A Milano ha aperto Zumbimbi, un luogo dove ci si prende cura dei minori da 6 a 16 anni i cui genitori sono ricoverati in ospedale perché positivi al Coronavirus, e che non hanno altri adulti su cui contare. Un progetto molto interessante perché mette al centro soggetti che sono spesso lasciati ai margini del nostro welfare, i bambini appunto, che la pandemia sta rendendo ancora più vulnerabili.
Zumbimbi, ricavato all’interno del residence Zumbini 6, è un progetto promosso dalla cooperativa La Cordata, Cooperativa Comin, Comune di Milano ed Emergency, e supportato anche dal contributo di una rete composta da Fondazione di Comunità di Milano, Diaconia Valdese, Regione Lombardia, Terre des hommes, imprese e cittadini volontari. Ce lo racconta Benedetta Rho, responsabile del progetto per la cooperativa La Cordata.
Come è nata l’idea? Perché dedicare un progetto proprio i bambini?
L’idea nasce dal tribunale dei minori che, avendo la necessità di offrire urgentemente una sistemazione a minori i cui genitori vengono ricoverati in ospedale, ha chiesto che fossero attivate delle realtà sul territorio per rispondere a questo bisogno. A quel punto il Comune di Milano ci ha contattato per avviare una struttura a metà tra sanitario ed educativo.
Come funziona il progetto?
I ragazzi e bambini arrivano in ospedale coi genitori. A quel punto i servizi sociali dell’ospedale verificano che ci sia qualcuno che può occuparsi di loro tra i parenti. Se non c’è nessuno, vengono mandati qui per trascorrere il periodo di quarantena – o hanno fatto un tampone o si presume che siano positivi in quanto sono stati a contatto con soggetti positivi. Quando il genitore rientra dall’ospedale tornano a casa e terminano la quarantena insieme a loro. Il nostro spazio è aperto a bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni, ma per ora abbiamo avuto solo ragazzi dalla quarta elementare in su.
Qui a Zumbini abbiamo una parte della struttura dedicata all’accoglienza turistica che in questo momento, chiaramente, è vuota. Abbiamo quindi destinarne una parte a Zumbimbi. Tutti gli spazi e le procedure di accesso sono state progettate insieme ad Emergency, affinchè fossero garantiti i requisiti igienico-sanitari, sia a tutela degli operatori che dei ragazzi. Abbiamo procedure sanitarie strutturate, perché il primo obiettivo è la tutela sanitaria. Ad esempio, alla struttura si accede non dall’ingresso principale ma da una scala di emergenza. I ragazzi soggiornano in stanze singole, ognuna con il proprio bagno. Tutta la struttura è divisa in compartimenti a seconda delle attività, ognuno dei quali ha le proprie procedure. Ad esempio, nelle stanze, che sono considerate luoghi “a rischio infezione”, gli operatori entrano solo con gli appositi sistemi di protezione. Oppure, quando Milano Ristorazione ci porta i pasti – tutte monoporzioni – seguiamo delle procedure speciali atte a garantirne la sterilizzazione e, una volta consumati, in accordo con AMSA, gettiamo i rifiuti in contenitori speciali. Ovunque abbiamo dispositivi di igiene per lavarsi le mani.
Come si svolge una giornata tipo per questi ragazzi?
La mattina viene dedicata alle attività scolastiche, per dare continuità alla loro vita quotidiana. Ogni stanza ha un tablet e un telefono con cui i ragazzi possono seguire le lezioni. Il pranzo ha luogo fuori dalle loro camere, ma in luoghi in cui sia possibile garantire la distanza di sicurezza – se c’è bel tempo anche all’aria aperta, abbiamo anche 3 terrazzini che ci consentono di rispettare le distanze. Il pomeriggio è dedicato ai compiti o ad alcune attività e giochi realizzati anche grazie all’aiuto di volontari da remoto. Dopo la cena possono esserci altre attività, che ovviamente sono state tutte ripensate. Ad esempio, mettiamo dei tavolini a metà tra la loro stanza e il corridoio, così possono comunicare ma a distanza.
Anche prima dell’emergenza, la vostra cooperativa offriva diversi servizi rivolti – più o meno direttamente – a bambini e minori. Come stanno cambiando? In base alla vostra esperienza, avete indicazioni su come gestire nella fase 2 le attività per bambini e ragazzi?
I social, che prima di questa crisi noi adulti demonizzavamo, si stanno rivelando uno strumento vincente, perché consentono ai ragazzi di mantenere le loro relazioni. Anni fa sarebbe stato molto più pesante.
Inoltre rileviamo una forte emancipazione dei più piccoli con gli strumenti digitali. Hanno imparato anche cose complesse come salvare e archiviare i file, mandare mail. Stanno facendo passi da giganti. Non avere uno spazio fisico e un contatto relazionale, soprattutto per i più piccoli è difficile, è qualcosa su cui dovremo sicuramente lavorare. Soprattutto per i più piccolini, del nido o materna, dove il contatto fisico con la maestra è un elemento importante nella formazione, questo comporta un cambio di prospettiva, tanto più in Italia, dove siamo molto improntati all’aspetto fisico-affettivo nell’educazione.
Per quanto riguarda la Fase 2, la gestione della sicurezza che stiamo sperimentando costituisce un tesoro per la nostra cooperativa. In generale sarà molto complesso garantire la sicurezza soprattutto con i grandi gruppi, pensiamo solo ai campi estivi. E per i più piccoli, fino all’età del nido, in cui il contatto fisico non si può evitare, occorre favorire la conciliazione per le famiglie. E’ una grande sfida.
Anche il volontariato ha un ruolo importante in questo progetto, ad esempio ho visto che ci sono volontari che lavorano con i bambini in remoto…
Abbiamo riscontrato una grandissima disponibilità di volontari. Su questo progetto abbiamo avuto risposte eccezionali in termini di donazioni di materiali, economiche e di tempo. Abbiamo ricevuto donazioni da diverse imprese – mobili, elettrodomestici -, donazioni sul conto corrente dedicato, fino alle anziane del quartiere che ci hanno confezionato delle bellissime mascherine, conformi ma con disegni diversi. Sono importanti sia per un aspetto ecologico – cosa ne sarà di tutte queste mascherine usa e getta? – sia perché cambiano il piano delle relazioni con i bambini. Se indossi la mascherina chirurgica sei medico, se indossi la mascherina con Paperino sei “un’altra cosa”.
Come stanno reagendo i ragazzi a questa condizione?
Stanno tirando fuori tante risorse, sono molto responsabili. Sanno riconoscere la pericolosità della situazione e vi si sono adeguati. Certo hanno sempre il pensiero di rimanere orfani, o di essere contagiati. Per loro è molto pesante, infatti abbiamo anche un gruppo di psicologi che supporta sia i bambini che gli operatori. In particolare, si rendono conto di quanto spazio positivo occupi la scuola. Se prima era a volte vista come un peso, ora è vista come il luogo delle relazioni. Se chiedessimo loro “ci vuoi tornare?”, nessuno direbbe di no.