“Una straordinaria partecipazione, in soli dieci giorni, del Terzo settore e del privato sociale”. Fabrizio Curcio, capo del Dipartimento della Protezione Civile, ha commentato con queste parole l’esito della manifestazione di interesse per l’accoglienza diffusa dei profughi ucraini da parte della società civile.
Per 15.000 posti, sono arrivate 48 offerte per un totale di oltre 26.000 possibili posti. Il numero maggiore è arrivato dalla Campania (16%), poi Calabria e Lazio (entrambe al 15%). Tra le tipologie di ospitalità offerta sono 16.246 i posti in appartamento (il 61% del totale) e 6.139 i posti per l’ospitalità in famiglia. Nei prossimi giorni, le proposte verranno verificate e valutate fino ad avere un reale numero complessivo di posti ma, per il capo della Protezione Civile, già questi primi riscontri testimoniano “la bontà del percorso costruito dalle istituzioni con il mondo delle associazioni”.
Il percorso di cui parla Curcio, però, è solo all’inizio. E, secondo alcuni, è già tempo di lavorare per la tappa successiva. Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato ANCI per l’immigrazione, è uno di questi. “Lo schema attuale mi convince, ma bisogna già pensare alla fase due, che non è un’emergenza e che quindi non deve più essere di competenza della Protezione civile, ma del Ministero dell’Interno”, spiega. “Spero che già a maggio si inizi a lavorare su questo”, aggiunge.
Oltre 100.000 persone
Il numero delle persone fuggite dall’Ucraina e arrivate in Italia ha superato quota 100.000. In larga parte continuano a essere donne e minori e le città di destinazione dichiarate all’ingresso continuano a essere Milano, Roma, Napoli e Bologna. La maggioranza di questi profughi ha trovato sistemazioni autonome e lo Stato ha deciso di riconoscere loro un contributo di sostentamento di 300 euro al mese (150 per i minori).
Come spiega Vita, la misura è stata pensata per un massimo di 60.000 persone, per la durata di 90 giorni dall’ingresso in Italia e fino a fine anno, ma nessun contributo è stato ancora erogato perché la piattaforma digitale per richiederlo non è ancora attiva. E questo ritardo, indicano diverse segnalazioni, spinge le persone ad abbandonare le sistemazioni trovate e a chiedere accoglienza allo Stato.
“L’Ucraina è l’occasione per strutturare il nostro sistema di accoglienza”, riprende Biffoni. “È chiaramente un’opportunità che non avremmo mai voluto avere, ma ora è tempo di uscire dalla fase dell’emergenza. E questo lo si fa strutturando e ampliando il migliore sistema d’accoglienza d’Europa, che è il SAI”.
“Il miglior sistema d’accoglienza d’Europa”
Il SAI è il Sistema Accoglienza Integrazione, il mecanismo pubblico di accoglienza per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati, gestito dal Ministero dell’Interno, dall’ANCI e dagli enti locali, spesso in collaborazione con enti del Terzo Settore. Non è dato sapere se sia effettivamente “il migliore sistema d’accoglienza d’Europa”, come sostiene Biffoni, ma insieme ai suoi predecessori (SPRAR e SIPROIMI) è sempre stato considerato dagli addetti ai lavori un positivo esempio di accoglienza diffusa. In molti riconoscono al SAI la capacità di distribuire capillarmente le persone sui territori, di far lavorare insieme gli attori del primo e del secondo welfare, con la regia dei Comuni e il coinvolgimento della società civile, e, soprattutto, di offrire ai suoi ospiti un’accoglienza mediamente di qualità e reali possibilità di inclusione.
Il problema è che il SAI è piccolo. E che, fino ad ora, nemmeno la crisi ucraina sembra possa ampliarlo significativamente.
Ad inizio 2022, il SAI contava circa 35.000 posti con 721 enti locali coinvolti, di cui 632 Comuni su un totale di oltre 7.900. Con i primi provvedimenti presi in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, il Governo ha finanziato, con procedure accelerate, 3.000 nuovi posti. Pochi, soprattutto se paragonati ai 5.000 posti aggiuntivi nei CAS, i Centri di accoglienza straordinari spesso considerati di bassa qualità, e ai 15.000 della nuova accoglienza diffusa citata in apertura.
Proprio per questo ANCI, oltre a dei sostegni economici, ha chiesto a metà aprile altri 2.000 posti per minori stranieri non accompagnati e 1.000 per persone con disagio psicologico e/o con necessità di assistenza sanitaria. Ma per Biffoni si potrebbe fare anche molto di più.
“Si può fare”
“Non dico che siamo pronti ad accogliere immediatamente nel SAI tutte le persone arrivate dall’Ucraina. Subito no, ma si può fare, partendo dai minori e dai fragili”, dice Biffoni. Il Sindaco di Prato, che nel suo Comune ha attivato 80 posti SAI, è convinto che sia possibile aumentare in maniera consistente il numero di Comuni coinvolti nel sistema, con bandi da 10-15.000 posti alla volta. “I Comuni che sono dentro il sistema si rendono conto dei vantaggi che porta e, prima della guerra in Ucraina, l’ultimo bando ha visto più richieste di quanti posti fossero disponibili”, continua il primo cittadino con ottimismo.
“Questa è l’unica strada. Altrimenti questo flusso non riusciamo a governarlo. Servono fondi adeguati, bandi subito e soggetti accoglienti con elevate professionalità”, sintetizza Biffoni. A suo parere un grande investimento nel SAI sarebbe importante anche per altre due questioni, che vanno oltre la crisi ucraina.
La prima è il rischio, sollevato da diverse organizzazioni, che si creino canali di ospitalità diversi per profughi di nazionalità diversa, facendo di fatto emergere un razzismo istituzionale. L’investimento nell’ampliamento del SAI, da fare sotto la spinta emotiva della guerra, garantirebbe posti per tutti, a prescindere dalla nazionalità e, soprattutto, sarebbe un’infrastruttura che rimarrebbe anche dopo la fine del conflitto nel Paese dell’Europa orientale.
“Non possiamo mettere l’aggettivo rispetto al canale di accoglienza”, dice Biffoni riferendosi al fatto che i profughi arrivati dall’Ucraina potrebbero avere un trattamento diverso – e potenzialmente migliore – di quello di rifugiati e richiedenti asilo di altre nazionalità. Proprio per questo, nel corso di un’audizione alla Camera, il delegato ANCI ha chiesto “che si possa superare l’idea dell’esclusività dell’accoglienza ai cittadini afgani e ucraini perché oltre alla crisi dell’Ucraina e dell’Afghanistan, siamo chiamati a far fronte agli ordinari arrivi sui nostri territori”.
Politiche di welfare
La seconda questione riguarda l’inserimento strutturale delle politiche per i rifugiati e i migranti nel sistema di welfare italiano. Nel 2021, all’assemblea annuale di ANCI, le commissioni welfare e immigrazione sono state convocate in maniera congiunta. Un piccolo segnale, che però indica una direzione.
“È il sistema di welfare che guida, poi vanno fatte delle specifiche per i migranti, come avviene già per i bambini o le persone con disabilità. Ci stiamo provando, ma le regole del gioco vanno riscritte. Servono nuove norme, fin dalla fase di progettazione”, commenta Biffoni, che fa anche un esempio.
“Spesso i progetti SAI prevedono lo scuolabus per i minori. A pagarlo è il SAI, ma su quello scuolabus ci devono salire tutti i bambini, che siano richiedenti asilo, rifugiati, stranieri o italiani. Tutti insieme. La norma deve consentire ai Comuni di prendere questo tipo di iniziative”, conclude.