La Fondazione Cittalia
Cittalia – Centro europeo di studi e ricerche per i comuni e le città – è una fondazione costituita dall’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) per lo studio delle trasformazioni della società e dell’economia. Leggiamo nello statuto: «E’ scopo della Fondazione […] promuovere e diffondere la cultura dell’autonomia e dell’autogoverno, studiando e accompagnando i processi di innovazione del governo urbano e contribuendo a rafforzare il ruolo delle città come motori dell’innovazione, produttori di cultura, giacimenti di identità» (Statuto, p. 1, anche nei riferimenti).
Partendo dalla prospettiva per cui le grandi sfide globali del movimento di “persone, risorse, merci e informazioni” ruotano attorno alle città “crocevia nei quali queste direttrici si incontrano, dove si generano le opportunità e si moltiplicano le ricchezze, ma anche i luoghi dove si concentrano nuove povertà e marginalità e le tensioni esplodono in conflitti”, Cittalia si avvale di ricercatori specializzati in diverse aree di policy di interesse urbano ma anche di un diffuso network di esperti attivi in comuni ed istituzioni pubbliche e private. La prospettiva è quella di studiare le realtà cittadine accompagnando il loro cambiamento. La messa a fuoco di scenari di medio periodo è del resto il presupposto per la definizione di corsi di azione efficaci nel fare fronte ai problemi delle collettività. Non mancano, negli studi di Cittalia, anche i riferimenti alle esperienze internazionali, nell’ottica della promozione di best practices attivate altrove e dell’analisi critica delle scelte attuate nei contesti urbani europei ed extraeuropei.
Le aree tematiche delle ricerche di Cittalia riguardano planning e viabilità, ambiente ed energia, welfare e società, competitività e innovazione, istituzioni e organizzazione. In particolare, per quanto attiene il welfare, la prospettiva adottata dalla Fondazione è la seguente: «Di fronte a fenomeni che hanno una portata inedita, gli strumenti tradizionali del welfare vanno in tensione e rischiano di disperdere le sempre più scarse risorse. Solo uno sguardo originale e il coinvolgimento diretto delle comunità locali nella lettura di questi fenomeni possono essere in grado di restituire efficacia alle politiche e garantire la coesione sociale» (brochure di presentazione della Fondazione).
L’indagine “Ripensare allo sviluppo del welfare locale: dal quadro attuale alle priorità di intervento future”
Proprio di questo contesto critico per il welfare locale – determinato in primo luogo dalla drastica riduzione dei trasferimenti nazionali ai comuni tramite il Fondo per le politiche sociali – si occupa una recente indagine di Cittalia dal titolo “Ripensare allo sviluppo del welfare locale: dal quadro attuale alle priorità di intervento future”.
Il punto di partenza dello studio è rappresentato da una fotografia delle principali dinamiche demografiche, sociali ed economiche che hanno caratterizzato il paese negli ultimi anni e che sono destinate ad avere un impatto molto significativo sul contesto di adozione delle politiche sociali:
– crescita della popolazione;
– aumento della durata della vita e invecchiamento della popolazione;
– riduzione della natalità e della fecondità;
– diversificazione del ruolo della popolazione femminile;
– riduzione della consistenza numerica delle famiglie;
– affermazione di nuovi modelli familiari;
– aumento dell’incidenza e progressiva stabilizzazione della popolazione immigrata;
– incremento della disoccupazione;
– incremento e diffusione delle condizioni di povertà e dei rischi di impoverimento
Se si guarda in particolare alla crescita percentuale della popolazione per fasce di età nel periodo 2001/2012 (figura 1), emerge con chiarezza un significativo trend di invecchiamento.
Figura 1. Crescita della popolazione per fasce d’età (periodo 2003-2011)
Fonte Cittalia, “Ripensare allo sviluppo del welfare locale: dal quadro attuale alle priorità di intervento future”, 2012, p. 6.
Le ricadute di tali dinamiche, in termini di sostenibilità dell’attuale sistema di welfare, sono puntualmente evidenziate nell’indagine (p. 5):
L’innalzamento dell’età media della popolazione comporta comunque un aumento delle patologie cronico-degenerative, legate all’età e associate solitamente alla disabilità, che a sua volta ingenera una maggiore domanda di cura e di prestazioni per lunghi periodi. Il sostegno economico di tali servizi e, più in generale, delle fasce inattive della popolazione grava pesantemente sulla fascia di popolazione in età attiva (15-64 anni). Se ancora oggi in Italia beneficiamo degli effetti della cosiddetta “finestra demografica” (una massa consistente di popolazione in età attiva, nata nel periodo del “baby boom”), va però sottolineato che l’uscita di tale generazione dal mercato lavorativo non sarà compensata da un’adeguata entrata in età attiva delle nuove generazioni, a causa del calo di natalità.
A questo significativo fenomeno si aggiunge il consistente incremento della popolazione immigrata presente sul territorio italiano (+195% dal 2003 al 2011) che, se da un lato ha contribuito a sostenere la numerosità della popolazione nella fascia di età 0-14 (si veda pagina 6 dell’indagine), dall’altro impone una riflessione seria sulla effettiva capacità di inclusione sociale delle politiche nazionali e regionali per la famiglia e per il lavoro.
Al quadro deve essere inoltre aggiunta la sempre maggiore diffusione di tipologie familiari diverse da quella plurinucleare ed estesa che fino a pochi decenni fa caratterizzava molte delle strutture familiari esistenti nel paese. L’incremento più significativo è quello dei nuclei monopersonali, dovuti sia all’aumento di separazioni e divorzi, sia alla vedovanza femminile in età avanzata.
Passando al tema della disoccupazione, l’indagine Cittalia fotografa una realtà che, in particolare nel corso del 2011, è divenuta critica. Molto efficace, nel rappresentare l’impatto della crisi anche in termini di genere, è la figura 2 riportata di seguito.
Figura 2. Tasso di disoccupazione per area geografica e genere (II trimestre 2011)
Fonte Cittalia, “Ripensare allo sviluppo del welfare locale: dal quadro attuale alle priorità di intervento future”, 2012, p. 9.
Passando ora al tema della spesa dei comuni, l’indagine sottolinea – sulla base dei dati Istat del 2011 (relativi alla spesa sociale dei comuni per il periodo 2003-2011) – come circa l’82% delle risorse disponibili sia stato destinato, nell’anno 2008, a famiglie, minori ed anziani (in particolare il 40,3% per servizi socio educativi per la prima infanzia, il 21,2% per servizi agli anziani e il 21,1% per le disabilità). La restante parte delle risorse è stata così impiegata: il 7,7% per intercettare i bisogni derivanti dallo stato di povertà, il 6,3% per le multiutenze, il 2,7% per la popolazione immigrata e lo 0,7% per la lotta alle dipendenze. Nel 2008, l’ammontare delle risorse erogate dai comuni è stato pari a 6 miliardi e 662 milioni di euro, con un aumento complessivo, nel periodo 2003-2018, del 28,2%. Purtroppo i dati confermano la persistenza di forti squilibri territoriali rispetto alla spesa media pro capite: in Calabria il valore è di 30 euro, a Trento di 280 euro, rispetto ad una media nazionale di 111 euro. Estremamente interessanti sono poi i dati relativi alle fonti di finanziamento della spesa sociale (figura 3), da cui emerge chiaramente come i comuni impieghino prevalentemente risorse proprie.
Figura 3. Fonti di finanziamento della spesa sociale dei comuni
Fonte Cittalia, “Ripensare allo sviluppo del welfare locale: dal quadro attuale alle priorità di intervento future”, 2012, p. 17.
Lo studio mette quindi a fuoco le criticità che derivano da questo quadro della spesa sociale dei comuni. Le risorse disponibili, progressivamente ridimensionate nel corso degli ultimi anni, hanno subito un taglio massiccio nel 2011 (-50% del Fondo per le politiche sociali), confermando un trend preoccupante: dai 1231,2 milioni di euro del 2008, si è passati ai 1147,2 del 2009, scendendo a 900 milioni nel 2010, per giungere alla drastica riduzione del 2011, con 178,5 milioni di euro. Un ridimensionamento così importante delle risorse disponibili nelle casse comunali, considerando che la parte di spesa sociale riferibile all’attività amministrativa (lo stipendio del personale in particolare) è rigida, si potrebbe presto tradurre nella contrazione dei servizi sociali erogati dal comune sia in forma diretta sia tramite le prestazioni di terzi gestori.
Non stupisce che l’analisi evidenzi un rischio di “sovraesposizione” dei comuni italiani sul fronte delle prestazioni sociali. Su questo contesto pesa del resto la diffusa mancanza di adeguate forme di programmazione regionale che siano in grado di garantire la definizione di standard omogenei nella predisposizione dei servizi comunali, con il risultato che i comuni sono sempre più spinti ad agire in modo autonomo per tamponare le situazioni di emergenza, e con scarse possibilità di coordinamento.
L’indagine Cittalia auspica, in questa fase difficile, anche un maggiore coordinamento con il livello nazionale, mediante specifici accordi di natura straordinaria, che siano in grado di arginare la drammatica riduzione delle risorse disponibili; ciò al fine di garantire una risposta adeguata ai pressanti bisogni sociali espressi dalla popolazione.
Sullo sfondo di questa interessante indagine, emerge una prospettiva di grande interesse per il Secondo welfare, citiamo in particolare questo passaggio:
L’attuale modello di welfare italiano è basato sulle reti di sostegno familiari e comunitarie, che però, come abbiamo visto, stanno vivendo un processo di crisi strutturale. Occorre pertanto creare un nuovo tipo di governance fondato sul coinvolgimento attivo di tutti gli attori (istituzioni, cittadini, famiglie, terzo settore, mondo produttivo…), combinando responsabilità istituzionali e responsabilità civiche dei singoli e dei gruppi come protagonisti attivi nell’elaborazione di soluzioni e non più come semplici portatori di bisogni e fruitori dei servizi. E’ necessario inoltre riorganizzare la spesa sociale favorendo un modello non alternativo od esclusivo (o tutto pubblico, o tutto privato), ma al contrario inclusivo e complementare, in cui le diverse esperienze e idee promosse da aziende, cooperative, fondazioni si integrino in una politica condivisa di welfare locale. Attraverso un “bilancio allargato” delle politiche di welfare territoriali si potrà così dar vita a una solida e diffusa rete di protezione dei diritti sociali in grado di incidere su tutte le politiche di sviluppo locale (Indagine Cittalia, 2012, p. 18)
Riferimenti
Il sito della Fondazione Cittalia
Approfondimento di Secondo welfare sul rapporto Spi Cgil relativo alla spesa sociale dei comuni.