Il nuovo stenta ad avanzare. Lo fa lentamente. E così l’entusiasmo con cui era iniziata l’accoglienza dei cittadini ucraini fuggiti in Italia rischia di svanire. “L’accoglienza diffusa procede molto a rilento”, spiega a Secondo Welfare Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di ARCI. “L’interesse da parte delle amministrazioni pubbliche e dei cittadini si è affievolito rispetto all’inizio, e i mesi passati hanno fatto emergere alcune difficoltà”, aggiunge Miraglia, che coordina anche il Tavolo Asilo e Immigrazione, composto da numerose realtà del Terzo Settore.
Accoglienza diffusa, di cosa parliamo
La cosiddetta “accoglienza diffusa” è una delle principali novità con cui il Governo italiano ha risposto all’arrivo nel nostro Paese dei profughi che si sono lasciati alle spalle l’invasione russa dell’Ucraina. Non si tratta dell’accoglienza diffusa “mediata dal Pubblico” del SAI, il Sistema Accoglienza e Integrazione che viene anch’esso spesso definito in questo modo proprio per via del coinvolgimento dei Comuni.
La Protezione civile, incaricata dall’esecutivo di gestire l’accoglienza, ha però deciso di chiamare “accoglienza diffusa” anche quella promossa attraverso un bando rivolto direttamente a enti del Terzo Settore, Centri di servizio per il volontariato, enti religiosi civilmente riconosciuti ed organizzazioni iscritte alla prima sezione del Registro degli enti e delle associazioni che svolgono attività in favore degli immigrati.
In un momento di grande mobilitazione dei cittadini, l’idea, per usare le parole del Capo del Dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio, è stata quella organizzare questa “risorsa straordinaria” in “modo sistemico”. Un tentativo che, finora, sembra sia andato a due velocità.
La risposta al bando della Protezione Civile
Il bando, per un totale di 15.000 ospitalità, è stato pubblicato ad inizio aprile. Prima della fine del mese, sono arrivate offerte per quasi 26.500 posti e ad inizio maggio ne sono state selezionate 29 per 17.012 posti, di cui oltre 4.000 in famiglia. Certo, si trattava pur sempre di un’accoglienza che riguardava una minoranza delle oltre 150.000 persone arrivate dall’Ucraina, ma tempi e modi avevano fatto nascere ottimismo e speranze in diversi operatori e osservatori del settore.
“L’assegnazione dei posti è stata rapida. È nella firma delle convenzioni che ci sono stati i passi indietro”, riprende Miraglia. Uno degli aspetti di novità del bando è stato far affidamento sulle grandi organizzazioni della società civile per garantire contemporaneamente un numero consistente di posti e una qualità dell’ospitalità.
Caritas Italiana, per esempio, ha inizialmente ottenuto 2.167 posti; ARCI, l’ente più coinvolto, 2.326, di cui 1.251 in famiglia. Questa scelta sembrava potesse anche facilitare e accelerare l’iter burocratico necessario per firmare le convenzioni e far partire i progetti di accoglienza, ma così non è stato.
I problemi, tra burocrazia, ripensamenti e logistica
Per Miraglia, sono state due le principali cause dei ritardi. Da un lato, il fatto che sia stata chiesta tutta una serie di documenti non solo ai capifila, come ARCI nazionale, ma anche ai singoli enti partner, come il circolo ARCI locale. Dall’altro, la necessità, sollecitata da ANCI, di firmare degli accordi di partenariato con tutti i Comuni disponibili ad accogliere, che già avevano firmato una lettera di intenti per partecipare al bando. “Alcuni Comuni” continua Miraglia “hanno cambiato idea e si sono ritirati. Altri hanno voluto fare dei passaggi formali, con i Consigli comunali o con i tecnici amministrativi e questo ha allungato i tempi. Altri ancora pensavano che i posti andassero ai cittadini ucraini già presenti sul territorio e quando hanno scoperto che non era così, hanno dato forfait”.
Il punto è importante. Molti profughi ucraini, nella concitazione dei primi momenti dopo lo scoppio del conflitto, sono stati ospitati negli alberghi e il bando della Protezione Civile ha riservato loro 8.000 posti, sia per garantire migliori condizioni di ospitalità sia per svuotare gli alberghi stessi. Questo però ha portato diverse conseguenze, soprattutto negative: i posti offerti in Basilicata, Calabria e Sicilia sono stati messi in stand-by perché non c’erano profughi in albergo in quelle regioni, diversi cittadini ucraini hanno rifiutato di spostarsi perché sarebbero finiti lontani da parenti e connazionali e, come diceva Miraglia, alcune amministrazioni si sono ritirate.
Da parte sua, la Protezione civile ha parlato di “tempi un po’ dilatati” legati al fatto che la misura in questione è “interamente nuova”, “una piccola ma importante innovazione”. “Le norme dello Stato” ha spiegato il vicecapo Dipartimento della Protezione civile Titti Postiglione in un’intervista a Vita “stabiliscono che per attivare una convenzione con gli enti del Terzo Settore non esiste una normativa specifica: ahimè, in questo il Codice del Terzo Settore è un po’ carente. Pertanto, ci siamo dovuti rifare al Codice degli appalti e, dunque, richiedere il Durc, il certificato antimafia e il casellario giudiziale. Sono le regole di questo Paese. Non spetta a noi modificarle, noi le dobbiamo applicare”.
A che punto siamo
Fatto sta che, tra un documento e l’altro, le convenzioni sono state firmate in piena estate, a quasi quattro mesi di distanza dal lancio del bando. Con notevoli difficoltà. “Abbiamo firmato il 4 agosto”, ricorda Miraglia di ARCI. Far partire la macchina dell’accoglienza in pieno periodo di ferie si è rivelato complesso: mancanza di personale, appartamenti disponibili in primavera che ora non lo erano più, famiglie che avrebbero dovuto ospitare e nel frattempo non erano più nelle condizioni di farlo o, molto più semplicemente, erano in ferie.
A metà settembre, ARCI era riuscita ad attivare solo 150 posti circa. E ora spera di accelerare. Complessivamente, al 23 settembre, compresa quella di ARCI, risultano firmate dieci convenzioni per un totale di 5.493 posti disponibili su tutto il territorio nazionale (ad eccezione, come detto di Basilicata, Calabria e Sicilia) ed è facile immaginare che le difficoltà vissute da ARCI abbiano riguardato anche gli altri enti.
Intanto, a fine settembre, il cosiddetto decreto “Aiuti Bis” (DL 115/2022) ha finanziato con 50,5 milioni di euro fino a 8.000 posti aggiuntivi nel SAI. I nuovi posti verranno attivati “a partire da quelli già resi disponibili dai Comuni e non ancora finanziati” e, contestualmente, porteranno a una diminuzione di altrettanti nuovi posti attivabili nel sistema di accoglienza diffusa per i profughi ucraini gestito dal terzo settore. Il tutto per la soddisfazione di ANCI, che, per bocca del suo delegato all’immigrazione Matteo Biffoni, aveva già espresso più volte la necessità di investire sul SAI.
“L’iniziativa, concordata con Anci” ha dichiarato Biffoni in occasione dell’approvazione del provvedimento “denota attenzione al sistema dei Comuni e ai territori che, superata la prima fase emergenziale, tornano ad essere pienamente coinvolti nei percorsi di accoglienza. Come primo esito immediato, la misura permetterà di finanziare tutti i posti messi a disposizione dai Comuni nei bandi di ampliamento della Rete usciti nei mesi scorsi”.
Tutto questo mentre i flussi di profughi dall’Ucraina cambiano, a volte rallentano, ma non si fermano. Superato il settimo mese di guerra, gli arrivi alle frontiere italiane hanno toccato quota 170.000 e le richieste di protezione temporanea la soglia delle 150.000.