È stato presentato a Roma e a Udine nei giorni scorsi il decimo Rapporto annuale sull’economia dell’Immigrazione a cura della Fondazione Leone Moressa, un appuntamento ormai consueto e prezioso per leggere il fenomeno dell’immigrazione nel nostro Paese con uno sguardo lucido e un’attenzione alla realtà dei dati.
I numeri dell’immigrazione in Italia
Sono 2,5 milioni gli stranieri occupati in Italia, concentrati nelle professioni meno qualificate, prevalentemente uomini e con un’età che va dai 35 ai 54 anni. I contribuenti stranieri in Italia nel 2019 hanno dichiarato redditi per 29,08 miliardi di euro e versato Irpef per 3,66 miliardi. Sommando addizionali locali e contributi previdenziali e sociali si arriva a 17,9 miliardi di tasse pagate. Oggi il saldo tra entrate (Irpef, IVA, Contributi, ecc.) e costi (Scuola, Sanità, Pensioni, ecc.) dell’immigrazione è ancora positivo: 500 milioni di euro. Questo perché gli stranieri sono relativamente giovani e incidono poco su pensioni e sanità, principali voci della Spesa Pubblica.
Delle politiche di regolarizzazione, dunque, hanno beneficiato le casse dello Stato. I referenti della Fondazione Leone Moressa spiegano infatti che: “la procedura di regolarizzazione 2020 è solo l’ultima di una lunga serie che, dal 1987 ad oggi, ha portato all’emersione di oltre 2 milioni di stranieri irregolari (il picco nel 2002/2003, con quasi 650 mila “sanati”). La “sanatoria” ha portato nelle casse dello Stato 30 milioni di euro immediati (contributo una tantum al netto dei costi amministrativi), ma potrebbe portare altri 360 milioni di euro annui, sotto forma di tasse e contributi dei lavoratori regolarizzati”.
Negli ultimi anni, inoltre, l’imprenditoria straniera è stata uno dei fenomeni più significativi per l’economia del nostro Paese: mentre gli imprenditori nati in Italia sono diminuiti (-9,4%), quelli nati all’estero che hanno lanciato attività in Italia sono aumentati moltissimo (+32,7%). Le nazionalità più numerose sono Cina, Romania, Marocco e Albania, ma la crescita più significativa si registra tra gli imprenditori del Bangladesh e del Pakistan. La crescita riguarda in particolare il settore edile.
Il Rapporto porta inoltre un dato su cui riflettere: nell’ultimo decennio gli immigrati sono cresciuti del 44%, passando da 3,65 a 5,26 milioni. Tuttavia, i nuovi Permessi di Soggiorno sono complessivamente diminuiti drasticamente (del 70%), a causa di una riduzione netta del rilascio dei permessi per Lavoro (-97%): quindi oggi gli stranieri extra-comunitari arrivano soprattutto per ricongiungimento familiare o motivi umanitari.
Alcune riflessioni sulle politiche
L’immigrazione, dati alla mano, costituisce dunque più un beneficio che un costo per il nostro Paese. Tuttavia l’irregolarità e il lavoro nero ridimensionano i potenziali benefici dell’immigrazione. A partire dai dati del Rapporto, cogliamo l’occasione per riproporre alcune riflessioni che hanno animato questo nostro focus di approfondimento sul sistema di accoglienza e su cui continuamo a interrogarci interloquendo con organizzazioni del Terzo Settore ed enti locali.
Le politiche securitarie generano insicurezza
Politiche securitarie e anti-immigrati generano maggiore irregolarità con effetti negativi sia sulla sicurezza sociale, sull’integrazione e sulle casse dello Stato. A spiegarlo recentemente è stato il ricercatore dell’ISPI Matteo Villa approfondendo il rapporto tra Decreti Sicurezza e crescita dell’irregolarità. I dati suggeriscono dunque di disegnare politiche di segno diverso, che non sfavoriscano la regolarizzazione e l’integrazione socioeconomica dei migranti. Bisogna tornare a riconoscere, accanto alle migrazioni forzate, la realtà delle migrazioni economiche che sono un fenomeno strutturale. Secondo diversi osservatori occorre, in altre parole, riaprire i canali di accesso per lavoro, come argomenta Stefano Allievi, ad esempio, nel libro “5 cose che tutti dovremmo sapere sull’immigrazione (e una da fare)”.
L’accoglienza diffusa come modello
Cambiamenti positivi nelle politiche si sono visti di recente con l’approvazione delle modifiche al decreto sicurezza, tra cui ricordiamo la reintroduzione di una forma di permesso di soggiorno per motivi umanitari e la riaffermazione della centralità del sistema di accoglienza diffuso gestito dai Comuni a cui tornano ad accedere anche i richiedenti asilo (oltre ai minori stranieri non accompagnati, i soggetti vulnerabili e i titolari di protezione internazionale). Delle buone pratiche di accoglienza diffusa abbiamo parlato anche nel Quarto Rapporto sul Secondo welfare, in cui ci soffermevamo sulle buone pratiche realizzate nell’ambito dei Centri di Accoglienza Straordinaria (gestiti dalle Prefetture) perché è questo sistema ad ospitare la maggioranza dei richiedenti asilo. È dunque molto importante che le buone pratiche realizzate anche nell’ambito del sistema prefettizio di accoglienza diventino sistema.
Comunicare la realtà dell’immigrazione
Iniziative come quella preziosissima della Fondazione Leone Moressa ci spingono a riflettere su quanto la conoscenza della realtà dell’immigrazione, a partire dai numeri che aiutano a comprendere il fenomeno, possano giocare un ruolo importante per diffondere informazioni e per fare della buona comunicazione su questi argomenti. Comunicare l’immigrazione, le buone pratiche di accoglienza e integrazione è un tema che stiamo affrontando nell’ambito del progetto Interreg Minplus, di cui vi abbiamo già parlato in diverse occasioni. Ripartire dai dati, senza trascurare la Storia e le storie, può essere una strada per lanciare un dibattito più informato e lucido su quest’argomento che spesso provoca violente contrapposizioni.