, un proprio stanziamento per la domiciliarità, così da affiancarlo a quello del PNRR per il Ministero della Salute. Non sono atti di poco conto. D’altra parte, gli interventi transitori per domiciliarità rappresentano il banco di prova della credibilità dell’intero percorso di riforma.