L’esplosione della pandemia di Covid-19 ha cambiato profondamente il nostro modo di vivere e, quindi, anche il nostro modo di abitare. Tra i mutamenti più significativi in questo ambito ci sono senza dubbio quelli che interessano i cohousing, che vedono nel contatto tra gli abitanti e nella condivisione di spazi e beni alcuni dei loro elementi distintivi. Elementi che ovviamente sono stati fortemente influenzati delle misure di distanziamento introdotte per limitare la diffusione del virus. In che modo?
Per capirlo siamo andati a conoscere cohousing Smart Lainate, un esempio di rigenerazione urbana che si trova in un quartiere periferico-industriale di Lainate, in provincia di Milano, in un ex vivaio sito davanti al padiglione di un’impresa. Si compone di 85 alloggi, perlopiù di proprietà, e di numerosi spazi comuni interni: una sala living con cucina adibita a spazio multifunzionale, in cui una parte è destinata a giochi per bimbi (scivoli, tappeti ecc.); una lavanderia comune; un locale destinato al GAS (Gruppo di Acquisto Solidale, modello cui vi raccontammo qui) dove si raccolgono e distribuiscono i prodotti.
Nello stabile è presente inoltre un coworking grazie alle cui entrate si finanziano le spese di manutenzione degli spazi comuni. Era previsto anche l’avvio di un servizio per l’infanzia (un micro-nido), progetto che si è arrestato per l’epidemia Covid -19, ma che adesso sta riprendendo grazie alla collaborazione con il Comune.
All’esterno invece si trovano una piazzetta, un frutteto e gli orti sociali, utilizzabili sia dai cohouser che dagli abitanti della città. Il cohousing ha infatti stretto una partnership col Comune grazie alla quale gli abitanti hanno ottenuto una riduzione degli oneri di costruzione in cambio di alcuni servizi per la città, tra cui il ponte pedonabile sul canale Villoresi, gli orti sociali e il frutteto.
Abbiamo parlato di Smart Lainate e di come sia cambiato durante la pandemia con la cohouser Chiara Taverna. Ecco cosa ci ha raccontato.
Chiara, ci racconti com’è cambiata la fruizione degli spazi comuni con lo scoppio della pandemia?
In “fase 1 e 2” gli spazi comuni sono stati chiusi. Non a chiave diciamo, ma non si usavano. C’è stato un momento in cui abbiamo cercato di capire come applicare i protocolli di sicurezza, ma noi siamo 85 famiglie, come si fa a garantire la sicurezza? Ci voleva controllo ma poi chi può farlo effettivamente? La lavanderia invece è rimasta sempre aperta, si entra uno alla volta, si fa il bucato e si sanifica. Lo spazio coworking ha subito qualche restrizione per il Covid ma è sempre stato aperto, a parte il primo lockdown, avendo tra i fruitori anche dei condomini. La piazzetta è stata usata abitualmente, perché è all’aperto e le panche sono distanti. Gli spazi esterni in generale li abbiamo sempre usati, tranne ovviamente nel primo lockdown.
Oltre agli spazi comuni, ci sono anche molti altri servizi e attività… cos’è successo?
Normalmente organizzavamo molti corsi – dalla degustazione alla guida sicura alla ginnastica – alcuni dei quali scelti anche su suggerimento dei condomini. Inoltre organizzavamo eventi aperti a tutti i cittadini. Con la pandemia tutto si è spostato online.
Tra i servizi invece il GAS è quello che ha funzionato più di tutti, anzi è stato intensificato. Durante il lockdown infatti grazie al Gas si poteva fare la spesa per tutti, ed è stato di aiuto anche per i positivi al virus. Inoltre tra i due lockdown abbiamo costituito dei piccoli gruppetti per bambini della scuola materna, gestiti da alcune mamme, all’aperto. Abbiamo fatto dei piccoli eventi, ad esempio per Halloween, perché i bimbi soffrivano l’isolamento. Abbiamo diviso i bambini in “bolle”, cioè gruppi di una mamma coi suoi bambini e al massimo quelli di un’altra, e abbiamo organizzato un percorso itinerante, con dei lavoretti e dei punti con delle installazioni. Anche a Natale abbiamo fatto una cosa simile. Qui ci sono tanti bambini piccoli quindi abbiamo scelto queste modalità, di Dad invece se ne è parlato meno. Qualche babysitter comune c’è stata, ma non poteva essere per tutti, ma solo per piccoli gruppi.
A inizio estate abbiamo ricominciato con qualche evento all’aperto e continueremo in questo modo.
Uno dei caratteri distintivi del cohousing è la sua gestione diretta da parte degli abitanti. Cos’è successo su questo fronte?
In tempi normali eravamo organizzati in gruppi di lavoro tematici (Gas, gestione area living, eventi, coworking, gruppo comunicazione, ecc.). Ci vedevamo regolarmente per gruppo e poi ogni due mesi i referenti di ogni gruppo si incontravano tra loro per sincronizzarsi. Ora usiamo principalmente Whatsapp e i social ma non abbiamo mai smesso di confrontarci. Nella prima assemblea condominiale post lockdown c’eravamo quasi tutti. C’è voglia di esserci comunque, di esserci in presenza. La voglia di fare cose idem. Ma certo c’è una stanchezza…
Quindi il distanziamento ha pesato molto sulla costruzione della comunità di abitanti…
Eravamo molto giovani come cohousing, quindi eravamo in una fase iniziale, di grande entusiasmo, ma ancora senza basi solide. Con un soffio di vento è stato spezzato… Ci sarebbe voluto un motivatore: un gestore sociale come quello che ci ha accompagnato all’inizio sarebbe stato utile anche adesso. Abbiamo provato a fare degli aperitivi online, ma dura il tempo che dura…il 90% di noi faceva smart working, che voglia hai? Lo fai se è il tuo grande amico. C’è stato un rafforzamento dei legami per alcuni piccoli gruppi, ma con altri i legami si sono persi. Ricominciare vorrà dire fare il modo di rendere permeabili tutti i gruppetti che si sono creati. Il momento in cui si potrà rivedersi regolarmente lo faremo, la difficoltà sarà passare dai gruppo all’insieme.
Qual è il vantaggio di vivere in un cohousing durante la pandemia?
Non avere azzerato completamente la socialità. Bene o male da un terrazzo all’altro abbiamo sempre comunicato. Di contro ci è pesato di più, abituati come eravamo… Ma è l’unico modo di vivere per restare umani.