Tra il 2020 e il 2021 a Bologna si sono sviluppate numerose iniziative solidali e mutualistiche nate “dal basso”, grazie all’attivismo di associazioni e cooperative della città. Questo è stato possibile anche per merito dell’assessorato alla Cultura e all’immaginazione civica del Comune. Questo articolo uscito nel numero 2/2021 di Rivista Solidea racconta alcune di queste interessanti esperienze.
Bologna è stata la prima città in Italia che, in assenza di leggi nazionali adeguate, ha promosso iniziative per affrontare le distorsioni causate dalla nuova economia delle piattaforme, in termini di impatto sulla comunità. Un fronte che si è aperto in Europa, anche a causa dell’applicazione delle direttive sul commercio elettronico e la liberalizzazione dei servizi. Già nel maggio 2018 è stata firmata la prima Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano, a seguito delle mobilitazioni dei rider, che operano per le piattaforme di food delivery e del confronto con il Comune di Bologna.
Piattaforme solidali
Durante la fase più acuta di questa emergenza sanitaria, su iniziativa dell’assessore, si è deciso di costruire un’alternativa concreta alle classiche piattaforme profit.
Come ha sottolineato l’assessore Lepore in un’intervista per la rivista online “Collettiva”: «Non si tratta di chiudere all’innovazione che viene dal web, bensì di volgere le città al servizio delle comunità e delle persone, secondo il principio del mutualismo, sapendo che la migliore forma di resistenza è la creazione di iniziative, politiche e modelli differenti, coinvolgendo e organizzando le persone, mettendole al centro di una nuova consapevolezza e di impegno collettivo».
Attraverso la Fondazione per l’innovazione urbana (Comune e Università di Bologna), è nata così un’assemblea cittadina online con la Riders union (sindacato spontaneo auto-organizzato dei riders), commercianti, cooperative, reti solidaristiche e mutualistiche della città, centri sociali, l’università, sviluppatori e cittadinanza attiva, per dare vita a un cantiere per le consegne etiche, con l’obiettivo di sperimentare una possibile alternativa municipalista alle grandi piattaforme del food delivery.
L’iniziativa è parte di un più ampio progetto, chiamato Bologna attiva, che mira a creare un ecosistema dell’economia mutualistica e collaborativa (chiamato Coop valley), aggregando in uno stesso spazio fisico incubatori di cooperative di piattaforma, innovatori sociali, studenti universitari, reti di vicinato e lavoratori precari.
Don’t Panic – Organizziamoci
Ma, come dicevamo, oltre a queste iniziative avviate dall’amministrazione comunale, in quest’ultimo anno e mezzo ne sono nate altre, su spinta delle associazioni e delle cooperative. Vorremmo qui in particolare raccontarne una, particolarmente significativa, che ha coinvolto gradualmente un numero sempre crescente di realtà cittadine e di volontari: Don’t Panic – Organizziamoci. È un’iniziativa di attivazione dal basso, una campagna di mutualismo, informazioni e solidarietà che nasce per rispondere ai bisogni emersi al tempo del Coronavirus nella città di Bologna.
L’idea è partita dal circolo A.R.C.I. Ritmo Lento, in collaborazione con la Coalizione civica Bologna, per arrivare poi a coinvolgere attualmente oltre 400 volontari e 56 realtà di Bologna, principalmente associazioni e cooperative, come ci ha spiegato il giovane responsabile del circolo, Fabio D’Alfonso.
«Fin dall’inizio del lockdown, attraverso i progetti promossi da Don’t Panic, ci si è voluti auto-organizzare per rispondere alle difficoltà e ai problemi che l’isolamento, pur se necessario, ha indubbiamente fatto emergere e/o acutizzato. Una forma di auto-organizzazione che è stata poi ben accolta e supportata dall’amministrazione comunale, con la quale le realtà di Don’t Panic hanno stipulato un protocollo di intesa. Il primo progetto portato avanti è stato la Spesa solidale: è stato aperto un doppio canale di crowfunding, attraverso il quale si potevano fare donazioni economiche, con cui i volontari facevano la spesa, oppure era possibile donare direttamente beni di prima necessità. Un ruolo cruciale in tale progetto lo hanno svolto gli Empori Solidali di Case Zanardi, negozi che hanno offerto i loro spazi per la raccolta del cibo».
Idee per rispondere a bisogni concreti
In una seconda fase, dopo circa un mese dall’inizio del lockdown, a Bologna sono nati uno dopo l’altro numerosi altri progetti, grazie alla partecipazione entusiasta dei volontari e dei rappresentanti delle organizzazioni coinvolte nell’iniziativa Don’t Panic alle assemblee, durante le quali emergevano i bisogni più urgenti e le idee per farvi fronte.
Eccone alcune:
- sportello di assistenza psicologica gratuito, composto da associazioni di psicologi e singoli professionisti che hanno deciso di mettere gratuitamente a disposizione della comunità le loro competenze professionali, per aiutare a gestire l’impatto emotivo che questo brusco cambiamento della nostra quotidianità ha su tutti noi;
- compagn@ di banco! per non lasciare soli gli studenti, le famiglie e gli insegnanti, supportandoli nell’accesso e nelle attività della didattica online, attraverso la raccolta e la distribuzione di dispositivi didattici digitali, un aiuto agli studenti nello svolgimento dei compiti o nell’alfabetizzazione digitale, offrendo allo stesso tempo un supporto relazionale-emotivo attraverso attività sociali a distanza;
- sotto coperta, raccolta e distribuzione di coperte, sacchi a pelo e intimo per le persone senza fissa dimora, con il coinvolgimento innanzitutto delle cooperative e associazioni che operano in quel campo;
- condomini solidali, sperimentazione dell’attivazione diretta di solidarietà all’interno dei condomini, rispetto ad esempio alla spesa per i beni di prima necessità; a partire da questa idea, da febbraio, sono nati i condomini della cura, un progetto incentrato sulla redistribuzione del lavoro di cura all’interno dei condomini stessi;
- una parola amica, azioni di sostegno finalizzate a mitigare il senso d’isolamento e di solitudine di persone anziane e/o emarginate che in quarantena si sono trovate sole e con poche possibilità di interazione sociale, realizzate attraverso un protocollo stilato tra le diverse associazioni che si occupano di persone anziane (ad esempio AUSER);
- te li portiamo noi, consegna a domicilio per persone con HIV di farmaci antiretrovirali, prodotti salvavita necessari a mantenere sotto controllo l’infezione: una squadra di volontari del BLQ Checkpoint di Plus ONLUS, storica organizzazione di persone LGBT sieropositive, si occupa di recuperarli dalla farmacia ospedaliera del Sant’Orsola per recapitarli direttamente a casa dei pazienti;
- idee solidali, una raccolta di studi, ricerche, inchieste, riflessioni, spunti di analisi che intendono confrontarsi con l’impatto che la pandemia del Covid-19 ha avuto e continuerà ad avere sulle nostre vite;
- la web radio Leila, uno spazio di discussione e di elaborazione sui temi della pandemia, coinvolgendo in special modo le associazioni che partecipano attivamente a Don’t Panic.
La capacità di “fare sistema”
Fabio D’Alfonso ci ha raccontato che ovviamente non è stato tutto rose e fiori. Soprattutto durante il secondo lockdown, quando la gente aveva smesso di cantare dai balconi, non è stato semplice mantenere viva ed attiva una rete fatta di oltre 50 realtà.
Ma in ogni caso, l’esperienza di Bologna pare molto significativa e interessante soprattutto per una ragione: la capacità di fare sistema, soprattutto in un momento di difficoltà, tra istituzioni, associazioni, cooperative, professionisti e semplici cittadini, in nome di un bene comune più grande. Senza appunto farsi prendere dal panico e nel rispetto dei ruoli, delle competenze e delle professionalità di ciascuno. Questo emerge anche e soprattutto nel modo in cui i protagonisti del progetto Don’t Panic raccontano l’esperienza, riconoscendo il contributo che ciascuna realtà ha portato per ogni azione, senza egocentrismi.
Una capacità che è importante da apprendere e da tenere presente, nella fase di ripartenza e di costruzione del futuro che si sta aprendo, dove le cooperative e le associazioni no profit possono, e a mio parere devono, proporsi come protagoniste e promotrici del necessario cambiamento.