In Emilia Romagna le case popolari non saranno più a vita. Per molti anni infatti sono state considerate un servizio pubblico concesso "per sempre", addirittura ereditato da figli e nipoti.
Ora in Regione si è scelto di voltare pagina, affermando un principio molto semplice di giustizia sociale: le case popolari devono essere un aiuto temporaneo per chi non ha le condizioni di reddito per poter affittare da solo una casa, ma non appena queste condizioni cambiano la casa passa a chi ha ancora più bisogno, secondo regole banali – ma difficili da realizzare, almeno sinora – di rotazione e di turn over.
In questo senso l’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna ha approvato una riforma sostanziale: i limiti di reddito per chi deve uscire dalle case popolari sono stati significativamente abbassati (da 34.000 a 24.000 euro ISEE) e sono stati introdotti massimali prima inesistenti all’arricchimento e alla crescita del patrimonio mobiliare (che al massimo potrà essere pari a 49.000 euro).
Chi entra oggi in una casa popolare in Emilia Romagna sa che potrà rimanervi solo fino a che non sarà in condizione, sperabilmente, di trovarsi da solo altre soluzioni abitative. Una scelta che cerca di andare incontro alle esigenze di oltre 35.000 nuclei familiari residenti nella regione che, da moltissimi anni, si trovano in lista di attesa e meritano di avere una risposta. Si afferma quindi un principio semplice ma apparentemente inapplicato: le politiche abitative e le politiche di welfare in generale non possono essere uno stile di vita ma anzi devono avere caratteristiche di temporaneità, in modo da poter dare risposta alle categorie veramente bisognose. Questo è il fondamento della giustizia sociale.
Un po’ di numeri
In Emilia Romagna il patrimonio regionale di 55.000 alloggi pubblici soddisfa le esigenze abitative di circa 51.000 famiglie, pari all’incirca a 120.000 persone. Numeri importanti in assoluto, che tuttavia non riescono a contenere appieno il fenomeno del disagio abitativo, che si è peraltro acutizzato durante la crisi economica. Secondo dati recentemente diffusi da Nomisma, infatti, quasi 1,8 milioni di famiglie italiane, ovvero il 41,8% di quelle che vivono in affitto (dati 2014), si trovano in condizioni di disagio economico dovuto all’incidenza del canone di locazione superiore al 30% del reddito familiare, un tasso che negli ultimi venti anni è triplicato. In Emilia Romagna la quota di nuclei familiari in condizioni di difficoltà si aggira attorno a un terzo di quelli in affitto, ed è pari a circa 100.000 nuclei. Situazione ben rappresentata dal fatto che le famiglie in attesa di un alloggio popolare in regione, come si diceva più sopra, sono oltre 35.000.
Oltre ai numeri, tuttavia, sono le caratteristiche socio-demografiche dei nuclei interessati dal disagio abitativo ad aver condizionato l’inversione di rotta da parte della Regione. Gli studi condotti annualmente dall’Osservatorio Regionale del Sistema Abitativo dell’Emilia-Romagna evidenziano infatti la graduale ma ormai consolidata formazione di un dualismo abitativo, ovvero di una chiara dicotomia tra nuclei familiari che vivono negli alloggi popolari e nuclei in attesa di un alloggio pubblico. Il bassissimo tasso di rotazione degli alloggi (intorno all’1% annuo) e un tasso di permanenza media molto lungo hanno prodotto una situazione di immobilismo che, in una società profondamente cambiata, ha cristallizzato le differenze tra insider e outsider rivelando paradossi inaspettati.
Dal confronto dei due gruppi risulta infatti che i nuclei all’interno degli alloggi popolari sono mediamente più anziani e numericamente più ristretti rispetto alle famiglie in graduatoria, queste ultime con una presenza maggiore di cittadini stranieri. Storicamente, infatti, la possibilità di poter restare praticamente per sempre all’interno di una casa popolare, ha determinato tre elementi di disfunzione: l’innalzamento dell’età media degli occupanti, con alloggi che risultano occupati dalle stesse persone da numerosi decenni; la riduzione del numero di componenti dei nuclei (il 66% degli alloggi è occupato solo da una o due persone), che spesso rappresentano i superstiti di famiglie in cui i figli hanno cambiato abitazione; un tendenziale “arricchimento” dei nuclei familiari, che hanno potuto beneficiare per un lungo periodo di un affitto a canoni particolarmente vantaggiosi, fino a casi – residuali ma estremi – di nuclei in possesso di patrimoni molto consistenti (in alcuni casi oltre i 400.000 euro).
Di contro, i nuclei degli outsider sono più popolosi e più giovani, e dal momento che sono tendenzialmente le famiglie con più figli ad avere maggiori possibilità di impoverimento, le loro condizioni economiche sono peggiori di almeno una parte dei nuclei assegnatari.
Paradossalmente, dunque, la rigidità del sistema ha contribuito a danneggiare i cittadini che maggiormente avrebbero bisogno di un alloggio, relegandoli praticamente per sempre nelle graduatorie per l’accesso.
Un cambio di rotta
Di fronte a questa situazione, l’Emilia Romagna, con la delibera G.R. 894 del 13 giugno 2016 ha inserito nuovi criteri per favorire un maggior ricambio all’interno dell’edilizia residenziale pubblica (ERP), facilitando l’ingresso dei nuclei oggi in graduatoria, in modo da ridurre la forbice tra chi è dentro e chi rimane fuori, evitando al contempo la creazione di vere e proprie rendite di posizione tra gli insider. Nello specifico, come si accennava sopra, la delibera della giunta regionale ha determinato l’abbassamento della soglia di permanenza e ha previsto l’inserimento di un limite massimo all’arricchimento. È invece rimasta invariata la soglia di accesso, ferma al valore Isee di 17.154 euro.
In precedenza un nucleo familiare aveva la possibilità di restare in un alloggio ERP a patto che non superasse una soglia di reddito doppia rispetto a quella di accesso, ovvero un valore Isee pari a 34.308 euro. Oggi la soglia è stata ridotta al valore di 24.015 euro, pari ad un aumento del 40% rispetto alla soglia di accesso. Inoltre, prima della delibera di giugno, non era previsto alcun limite per il patrimonio mobiliare per i nuclei già assegnatari di un alloggio ERP. Di conseguenza una famiglia avrebbe potuto potenzialmente arricchirsi in maniera significativa, pur mantenendo il diritto all’alloggio. La delibera della giunta ha invece fissato a 49.000 euro – al netto di una scala di equivalenza che considera la numerosità del nucleo – il livello massimo di patrimonio mobiliare di cui può disporre un nucleo assegnatario. Per quanto riguarda i patrimoni immobiliari, inoltre, è causa di decadenza dall’alloggio ERP il possesso di una casa a uso residenziale nel territorio nazionale, anziché regionale come in passato.
Secondo le previsioni, le misure dovrebbero favorire un ricambio all’interno degli alloggi ERP sopra al 4%, rispetto a meno dell’1% attuale. Al fine di evitare una transizione traumatica, in sede di prima applicazione delle nuove misure i Comuni potranno certamente optare per soluzioni più morbide riferite a categorie di persone molto anziane, o di disabili gravi per cui l’uscita dalla casa comporterebbe disagi non sostenibili.
La riforma delle case popolari dentro alla filiera delle politiche abitative
La riforma delle case popolari approntata dall’Emilia Romagna mette mano a uno dei pilastri del welfare, quello del diritto all’abitazione, che ha riguadagnato centralità negli anni della crisi. Spesso conseguente alla perdita di lavoro, il disagio abitativo può determinare difatti la definitiva marginalizzazione sociale di un nucleo familiare, rendendo necessari degli interventi a contrasto del fenomeno. È evidente che, seppure attesa da tempo e potenzialmente capace di sbloccare un sistema eccessivamente rigido, la riforma dell’ERP non è in grado, da sola, di frenare il fenomeno del disagio abitativo. Tanto più che il patrimonio pubblico, sebbene in fase di riqualificazione attraverso il “piano casa”, è giocoforza limitato rispetto alla domanda, e i vincoli di bilancio rendono complicato un aumento dell’offerta di alloggi, almeno nel breve termine.
In questo senso, il sistema degli alloggi pubblici va considerato come uno dei pezzi che vanno a comporre il mosaico complessivo delle politiche abitative, in grado di offrire soluzioni integrate su diversi fronti al problema dell’abitare. Una visione integrata dovrebbe allontanarsi da una pura logica dell’emergenza, e prevedere interventi molteplici: misure di housing e co-housing sociale, capaci di offrire soluzioni abitative a prezzi inferiori a quelli di mercato; strumenti di sostegno economico per chi si trova in difficoltà nel pagamento dell’affitto; ma anche misure di sostegno al reddito vere e proprie, quali il Sostegno per l’inclusione Attiva recentemente varato dal governo, o il Reddito di Solidarietà che la regione Emilia-Romagna sta mettendo a punto. Il contrasto al disagio abitativo e alla questione della casa passa forzatamente da tale approccio “di filiera”, e il suo successo dipenderà dalla tenuta e dall’integrazione virtuosa di questi strumenti.
Riformare e cambiare abitudini consolidate non è mai semplice, né privo di conseguenze. E le scelte impopolari, che non piacciono cioè a tutti, sono difficili da digerire; ma le trasformazioni sociali ed economiche enormi che hanno riguardato anche una regione come l’Emilia Romagna non consentono di aspettare e di lasciare tutto così com’è.
Riferimenti