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Quando nel pomeriggio del 19 aprile 2015 Antonio Silvio Calò viene a sapere dell’ultima tragedia di migranti morti in mare nel Mediterraneo decide, insieme alla moglie Nicoletta, di prendere in mano la situazione. Si recano in Prefettura di Padova e decidono di aprire la loro casa a sei giovani richiedenti asilo. Da allora il loro progetto si è sviluppato ed è diventato una buona pratica, premiata dal Presidente della Repubblica Italiana e dal Parlamento Europeo nel 2018. Questa esperienza di accoglienza e integrazione "diffusa", che contrasta con il tipico approccio di accoglienza dei rifugiati e dei nuovi arrivati per vie irregolari in grandi centri separati dalla comunità locale, è stata definita da suoi promotori “6+6×6”. EMBRACIN si ispira all’iniziativa della famiglia Calò, con l’obiettivo di comprenderla, adattarla e riutilizzarla in altri Paesi europei e di creare una rete sul tema dell’accoglienza e integrazione dei migranti. Ve lo raccontiamo di seguito.


Lo schema “6+6×6”

Il modello “6+6×6” si basa su un approccio olistico all’accoglienza e all’integrazione dei nuovi arrivati sviluppato nell’arco temporale di poco più di due anni, al termine dei quali tutti e 6 i nuovi arrivati hanno trovato un lavoro e risultano integrati nella comunità locale. “6+6” fa riferimento alla famiglia Calò allargata: la famiglia italiana (genitori e quattro figli) e i 6 “figli africani” (tutti adulti). Appena il progetto ha preso forma a casa Calò, i componenti del suo ultimo elemento – i “x6” – hanno completato il progetto con competenze professionali specifiche e diversificate per gestire un processo di integrazione a 360 gradi: uno psicologo, un assistente sociale, un mediatore culturale, un insegnante/tutor, un avvocato e un medico. Con un solido approccio di economia domestica, i costi dell’accoglienza e dell’integrazione sono passati dai 30 euro iniziali al giorno a persona a molto meno non appena i nuovi arrivati hanno iniziato a percepire un reddito dopo aver frequentato la scuola per imparare abitudini e regole italiane e locali.

Con l’evolversi dell’esperienza, è stato possibile individuare sei fasi del processo di integrazione, partendo dalla decisione iniziale della famiglia di aprire la porta di casa seguita da cinque fasi incrementali o “modulari”. Dopo l’arrivo dei sei giovani, tre mesi sono stati dedicati alla prima accoglienza e alla creazione del team multidisciplinare. I 9 mesi successivi si sono concentrati sull’apprendimento delle basi per l’integrazione: lingua e scuola, cultura, vita sociale nel Nord-Est Italia. Un’agenda fitta di impegni tra scuola pubblica, volontariato e condivisione delle faccende domestiche ha tenuto impegnati tutti. Alla fine dell’anno scolastico, il passo successivo è stato quello di trovare un’esperienza lavorativa, quindi sono iniziati i tirocini retribuiti di 6 mesi, al termine dei quali la maggior parte dei giovani ha trovato un lavoro a tempo pieno, alcuni immediatamente, altri in pochi mesi. All’inizio del 2020 tutti i giovani, risultati indipendenti, hanno lasciato casa Calò anche se alcuni di loro non hanno completato la lunga procedura giudiziaria per ottenere lo status giuridico definitivo.

Questa esperienza spontanea è andata affermandosi come una buona pratica codificata, da scalare e trasferire in altre città italiane e europee per diventare un modello diffuso per l’accoglienza dei migranti in Europa. I principi o pilastri principali del “6+6×6” possono essere così riassunti:

  • una società civile attiva nell’integrazione dei migranti, con la consapevolezza comune che i migranti possono essere risorse e non problemi, soprattutto se si utilizza l’approccio diffuso;
  • un approccio olistico dell’integrazione e la presenza di un team multidisciplinare per accompagnare efficacemente l’integrazione;
  • l’innovazione sociale può realizzarsi quando le politiche pubbliche e l’impegno della società civile lavorano in modo integrato;
  • la riformulazione delle attuali politiche di integrazione – soprattutto a livello locale – e la condivisione delle responsabilità tra pubblico e privato è imprescindibile per un’integrazione efficace e a lungo termine.


Una risorsa per la comunità: l’aspetto finanziario e non solo

Quando nel 2015 i Calò iniziarono il loro progetto, l’Italia aveva un sistema finanziato con fondi pubblici – in parte il fondo europeo per l’Asilo, la Migrazione e l’Integrazione (AMIF) dell’UE e in parte fondi nazionali – che prevedevano un costo di 30-35 euro per persona al giorno nel sistema di accoglienza. Tale importo era interamente devoluto alle organizzazioni che gestivano i centri per i rifugiati e richiedenti asilo.

I Calò non hanno mai gestito direttamente tali fondi pubblici. Non era permesso dalla normativa, e loro stessi non lo hanno mai voluto. È stata la Cooperativa Hilal, che aveva un contratto per l’accoglienza con la Prefettura, a ricevere i fondi dallo Stato (trattenendo una piccola quota per le spese amministrative di gestione) e a rimborsarli alla famiglia e alle persone accolte a fronte di ricevute e pagando direttamente il c.d. pocket money (25 euro ogni dieci giorni a persona: 2,5 euro al giorno).

Dopo il primo anno si è assistito ad una costante diminuzione delle spese per la gestione dell’accoglienza e dell’integrazione di queste sei persone. Quando i sei giovani hanno iniziato a lavorare, hanno contribuito alle spese della casa con circa 200 euro al mese, coprendo anche tutte le spese alimentari, e gradualmente anche tutte le spese di soggiorno con un risparmio della spesa pubblica di circa 1.200 euro al mese. I costi relativi alle persone e alle risorse – in termini di tempo dedicato e risorse in natura (come tempo, vestiti, biciclette, ecc.) della famiglia e degli amici direttamente coinvolti non è stato quantificato economicamente, poichè il “ritorno sociale sull’investimento” su questi sei uomini è apparso evidente a tutta la comunità.

I benefici, infatti, sono stati molteplici per la comunità e il sistema economico locale, in termini di:

  • aumento dei ricavi per il commercio: tutte le necessità alimentari e domiciliari vengono acquistate localmente nei negozi e da produttori locali;
  • aumento delle entrate per lo Stato italiano: attraverso il pagamento delle imposte sul lavoro e della previdenza sociale i migranti stanno anche ripagando i costi iniziali dell’accoglienza e dell’integrazione;
  • opportunità lavorative per i professionisti locali: le persone assunte (psicologo, assistente sociale, tutor, avvocato) provengono tutti dalla zona (ad esempio, l’assistente sociale era disoccupato prima di essere assunto, e ha ricevuto un reddito regolare che ha aiutato la sua famiglia italiana);
  • sicurezza: attraverso l’intenso programma e l’atmosfera familiare, compreso il supporto psicologico, il quartiere ha visto crescere il senso di sicurezza e sono stati creati nuovi legami per aiutare e integrare i ragazzi “africani” della famiglia Calò, generando una maggiore coesione sociale.

Enti locali e partner internazionali: la nascita di EMBRACIN

Dall’esperienza concreta della famiglia Calò è nato il progetto EMBRACIN, finanziato dal fondo europeo per l’Asilo, la Migrazione e l’Integrazione (AMIF) con un budget di 1.936.453,37 euro. Ha preso avvio il 1° gennaio 2020 e avrà una durata di tre anni. EMBRACIN è un acronimo che sta per “Enhancing Migrants’ Bottom-up, Responsive and Citizen-led Integration in Europe”, che significa "Accrescere un’Integrazione dei Migranti in Europa dal Basso, Reattiva e guidata dai Cittadini". Lo stesso acronimo, tuttavia, non è stato scelto a caso poiché il suo significato “abbracciare” vuole proprio indicare il fine ultimo di questo progetto: la volontà di far sentire alla persona migrante una vicinanza, un collegamento con la nuova società in cui si viene a trovare, un gesto di incontro e riconoscimento che porta ricchezza ad entrambi i soggetti coinvolti.

Il progetto è nato grazie a un partenariato europeo che vede il coinvolgimento di sei diversi Paesi europei dove si trovano i siti pilota in cui verranno implementate le sperimentazioni dello schema “6+6×6”: in Italia il Comune di Padova, capofila del progetto, a cui è affidato il servizio di gestione e coordinamento, in Svezia il Comune di Sala, in Slovenia il Comune di Ho?e–Slivnica, a Cipro il Comune di Engomi, in Spagna il Fondo Andaluso di Municipalità per la Solidarietà Internazionale (FAMSI) e in Grecia l’Agenzia di Sviluppo Metropolitano di Salonicco (MDAT). A questi si enti locali si aggiungono altri quattro partner a supporto dell’azione di progetto: I AM progettazione di Alterevo, società di innovazione sociale italiana, in collaborazione con Calò, e POLIBIENESTAR, Istituto di ricerca sulle Politiche di previdenza sociale (Spagna) si occupano della parte metodologica e scientifica mentre CSI, Centro di Innovazione Sociale con sede a Cipro, ed ECCAR, Coalizione Europea di Città contro in Razzismo (con sede in Germania), sono le agenzie locali dedite alla ricerca e al networking.

Ad oggi il partenariato ha svolto una serie di attività di scambio delle varie esperienze e buone pratiche in ambito di accoglienza e integrazione dei migranti, oltre ad approfondire lo schema tutto italiano del “6+6×6”, e sta ora finalizzando la parte finale della pianificazione e progettazione che porterà ad implementare il nuovo modello EMBRACIN in base alle specificità di ogni singolo territorio. I prossimi due anni saranno dedicati allo sviluppo della sperimentazione, alla sua valutazione scientifica e allo sviluppo di una rete di comuni a livello europeo per condividere i risultati e portare avanti questo nuovo modello europeo. Il coinvolgimento diretto dei comuni deriva da un’idea di azione precisa del Prof. Calò, che con il suo solito entusiasmo, ottime capacità di storytelling e il tipico pragmatismo veneziano, ha un piano veramente chiaro su come fare: per diventare uno schema di integrazione, lo schema 6+6×6, ha bisogno di un impegno politico da parte delle autorità più vicine ai cittadini, vale a dire gli enti locali.

Anche i Calò, infatti, ammettono che la loro famiglia ha agito in modo straordinario e che l’onere non può rimanere esclusivamente all’interno della famiglia. La soluzione è quindi quella di diffondere l’accoglienza dei nuovi arrivati in piccoli numeri dove il Comune assume il ruolo di gestione delle risorse personali e assume il “team x6” di professionisti che accompagnano uno o più nuclei di sei nuovi arrivati. Questa operazione comporta non solo l’identificazione di risorse adeguate – che possono provenire da fondi europei AMIF o da fondi nazionali dei servizi sociali, ma anche un miglioramento delle politiche e dell’impegno, sia nazionale sia a livello locale. Le politiche di integrazione sono trattate a diversi livelli di governo nei paesi europei, ma l’elemento che le accomuna è che l’integrazione avviene sul territorio, quindi in quei livelli di governo in cui è maggiore la vicinanza dei cittadini che sono chiamati a svolgere un ruolo civico e politico più rilevante.


Un obiettivo ambizioso: un nuovo modello di convivenza ed emancipazione dei migranti

L’obiettivo finale del progetto è quello di creare una rete europea di città interessate allo scambio, all’adattamento e al riutilizzo (trasferimento) del programma “6+6×6” implementato dai Calò nel a Treviso, nello specifico nel Comune Camalò di Povegliano. L’intento è estendere la pratica di successo testando la sua trasferibilità in diversi Stati dell’UE; in primo luogo nei paesi che partecipano al progetto: Italia, Svezia, Slovenia, Grecia, Cipro, Spagna. I risultati di tale sperimentazione rappresenteranno la base per un “modello strutturato” di inclusione e integrazione dei migranti, in cui i costi – oltre all’efficienza e alla sua efficacia in termini di benefici per i migranti stessi e per le comunità ospitanti – saranno verificati e considerati tra i fattori portanti per la sua sostenibilità.

Costruire una rete di enti locali interessati allo scambio e alla creazione di opportunità di apprendimento reciproco sul tema dell’accoglienza e l’integrazione dei migranti, che in questo caso si declinano meglio in convivenza ed emancipazione, ampliando così la rete a nuovi stakeholder esterni al partenariato di progetto è una delle sfide più ambiziose. Si vuole creare l’opportunità di apprendere tra pari, beneficiando delle conoscenze e della pratica generate dal trasferimento e dalla sperimentazione dell’approccio EMBRACIN, ma non solo. Si tratterà di un percorso basato su una ricerca-azione che mapperà l’interesse e le esigenze degli enti locali coinvolti; sulla condivisione dei risultati della fase preliminare della sperimentazione e sul coinvolgimento dei partecipanti in sessioni di apprendimento, formazione e di scambio di buone pratiche. Lo sforzo e l’interesse a rafforzare questo tipo di rete non vuole infatti limitarsi a promuovere il nuovo modello di integrazione EMBRACIN, ma punta piuttosto a offrire una nuova prospettiva di collaborazione congiunta tra le reti esistenti al fine di migliorare lo scambio, il dibattito e il discorso pubblico sulla migrazione e l’integrazione.

Gli enti locali interessati a prendere parte a questo ambizioso progetto sono invitati a scrivere una mail a: casariva@comune.padova.it per aderire o avere maggiori informazioni.

Riferimenti

Il sito del progetto EMBRACIN