“I corridoi umanitari sono una proposta concreta per affrontare la questione delle migrazioni evitando le morti in mare, l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani. Sono una via legale e sicura per coloro che arrivano, ma anche per chi accoglie”, spiega Daniela Sironi, Responsabile per la Regione Piemonte e referente per il Nord Italia della Comunità di Sant’Egidio, durante un incontro avvenuto il 28 gennaio 2020 a Novara. Ce ne parla Paolo Moroni. Riprendiamo l’articolo dal sito del progetto Interreg Italia Svizzera Minplus.
L’idea di ricercare una soluzione al problema dei migranti, che partendo dall’Africa e dall’Asia hanno tentato e tentano di raggiungere le coste europee, nasce all’interno della Comunità di Sant’Egidio a seguito della grande affluenza di profughi attraverso il Mediterraneo, seguito alle Primavere arabe, la caduta di Gheddafi e la guerra in Siria.
Questo afflusso ha avuto come corollario quello che è stato definito “lo scandalo” delle morti in mare: secondo i dati diffusi da Amnesty International oltre 15.000 persone sono perite a seguito di naufragi nel Mediterraneo centrale tra il 2014 e il 2019. L’impotenza di fronte a una tragedia di queste proporzioni e la considerazione sulla mancanza di vie legali che consentissero alle persone, in fuga di fronte ai pericoli della guerra o dalla povertà, di raggiungere l’Europa, hanno portato la Comunità a proporre l’istituzione di corridoi umanitari, già definiti nel Diritto internazionale, come zone demilitarizzate per consentire il transito sicuro di aiuti umanitari o rifugiati fuori da una regione di crisi.
Sulla base di esperienze avviate dall’ONU durante la guerra in ex-Yugoslavia e in Africa, fu definito un progetto per portare in Italia profughi in fuga dal conflitto siriano. Era però necessario trovare una via che desse copertura legale all’ingresso sul territorio italiano di persone migranti, in possesso di particolari requisiti di vulnerabilità, senza che queste si dovessero presentare ai confini per depositare una domanda di protezione internazionale. A questo proposito il giurista Paolo Morozzo scrive, in riferimento alle norme dell’UE in tema di asilo, che l’Europa: “Si ostina ad offrire asilo solo a coloro che riescono a raggiungerne i confini, come sembra presupporre lo stesso art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea il quale – perpetuando un approccio volutamente inconsapevole dei cambiamenti epocali intervenuti negli ultimi decenni – limita la propria attenzione ai profughi che arrivano, oppure che affluiscono in massa, alle frontiere dell’Unione” (Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, Fascicolo n. 1/2017).
Il Protocollo di intesa con lo Stato italiano
Nella maggior parte dei casi, infatti, per avanzare tale istanza in Italia, risulta indispensabile entrare clandestinamente e, data la peculiare collocazione geografica del nostro paese, ciò deve avvenire attraverso un confine marittimo, con tutti i rischi che ciò comporta.
La base giuridica dell’iniziativa che ha portato all’attivazione dei corridoi umanitari è stata trovata infine attraverso un’attenta lettura del Regolamento CE 810/2009 del Parlamento europeo del 13 luglio 2009, che istituisce il Codice comunitario dei visti. Tale regolamento, all’art. 25, concede ai paesi che hanno sottoscritto il Trattato di Schengen sulla libertà di circolazione per tutti i cittadini dei paesi firmatari, la possibilità di rilasciare visti validi esclusivamente per il proprio territorio. Tali visti, con validità territoriale limitata al solo paese che li emette, sono rilasciati eccezionalmente, tra gli altri casi, anche per motivi umanitari.
Facendo perno sulla normativa europea, la Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con la Federazione delle chiese evangeliche in Italia e la Tavola Valdese, ha proposto allo Stato italiano la sottoscrizione di un Protocollo di intesa che è stato firmato nel dicembre del 2015 dai rappresentanti degli enti promotori e dai Ministeri degli Esteri e dell’Interno, per permettere in due anni a mille profughi siriani fuggiti in Libano di raggiungere l’Italia in maniera legale e sicura. Nel novembre 2017 viene firmato un progetto analogo per il biennio 2018/19 per altri mille profughi.
Come si rileva dal documento pubblicato dai tre Enti ecclesiali promotori dell’iniziativa nel gennaio 2018, in occasione del rinnovo della convenzione con lo Stato italiano, gli obiettivi della creazione di corridoi umanitari sono indirizzati a: "Evitare i viaggi dei profughi con i barconi della morte nel Mediterraneo, contrastare il micidiale business degli scafisti e dei trafficanti di uomini; concedere a persone in condizioni di vulnerabilità (ad es. vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, anziani, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario, e successiva presentazione della domanda di asilo; consentire di entrare in Italia in modo sicuro per tutti, anche di chi accoglie, perché il rilascio dei visti umanitari prevede i necessari controlli da parte delle autorità italiane”.
Daniela Sironi descrive poi come si è arrivati ad attivare i corridoi:
"L’attenzione della Comunità si è appuntata fin dall’inizio sui campi profughi presenti in Libano che ospitavano e tuttora ospitano un gran numero di cittadini siriani in fuga dalla guerra. Il Libano è un piccolo paese di circa quatto milioni e mezzo di abitanti che da solo si fa carico di oltre un milione e mezzo di profughi siriani; sul suo territorio opera dal settembre 2013 la Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII attraverso l’Operazione Colomba, ed è proprio a questa organizzazione che si è rivolta Sant’Egidio per avviare il progetto e per avere un aiuto nell’organizzare i primi reinsediamenti di profughi siriani".
Inoltre, aggiunge che bisogna tenere presente che per queste persone la speranza di ritornare in patria
"Si sta facendo sempre più tenue, molti di loro hanno lasciato il paese a seguito di persecuzioni dovute alla loro posizione politica anti governativa, altri, a causa delle distruzioni della guerra, hanno perso la propria casa, altri ancora non sono più in possesso di documenti che certifichino i loro titoli di proprietà oppure sanno, attraverso amici e parenti, che le loro abitazioni sono state occupate o distrutte. Per tutti questi motivi chiedono di poter iniziare una nuova vita fuori dalla Siria".
I corridoi umanitari
Il progetto dei corridoi umanitari si rivolge in via prioritaria a queste ultime categorie di rifugiati per i quali non è assolutamente pensabile il ritorno in patria. Inoltre, la precedenza nell’accesso al programma è data, come previsto dal protocollo firmato con lo Stato italiano, a singoli o famiglie in situazione di particolare vulnerabilità, tra di loro vittime di guerra o persecuzioni, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità. Un’altra condizione fondamentale è quella riferita al possesso di documenti di identità, indispensabili per regolarizzare la loro posizione.
La procedura per portare queste persone in Italia prevede, in una prima fase, la costruzione di un dossier da parte degli operatori di Sant’Egidio e dell’associazione Giovanni XXII in cui viene raccolta la documentazione relativa alla persona o alla famiglia e dove sono evidenziati tutti i dati necessari per presentare presso il consolato di Beirut la domanda per ottenere il visto necessario all’ingresso.
Il consolato, attraverso i canali dell’Intelligence basata in Libano, effettua tutta una serie di controlli preliminari per escludere che la persona sia o sia stata implicata in fatti delittuosi, non dia garanzie in riferimento alla propria collocazione politica oppure abbia avuto contatti con movimenti dell’estremismo islamico.
La costruzione di questo dossier ha la duplice funzione di assicurare lo Stato italiano sull’affidabilità della persona e nello stesso tempo garantire alla stessa un percorso facilitato una volta arrivata di fronte alla commissione prefettizia della località dove sarà ospitata, infatti la raccolta di notizie per la concessione del visto non esclude l’audizione per l’assegnazione dello status di rifugiato.
A questo punto la procedura prevede la concessione del visto e il successivo viaggio verso l’Italia che in genere avviene su voli di linea, raggruppando un certo numero di famiglie, e ha come meta l’aeroporto di Fiumicino a Roma. A garanzia dell’identità di ciascun richiedente asilo e per scongiurare sostituzioni di persona, oltre al controllo dei documenti di ciascuno, le autorità di polizia italiane eseguono una verifica sulle impronte digitali sia al momento della partenza da Beirut, che all’arrivo a Roma.
Daniela Sironi spiega ancora che:
“La peculiarità dell’iniziativa è data, a questo punto del percorso, dall’accoglienza che si viene a realizzare una volta che il gruppo di rifugiati raggiunge l’Italia, infatti per ciascuno di loro è stato pensato un progetto che prevede la sistemazione all’interno di una comunità locale che ha deciso volontariamente di farsene carico”.
Ciascuno dei soggetti promotori dell’iniziativa attiva le proprie reti locali costituite da singoli, gruppi di famiglie, parrocchie o associazioni di volontariato in largo anticipo sull’arrivo dei profughi. E’ compito di questi soggetti la ricerca di alloggi adeguati, messi a disposizione il più delle volte a titolo gratuito, e la predisposizione di tutte le risorse necessarie ad avviare la vita della famiglia nel nuovo ambiente, in termini di mobili, suppellettili, abbigliamento e biancheria.
Oltre alla casa, la comunità locale che ha deciso di supportare i rifugiati, si occupa delle questioni legate all’iscrizione dei bambini a scuola e degli adulti ai corsi di italiano, ma prima di ogni cosa di orientare i nuovi arrivati nell’ambiente che li ospita, attraverso la conoscenza del territorio, dei servizi presenti e delle modalità riferite al loro utilizzo.
Bisogna tenere presente che, secondo quanto stabilito dal protocollo con lo Stato italiano, tutte le spese, sia quelle riferite all’organizzazione del viaggio, che quelle destinate all’accoglienza e al mantenimento dei profughi, sono sostenute dalle organizzazioni che promuovono i corridoi e dalle comunità locali ospitanti. Ovviamente il sostegno ai profughi non è a tempo indeterminato e prevede un graduale inserimento nella società italiana e l’accompagnamento in percorsi di autonomia, anche economica.
La referente di Sant’Egidio definisce poi la modalità di accoglienza, immaginata dal progetto come “adottiva”, in quanto prevede il coinvolgimento di più soggetti che, ciascuno per la propria parte, si fanno carico di fornire sostegno nel difficile percorso di adattamento dei profughi al nuovo ambiente e prosegue spiegando che:
“Le persone coinvolte hanno comunque il supporto di un referente della Comunità di Sant’Egidio che fornisce loro, in via preliminare, tutte le informazioni sui singoli o le famiglie con cui verranno in contatto: questa fase è molto importante in quanto spesso si tratta di persone che a causa della loro vulnerabilità vivono problematiche importanti. I volontari ricevono inoltre una formazione che permette loro di affrontare con consapevolezza il proprio compito e possono fare comunque sempre affidamento su un referente della Comunità il quale, a seguito di problematiche particolari, può fornire loro il massimo supporto”.
Il primo passaggio previsto, dopo l’arrivo in Italia dei richiedenti asilo, è quello dell’audizione di fronte alla competente Commissione territoriale per il diritto all’asilo che esamina la documentazione riferita alla richiesta dello status di rifugiato. Grazie al dossier raccolto prima della partenza e utilizzato per la concessione del visto, il passaggio in Commissione il più delle volte non rappresenta un ostacolo, infatti la quasi totalità delle domande presentate hanno un riscontro positivo e i richiedenti ottengono un permesso di soggiorno della durata di cinque anni.
Daniela Sironi ci spiega:
“Da questo momento inizia il percorso delle persone nel nuovo ambiente e l’obiettivo, che insieme si danno la comunità accogliente e coloro che sono accolti, è quello riferito al raggiungimento dell’autonomia sociale ed economica della maggior parte dei membri della famiglia. Infatti, con particolare riguardo ai profughi siriani, si tratta di nuclei famigliari composti da genitori e un numero variabile di figli oppure da madri sole con bambini. Bisogna inoltre tenere presente che le loro condizioni socioeconomiche in patria erano spesso medio alte e che molti hanno titoli di studio a livello universitario, purtroppo non riconosciuti in Italia, costringendoli ad adattarsi a occupazioni non in linea con la loro formazione”.
La Responsabile della Comunità di Sant’Egidio prosegue:
“Da parte di queste persone, che una volta giunte in Italia perdono definitivamente la speranza di ritornare nel loro paese, c’è un grande investimento sui figli che rappresentano il futuro. Per quanto riguarda gli adulti il più delle volte prevale un senso di rassegnazione. A differenza di altri migranti, che nel paese di arrivo vedono realizzarsi il sogno di migliori condizioni di vita, sanno di aver abbandonato per sempre e forzatamente l’ambiente in cui sono nati e cresciuti e che non lo vedranno mai più. Nella consapevolezza di questo sentimento è importante la solidarietà delle comunità che li circondano e che li aiutano a non sentirsi soli nel difficile cammino che li aspetta. Sicuramente, la presenza di nuclei famigliari coesi e la speranza di un futuro migliore per i figli, fornisce alle persone adulte la forza per continuare”.
Le esperienze di accoglienza a livello locale
Inoltre, secondo i promotori dell’iniziativa, l’esperienza dell’accoglienza e il coinvolgimento da parte delle realtà locali rappresenta un grande arricchimento dal punto di vista della coesione sociale delle comunità che ospitano.
“Esistono esperienze che dimostrano quanto la presenza di persone migranti accolte all’interno di piccole comunità, adeguatamente preparate, abbia stimolato e intensificato i rapporti tra i vari componenti della realtà locale. Un semplice esempio è quello riferito al positivo inserimento di una famiglia di otto persone in un piccolo paese rurale del cuneese, dove oltre al sentimento di solidarietà venutosi a creare, l’operazione ha avuto particolare successo perché, nel programmare il loro arrivo, si è tenuto conto delle possibilità occupazionali di un territorio a vocazione agricola e dell’origine contadina della famiglia che sarebbe stata ospitata”.
La bontà di questo metodo che fa perno sul coinvolgimento diretto di una parte della comunità locale nei processi di accoglienza, ma anche di efficaci processi comunicativi sul territorio, è dimostrata da vicende parallele avvenute in due piccoli centri della provincia di Ferrara. Nell’ottobre del 2016 la comparsa nel piccolo centro di Gorino di un gruppo di 12 migranti, costituito da donne sole con i loro bambini, aveva scatenato violente proteste e blocchi stradali, mentre il contemporaneo arrivo nel vicino comune di Fondo, a distanza di pochi giorni, di una famiglia attraverso il progetto dei corridoi umanitari, era stato celebrato dall’intero paese con sindaco e banda.
“Un aspetto importante legato a questa vicenda” continua Daniela Sironi “è quello riferito ai processi comunicativi, infatti, mentre i media nazionali erano concentrati sulle barricate di Gorino, nessuno ha parlato della positiva accoglienza alla famiglia di migranti nel vicino paese, dove attraverso incontri pubblici si era parlato del progetto e ciò aveva creato un clima favorevole al loro arrivo. Questo è in effetti un grave problema che va risolto attraverso una narrazione adeguata di quanto è possibile fare e si sta facendo: la verità insita in questa narrazione può suscitare anche in altri la disponibilità a fare delle cose, anche piccole, ma che possono rappresentare, oltre ad un aiuto a coloro che oggi vivono uno stato di necessità, una scuola di convivenza civica. L’egoismo e l’individualismo non creano legami e fanno della fragilità una disperazione”.
Secondo l’opinione della Responsabile della Comunità di Sant’Egidio:
“L’esperienza dei corridoi ha un valore che va oltre a quello contingente, perché rappresenta un precedente che dimostra la fattibilità di un approccio diverso al problema delle persone che fuggono guerre, persecuzioni o situazioni di vita insostenibili. I corridoi umanitari rappresentano un modello operativo concreto che dimostra come sia possibile qualcosa di diverso dai barconi nel Mediterraneo: è un’esperienza realizzata che non ha nulla di ideologico”.
Attualmente sono oltre 2.000 i profughi siriani accolti in Italia attraverso questo progetto, 300 di loro sono presenti in Piemonte che, dopo Roma e il Lazio, rappresenta il più importante punto di approdo per queste persone. Negli scorsi mesi a seguito di un accordo tra la Comunità di Sant’Egidio e la Conferenza Episcopale Italiana, che agisce attraverso la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes, è stata siglata una convenzione che permetterà l’arrivo, attraverso le modalità previste dai corridoi umanitari, di 600 profughi, in prevalenza somali ed eritrei, dai campi dell’Etiopia, dopo un primo accordo che ne aveva portati in Italia 500 nel 2017-2018.
L’ultimo progetto, in ordine di tempo, è quello che nasce dalla collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio e l’Elemosineria apostolica, guidata dal Cardinale Konrad Krajewski, e che ha visto lo scorso dicembre 2019 l’arrivo dei primi 33 richiedenti asilo dal campo di Moria sull’isola di Lesbos.