Il volume “Il tramonto dell’accoglienza”, pubblicato da Fondazione Migrantes (organismo pastorale della CEI) nella collana “Quaderni”, riporta i risultati di una ricerca commissionata ad Euricse da una rete di enti trentini composta da Cooperativa sociale Arcobaleno, Centro Astalli Trento, Atas del Trentino, Cgil del Trentino e Kaleidoscopio.
L’esperienza trentina
Lo studio – curato da Paolo Boccagni e Serena Piovesan (Università di Trento), Giulia Galera (Euricse) e Leila Giannetto (FIERI, Torino) – indaga l’impatto del sistema di accoglienza trentino da un punto di vista socio-economico alla luce dei cambiamenti introdotti dal Decreto “Sicurezza e immigrazione” (D.L. 113/2018). La ricerca è basata sui dati messi a disposizione dal Cinformi e dal Servizio statistico della Provincia, su due focus group e 27 interviste con stakeholder della pubblica amministrazione ed enti del Terzo Settore.
È bene ricordare i tratti salienti del modello trentino di accoglienza: coerentemente con l’esperienza istituzionale già maturata nelle politiche di integrazione locale, il Trentino si è distinto negli ultimi anni per il tipo di risposte offerte alla domanda di accoglienza. Già dal 2001 la Provincia autonoma si è dotata di un braccio operativo come Cinformi preposto a supportare la Questura nelle procedure amministrative relative all’immigrazione e coordinare i servizi di accoglienza a livello provinciale: il Cinformi ha adottato un approccio integrato al fenomeno migratorio che si è basato sulla stretta collaborazione tra l’ente pubblico e il privato sociale.
A differenza di altri territori italiani, dove sono state le prefetture a selezionare e incaricare i privati di accogliere i richiedenti asilo, in Trentino è stata la Provincia a svolgere questi compiti, garantendo standard qualitativi equivalenti per i beneficiari dell’accoglienza ordinaria e straordinaria. Infatti, in altri contesti territoriali, come abbiamo evidenziato in quest’articolo sul Canavese, l’accoglienza diffusa è stata gestita grazie al coinvolgimento dei Consorzi dei servizi sociali che, grazie alla collaborazione con attori del Terzo Settore, hanno garantito standard qualitativi equivalenti e continuità tra i diversi centri e sistemi di accoglienza.
Tornando al caso trentino, va evidenziato che al crescere del numero di persone accolte è cresciuta la complessità della rete di enti e soggetti del privato sociale coinvolti da CINFORMI nella gestione del sistema, così come si è gradualmente ampliato il numero di territori comunali interessati dall’accoglienza straordinaria. I servizi per l’integrazione comprendono l’assistenza linguistica e culturale, attività informative e di orientamento sul percorso di protezione internazionale in stretta collaborazione con la Questura di Trento, il sostegno socio-psicologico e l’assistenza sanitaria presso i presidi sanitari territoriali o i medici di base, l’orientamento al territorio e percorsi di facilitazione all’integrazione sociale e alla vita comunitaria, l’organizzazione di corsi di lingua e cultura italiana e di formazione all’inserimento lavorativo e al volontariato.
La fine dell’accoglienza diffusa e la solidarietà della cittadinanza
Come si legge nel volume sul caso trentino, i tagli all’accoglienza straordinaria hanno generato importanti cambiamenti. Nel 2019 con la riduzione del numero delle strutture stesse e, conseguentemente, dei Comuni coinvolti nell’accoglienza, si è in buona parte smantellato il modello di accoglienza “diffusa” promosso e sostenuto negli anni precedenti.
Seguendo le linee introdotte nell’ottobre 2018, nel febbraio 2019 la Provincia autonoma ha deciso di trasferire a Trento e redistribuire nelle varie strutture del capoluogo 24 donne richiedenti asilo che dal 2016 erano ospitate in una struttura (di proprietà di una congregazione religiosa) situata a Lavarone.
La decisione, come si racconta nel volume, ha provocato un certo clamore e molte reazioni da parte della comunità locale, anche considerato che alcune di queste donne erano riuscite a trovare delle opportunità lavorative in quella località e avrebbero quindi dovuto rinunciarvi. Grazie all’intervento della Diocesi è stato consentito a una parte di loro di rimanere a Lavarone, senza vanificarne l’esperienza di integrazione. Questo è solo un esempio, tra tanti, degli effetti paradossali dello smantellamento del modello di accoglienza diffusa.
Inoltre, i tagli finanziari all’accoglienza straordinaria hanno comportato il mancato rifinanziamento dei corsi di lingua italiana, dell’attività di orientamento al lavoro e supporto psicologico dei richiedenti protezione, nonché la sostituzione della tessera gratuita sui mezzi pubblici provinciali con l’erogazione di quattro biglietti mensili.
I testimoni privilegiati, intervistati nel corso della ricerca raccontata nel volume sul modello trentino, ritengono queste scelte politiche in materia di accoglienza dettate da una visione di brevissimo periodo che a medio e lungo termine rischia di penalizzare gli stessi territori. Tagliare la qualità dell’accoglienza non genera infatti alcun risparmio nel medio lungo periodo.
Dalla ricerca quantitativa emerge infatti che, a fronte di un risparmio di spesa nell’immediato, i potenziali costi diretti e indiretti generati dalla riduzione dei servizi di accoglienza, orientamento al lavoro e integrazione rischiano di superare significativamente i benefici. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, al mancato prelievo fiscale legato al calo delle assunzioni di richiedenti asilo, all’aumento di costi a carico delle strutture di accoglienza a bassa soglia e di quelli per la fornitura di generi di prima necessità, al rischio di aumento delle fragilità socio-sanitarie alle quali i servizi territoriali devono rispondere, tra i quali gli accessi impropri al pronto soccorso.
A ciò si aggiungano i licenziamenti di operatori altamente qualificati, spesso giovani laureati trentini, con una conseguente dispersione delle competenze acquisite. Mentre politiche di qualità hanno ricadute positive sulle attività produttive in termini di beni, servizi e di consumi indotti, infatti lo studio evidenzia che ogni euro speso per l’accoglienza ha generato complessivamente nel sistema economico trentino quasi due euro di valore.
Perché difendere e rilanciare l’accoglienza diffusa ai tempi del Covid-19?
Leggendo le pagine di questo volume non possiamo non pensare a quanto è stato evidenziato anche nell’ambito del progetto Interreg Minplus al quale partecipiamo come Percorsi di secondo welfare. Osservando la questione dal punto di vista delle modalità di governance, abbiamo più volte raccontato in questo focus esperienze di accoglienza diffusa realizzate a livello locale.
Nel volume pubblicato online lo scorso luglio, “La governance dell’accoglienza di richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati. Buone pratiche dal Canton Ticino al Piemonte“, curato dalla Direttrice Franca Maino e da chi scrive, abbiamo sintetizzato i risultati di un percorso di ricerca sul campo che ha messo in evidenza le buone pratiche di accoglienza realizzate nel contesto piemontese, dalla micro-accoglienza diffusa nel Canavese alla Val d’Ossola ai confini con la Svizzera. La ricerca ci ha permesso di ricostruire il funzionamento delle reti di attori pubblici e privati che collaborano a livello locale ai fini dell’inclusione di richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati.
È particolarmente importante, come sottolineato nel volume sul caso trentino, che non si disperda il know how inter-organizzativo che è maturato da queste esperienze. Il percorso di co-progettazione, avviato nell’ambito del nostro progetto Minplus e facilitato da Codici Ricerche, e i cui esiti sono raccontati in una serie di dynamic paper, si è inserito in questo quadro rafforzando lo scambio di conoscenze tra attori, e contribuendo a mantenere vivo e plurale il confronto anche in una fase di grande incertezza per le politiche di accoglienza.
Sarebbe ragionevole non cancellare il patrimonio di esperienze realizzate a livello locale, e al contrario rafforzarle all’interno di un quadro di politiche più strutturate e coerenti a livello nazionale. La considerazione relativa al fatto che politiche più robuste, anche in termini di risorse, volte all’inclusione di richiedenti asilo possano generare un risparmio sul lungo periodo, e diverse conseguenze positive dal punto di vista sociale ed economico, è d’altronde alla base dell’Agenda Integrazione a cui fanno riferimento le politiche d’inclusione di richiedenti asilo e rifugiati in Svizzera, com’era stato evidenziato, nel nostro report di ricerca, da Paolo Moroni (Filos Formazione) nel capitolo “Le politiche di governance dell’accoglienza e dell’integrazione di ammessi provvisoriamente, rifugiati e minori stranieri non accompagnati in Canton Ticino”. Quello svizzero e ticinese ha infatti costituito nel nostro percorso di ricerca un termine di confronto in grado di illuminare con ancora più forza le specificità del caso italiano.
Oggi una complessità ulteriore è legata agli effetti di medio periodo dell’emergenza sanitaria del Covid-19. Fenomeni di emarginazione possono acuirsi in questi tempi di distanziamento sociale e oggi è ancora più evidente che la bassa qualità dei percorsi di accoglienza e inclusione può aver ripercussioni drammatiche per la collettività (anche in termini di salute pubblica); ne scrivemmo riprendendo la denuncia di autorevoli organizzazioni già all’inizio del primo lockdown.
Un’obiezione possibile a politiche dedicate ai richiedenti asilo, come si ricorda nelle conclusioni del volume sul caso trentino, riguarda la necessità e l’opportunità di integrare questi ultimi nei servizi previsti per la collettività senza distinzioni. È un punto da non trascurare, ma appare altrettanto chiaro che ciò non possa realizzarsi senza prima portare a compimento percorsi di accoglienza e inclusione dedicati, che tengano conto di specifici bisogni linguistici, culturali, psicologici che caratterizzano i richiedenti asilo. Senza dimenticare un altro punto dirimente: i lunghi tempi per l’ottenimento dello status di rifugiati comportano una “sospensione biografica” nella vita di queste persone.
A queste considerazioni, se ne possono aggiungere altre in difesa dell’accoglienza diffusa. Di recente, un articolo pubblicato sulla voce.info mostra come l’accoglienza diffusa porti a una riduzione del voto anti-immigrati; infatti forme di interazione positiva tra autoctoni e migranti – secondo gli autori – favorirebbero una riduzione del pregiudizio.