Gli episodi di razzismo e discriminazione sulla base dell’appartenenza etnica, linguistica e religiosa sono diffusi nei Paesi in tutto il mondo. In questo contesto si inseriscono anche i social media, di cui facciamo uso in larga parte delle nostre giornate. Secondo Amnesty International Italia, in rete 1 commento su 10 è offensivo, discriminatorio o riguarda un discorso d’odio. E quando si parla di riforma della cittadinanza a sono all’ordine del giorno razzismo e xenofobia.
I rischi e le opportunità dei social media
I social rappresentano però anche un canale per rendere più visibili e raccontare storie molto spesso trascurate.
“Dopo quello che è stato l’omicidio più virale degli ultimi tempi, quello di George Floyd, c’è stata una necessità globale di parlare di razzismo. In Italia, però, c’era proprio bisogno di farlo in una maniera più profonda, forse“. Nathasha Fernando, che ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Westminster parlando di crisi migratoria e discriminazioni interiorizzate in Italia, è una delle tre studiose che hanno deciso di inserirsi in questa necessità narrativa e culturale.
Spiega che “nel 2020 ci si trovava a scrivere degli articoli in cui parlava di razzismo e razza, però ci si rendeva conto che mancavano delle parole in italiano“. E così è nata l’idea della scrittrice Nadeesha Uyangoda, che poi ha coinvolto Nathasha e Maria Mancuso in un progetto di approfondimento: il podcast Sulla Razza.
Per “intavolare una conversazione sul razzismo“, dunque, ecco che tre esperte del tema hanno deciso di creare un glossario aggiornato. Nadeesha Uyangoda è un’autrice freelance che si occupa di identità, seconde generazioni e migrazioni, mentreMancuso e Fernando avevano lavorato in precedenza al podcast S/Confini di The Submarine, su migrazione e identità.
Partendo da termini appartenenti alla cultura angloamericana, dalla quale si sono diffuse le rivendicazioni razziali, 12 temi sono stati contestualizzati nel vissuto italiano: “razza, colorismo, una goccia di sangue nero, la parola con la enne, minoranza modello, coppie miste, diversità e inclusione, tokenismo, letteratura postcoloniale, l’atleta nerə, femminismo intersezionale, razzismo sistemico” spiegano.
Perché parlare di razza?
La scelta del titolo è molto chiara, spiega Fernando. “In Italia non ci sono degli studi sulla razza. Nell’ambito anglofono – statunitense e inglese – c’è proprio un ceppo degli studi sociali che si chiama invece race studies“. E parlando di società multiculturali che evolvono con le migrazioni “è importante dare un contesto storico al perché di questo multiculturalismo, magari dal punto di vista sociale”.
“In Italia si inizia a studiare il post-colonialismo“, racconta Fernando, “mentre non esistono ancora traduzioni dei termini come colorismo”. Il podcast quindi è nato dall’esigenza di creare una cassetta degli attrezzi che permetta di affrontare il tema con gli strumenti giusti. Partendo, cioè, dalle parole.
L’obiettivo della prima stagione è stato quello di tradurre 12 termini in italiano, dando un contesto alle parole. “Quando si parla di questione razziale o di razzismo, quasi sempre ci si riferisce a casi avvenuti negli Stati Uniti. Il punto è che non possiamo guardare solo dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, ma anche all’Italia“, dice Mancuso.
Creare cultura dal basso
Laddove le discriminazioni sono all’ordine del giorno, è importante promuovere una cultura inclusiva valorizzando le iniziative dei singoli, come nel caso di questo podcast. Le autrici sottolineano però che non è facile diffondere in modo efficace riflessioni su questi argomenti. “Diciamo che ci scontriamo spesso con questo grande gap tra quello che succede nella bolla1 e quello che invece succede fuori dalla bolla perché è difficile avere riuscire ovviamente a bucarla” dice Mancuso.
Aver portato questi temi sui social per le tre esperte è stata un’occasione di creare rete. “Tutte e tre abbiamo avuto modo di connetterci con altre persone simili, magari con origini o genitori di origini diverse, ma con un background italiano molto simile”, racconta Fernando. Da parte di Mancuso, che si definisce ally2 sulla questione del razzismo essendo lei un’italiana bianca, l’occasione è stata comunque fruttuosa: “è stata un’occasione enorme per conoscere tantissime persone, soprattutto italiani e italiane razzializzate3“.
Nel corso degli anni, anche al di fuori degli schermi, si sono moltiplicate iniziative che favoriscono la riflessione e lo scambio culturale in materia di razzismo, diversità e inclusione. Tra queste possiamo nominare il Festival Divercity, il Coordinamento Antirazzista italiano, Razzismo brutta storia, e molti altri podcast, festival e gruppi raccontati nella guida degli spazi postcoloniali redatta da Anna Finozzi e Maria Mancuso.
In arrivo la seconda stagione del podcast
Se nella prima stagione le autrici hanno messo in luce 12 termini, nella seconda stagione, che sarà pubblicata tra pochi giorni, il discorso diventerà più ampio. Il racconto si sposterà su dieci tematiche rilevanti. Tra queste ci saranno “Black Lives Matter“, “Performative Activism“, ossia l’attivismo performativo, e “cancel culture“, la cultura della cancellazione ma anche la cancellazione della cultura. La seconda stagione sarà lanciata il 21 marzo in occasione della Giornata internazionale contro le discriminazioni razziali.
Note
- Il termine bolla è stato introdotto dall’attivista Eli Pariser nel suo libro The Filter Bubble. Si intende il meccanismo per cui su internet e nei social media gli utenti sono esposti a contenuti in linea con il proprio interesse e i propri gusti. Questo meccanismo genera a tutti gli effetti una bolla di informazione.
- Una persona alleata dei movimenti antidiscriminatori e per i diritti civili è una persona che difende la causa nonostante non faccia parte del gruppo discriminato, riconoscendo di avere una conoscenza limitata delle esperienze e del vissuto delle persone oppresse.
- Con persona razzializzata si intende una persona appartenente a una minoranza che viene discriminata e subisce stereotipi collegati alla razza da parte del gruppo dominante. Secondo la docente Angelica Pesarini il termine consente di vedere come la razza, che non esiste biologicamente, serva a definire l’identità pubblica delle persone e a mantenere invariati i rapporti di potere.