L’accoglienza dei rifugiati ucraini in Italia prende forma, almeno nel breve periodo. E, anche grazie a un forte slancio solidale della popolazione, le organizzazioni del secondo welfare potrebbero avere compiti inediti e più ampi che in passato. A giocare un ruolo importante saranno gli enti del Terzo Settore, ma non solo.
Andiamo con ordine. Gli ultimi provvedimenti che definiscono come verranno ospitate le decine di migliaia di persone in fuga dall’invasione dell’Ucraina sono stati il decreto-legge 21/2022 e l’ordinanza 881 di Protezione civile.
Il primo è stato approvato il 21 marzo e recepisce la decisione del Consiglio Ue sulla protezione temporanea. Come spiega Redattore sociale, “fissa a partire dal 4 marzo 2022 la decorrenza della protezione temporanea, con durata di un anno. Il permesso di soggiorno ha validità di un anno e può essere prorogato di sei mesi più sei, per un massimo di un anno. Consente l’accesso all’assistenza erogata dal Ssn, al mercato del lavoro e allo studio”. L’ordinanza 881, invece, è stata firmata la scorsa settimana dal Capo del Dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio e disciplina l’accoglienza, il soccorso e l’assistenza alla popolazione ucraina in Italia.
Più posti per Sai e Cas
I due provvedimenti ampliano innanzitutto la capienza del sistema attuale di accoglienza per richiedenti e asilo e rifugiati che, come spiega Openpolis, ha “da molti anni una struttura duale”. “Stando alla legge il sistema dovrebbe basarsi sul Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) […], un modello che vede coinvolti direttamente gli enti locali […]. Solo nel caso non siano presenti posti nel sistema ordinario è poi prevista la possibilità di attivare dei centri di accoglienza straordinaria (Cas)”, si legge sul sito, che da tempo segue il tema.
“Le disposizioni di legge, tuttavia, sono state attuate in questi anni solo sulla carta. Il sistema ordinario infatti è sempre rimasto largamente minoritario. I centri di accoglienza straordinaria al contrario non hanno mai rappresentato meno dei 2/3 dell’intero sistema, raggiungendo picchi dell’86%”. E, infatti, seguendo questa logica, per i rifugiati ucraini vengono aggiunti 3mila posti Sai e 5mila nei Cas, con uno snellimento delle procedure burocratiche per la loro apertura. Posti in più, ma stesso sistema.
Delle novità rilevanti, invece, arrivano con le altre due tipologie di accoglienza previste, inedite rispetto al passato e ben più pesanti numericamente: l’accoglienza diffusa e il “contributo di sostentamento”
Accoglienza diffusa
La prima tipologia prevede 15.000 posti in quella che viene indicata come “accoglienza diffusa”. In realtà, anche l’accoglienza all’interno del Sai è sempre presentata come accoglienza diffusa, e in effetti il modello consente di ospitare richiedenti asilo e rifugiati in maniera capillare sui territori, coinvolgendo enti locali e società civile. L’ordinanza 881 di Protezione civile, di fatto, istituisce una nuova modalità di “accoglienza diffusa”, differente. A poterla organizzare saranno enti del Terzo Settore, Centri di servizio per il volontariato, enti religiosi civilmente riconosciuti ed organizzazioni iscritte alla prima sezione del Registro degli enti e delle associazioni che svolgono attività in favore degli immigrati.
L’idea è che famiglie, gruppi e piccole associazioni facciano riferimento alle principali reti del Terzo Settore nazionale (come Caritas o Arci) per ospitare i profughi ucraini nelle loro case o in altri spazi, con un contributo statale di 33 euro al giorno a persona. “Una quota va alla famiglie che accoglie, una al profugo e una all’ente in base ai servizi che offre”, ha spiegato Curcio in un’intervista a Vita. “Sono state tante le persone che autonomamente sono andate ai confini con l’Ucraina a prendere i profughi. Una risorsa straordinaria che non potevamo ignorare e che va organizzata in modo sistemico. E in questo senso il Terzo settore offre non solo garanzie di efficacia, ma anche di controllo su una materia che ben conosce da anni”, ha aggiunto il capo del Dipartimento di Protezione Civile.
Secondo Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, questa iniziativa sarà “un laboratorio eccezionale” per quello che potrebbe diventare “un nuovo modello di accoglienza”.
Pallucchi è appena stata eletta vicepresidente del Consiglio nazionale del Terzo Settore. Il Consiglio è un organismo istituito dal codice del Terzo settore presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con funzioni di promozione e sostegno del Terzo settore e sta collaborando con la Protezione civile proprio per organizzare l’accoglienza. “È molto importante che lo spirito di co-programmazione e co-progettazione accompagni i processi di accoglienza territoriali con procedure trasparenti e agili”, ha dichiarato intervenendo alla conferenza stampa di presentazione dell’ordinanza 881. “I Comuni – ha sottolineato – hanno un ruolo strategico”. Nelle prossime settimane si vedrà come gli enti locali lo interpreteranno. Come si vedrà se le organizzazioni del Terzo Settore, reduci da anni di lavoro coi migranti reso difficile dalle scelte governative e spesso provate dalla pandemia, riusciranno a rispondere”presenti” anche questa volta.
Parenti e amici
L’altra grande novità dell’accoglienza di questi rifugiati rispetto a quelli arrivati in passato è il cosiddetto “contributo di sostentamento”. Dall’inizio del conflitto al quattro aprile, sono giunti in Italia 83.000 cittadini ucraini, di cui 42.879 donne e 31.670 minori. La stragrande maggioranza di loro ha trovato un posto da parenti e amici, visto e considerato che la comunità ucraina nel nostro paese contava circa 230mila persone già prima della guerra.
Senza queste ospitalità spontanee e informali, il sistema sarebbe al collasso. Per questo, si è deciso di sostenerle.
L’ordinanza prevede per le persone con una sistemazione autonoma un contributo di 300 euro mensili pro capite per gli adulti e 150 per i minori, “per la durata massima di tre mesi decorrenti dalla data di ingresso nel territorio nazionale”. Inoltre, alle regioni e alle province autonome, vengono riconosciuti 1.520 euro circa per ciascun profugo, per coprire i costi dei servizi da offrire loro.
Come ha fatto notare il ricercatore dell’ISPI Matteo Villa, sembrano fondi troppo esigui, a maggior ragione per persone fragili con esperienze traumatiche alle spalle. E, soprattutto, sembrano durare troppo poco – 90 giorni. “La logica alla base degli stanziamenti? In tre mesi torneranno tutti a casa”, ha scritto Villa su Twitter, spiegando che, a suo parere, sarebbe stato “meglio stanziare maggiori risorse poi non utilizzate” piuttosto “che risorse basse da rimpolpare una volta giunta la (vicinissima) scadenza”. “Così si aumenta l’incertezza per tutti. E si rischia che chi accoglie oggi, domani smetta”, ha concluso il ricercatore.