Questo articolo è tratto dal numero 1/2022 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio. |
L’Italia investe poco in politiche educative: nel nostro Paese solo l’8,2% della spesa pubblica finanzia l’istruzione, contro il 9,9% della media europea. La scarsa attenzione al settore educativo può essere considerata uno dei fattori che acuiscono i problemi della scuola italiana, quali il basso livello di competenze degli studenti e gli alti tassi di dispersione scolastica. Non solo: diversi studi (ad esempio quello di Ciarini e Gianicola del 2016) suggeriscono che la scuola italiana non sia in grado di contribuire alla mobilità intergenerazionale, perché tende a riprodurre le diseguaglianze sociali di partenza. Le difficoltà degli studenti si trasferiscono poi nel mondo del lavoro, dando origine a fenomeni come l’aumento dei NEET, che secondo le stime di Eurostat sono più di 2 milioni in Italia, facendo di noi il Paese europeo con più giovani che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione.
La pandemia ha accentuato questi problemi strutturali, ora divenuti emergenziali a causa dell’incostanza nell’apertura degli istituti scolastici. Durante la prima fase di lockdown, il Piano scuola 2020-2021 ha cercato di arginare il problema promuovendo la collaborazione della scuola con enti locali, associazioni di volontariato, Terzo Settore e società civile (i cosiddetti Patti educativi di comunità). L’intento era, da una parte, sostenere gli istituti nell’arricchimento dell’offerta formativa tramite la messa a disposizione di spazi alternativi alla scuola e, dall’altra, “fornire unitarietà di visione a un progetto organizzativo, pedagogico e didattico legato anche alle specificità e alle opportunità territoriali”.
L’emergenza pandemica ha quindi fornito l’occasione di ristabilire, nel dibattito sulle politiche educative, la centralità della comunità educante: l’idea, cioè, che la scuola debba essere integrata nella comunità, garantendo ai giovani la possibilità di sperimentare l’emancipazione e il pluralismo che derivano dalla partecipazione democratica sul territorio e, allo stesso tempo, che sia la comunità stessa a farsi promotrice di iniziative educative.
Le origini della comunità educante
L’idea di un’educazione non soltanto relegata all’ambiente scolastico, ma responsabilità della comunità nel suo complesso, nasce a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Già nel 1972 il Rapporto Faure dell’UNESCO affermava che non fosse più possibile delegare la trasmissione del sapere alla scuola intesa come “una struttura unica, verticale e gerarchica, come corpo separato rispetto alla società”: diventava, insomma, necessario coinvolgere nell’educazione associazioni, enti locali, corpi intermedi e l’intero territorio di riferimento.
A livello normativo, questo cambio di paradigma si esplicitò inizialmente con i decreti delegati sulla scuola del 1974, poi con il DPR 275/1999 sull’autonomia scolastica, autonomia che deve tener conto del “contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali”. In tempi più recenti, la riforma della Buona Scuola (legge 107/2015) si è mossa ulteriormente in questa direzione, promuovendo gli accordi di rete fra scuole del territorio (nei commi 70-72).
Ma che cosa è la comunità educante?
Possiamo definire la comunità educante come quell’insieme di relazioni di collaborazione costituito e alimentato dagli attori territoriali che si impegnano a garantire il benessere e la crescita di bambini e ragazzi.
I soggetti che si occupano di sostenere la comunità educante sono tutti coloro che operano nel territorio attraverso diverse attività, con diversi scopi e intensità di azione: genitori, associazioni di diverso tipo, organizzazioni religiose, Terzo Settore, aziende e istituzioni. Un ruolo decisivo è giocato dall’educatore, figura che si inserisce tra i diversi attori per costruire dei legami e dare avvio alla realizzazione di attività educative. Questi soggetti operano insieme per garantire il raggiungimento di un obiettivo, cioè la tutela di un bene comune, che può essere la scuola, l’educazione o il benessere dei più giovani.
La collaborazione si può formalizzare tramite la costituzione di alleanze più o meno strutturate. Un esempio è dato dai Patti educativi, accordi tra enti della comunità educante che si impegnano a portare a termine tutte quelle attività che servono a tutelare l’educazione di bambini e ragazzi. La governance dei Patti si struttura attraverso processi di co-progettazione, in cui gli attori definiscono ruoli e compiti specifici. Condizione fondamentale per la buona riuscita degli accordi è che gli studenti partecipino attivamente sia alle attività proposte, sia alla loro progettazione.
Le esperienze più significative
La natura spontanea della comunità educante rende difficile rintracciare la totalità delle esperienze realizzate in Italia, tanto che al momento non sono disponibili dati a riguardo. È però certo che l’istituzione del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile abbia dato una spinta propulsiva alla costruzione di nuove comunità educanti.
Il Fondo nasce nel 2016, a seguito dell’alleanza formata dalle Fondazioni di origine bancaria, rappresentate da ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio s.p.a.), Terzo Settore (Forum del Terzo Settore) e Governo, che porta alla formulazione di un Protocollo d’Intesa. L’accordo viene poi formalizzato nell’art. 1, commi 392-393 della legge 208/2015. Scopo del Fondo è dare sostegno a “interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori”. Inizialmente, era previsto che il Fondo avesse una durata triennale (dal 2016 fino al 2018), ma nel 2019 è stato prorogato dal Governo per altri tre anni.
La governance del Fondo è strutturata su due livelli. L’indirizzo strategico è definito da un apposito Comitato, composto da diversi rappresentanti delle Fondazioni, del Governo e delle organizzazioni del Terzo Settore, insieme ad esperti di INAPP e EIEF – Istituto Einaudi per l’economia e la finanza. A livello operativo, il soggetto che si occupa di gestire il Fondo e di implementare gli indirizzi del Comitato tramite l’elaborazione dei bandi, l’assegnazione delle risorse e il monitoraggio dei progetti è l’Impresa Sociale Con i Bambini.
Sulla base delle risorse del Fondo, Con i Bambini ha pubblicato 13 bandi per contrastare la povertà educativa minorile. Principio cardine per le iniziative è l’idea che l’educazione non sia soltanto responsabilità della scuola, ma che debba coinvolgere l’intera comunità educante. Nel 2021 l’Impresa Sociale ha anche realizzato un bando specifico a riguardo, con due obiettivi: da una parte favorire la costruzione e il potenziamento di nuove comunità educanti, dall’altra promuovere l’attivazione e la partecipazione di tutti gli attori territoriali, in particolar modo il pieno coinvolgimento di bambini, ragazzi e famiglie, che diventano protagonisti e attori delle iniziative, non più solo destinatari.
Il campione dei progetti finanziati del Fondo analizzato dall’Istituto Demopolis nell’indagine “Gli italiani e la povertà educativa minorile”, pubblicata a novembre 2021, mostra l’impatto delle comunità educanti su bambini e ragazzi. Secondo lo studio, i genitori intervistati affermano che gli studenti acquisiscono autostima (60%), spirito di gruppo (56%), senso di comunità (55%) e di rispetto per le regole (53%). Il 32% dei giovani migliora anche l’impegno scolastico.
L’importanza della comunità educante per i giovani
La creazione di una rete di attori che si prendono cura della crescita di bambini e ragazzi è importante per almeno due ragioni. La prima consiste nel fatto che la comunità educante è in grado di fondere l’educazione esplicita e intenzionale che si fa a scuola con quella implicita che si conosce frequentando il proprio territorio: il coinvolgimento dei giovani consente quindi di migliorare le loro competenze di cittadinanza attiva e coscienza democratica, agendo sulla comunità. La seconda ragione è che le reti territoriali sono in grado di creare un contesto ricco di opportunità per i ragazzi, mitigando quei fenomeni causati dalle debolezze del sistema d’istruzione italiano, come la dispersione scolastica e l’aumento dei NEET.
Incentivare la creazione di nuove comunità educanti diventa quindi un passaggio fondamentale per riuscire a promuovere l’educazione dei giovani e la loro partecipazione alla vita democratica del Paese.
Per approfondire
- Carletti C. (2021), Costruire comunità educanti. Una nuova alleanza formativa tra ambiente naturale, culturale e digitale, in Mangione G. R. J., Cannella C., De Santis F. (a cura di), “I Quaderni della Ricerca”, 59. Torino, Loescher Editore.
- Ciarini A. e Gianicola O. (2016), Le politiche educative in Italia: tra spinte esogene, cambiamenti endogeni e disuguaglianze persistenti, in “La Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy”, 2/2016, p. 61-88.
- Commissione Europea (2020), Education and Training Monitor 2020, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea.
- Costa M. (2017), La governance capacitante per lo sviluppo del sistema scolastico, FORMAZIONE & INSEGNAMENTO, vol. XV, pp. 165-178
- Grion V. e Dettori F. (2014), Student Voice: nuove traiettorie della ricerca educativa, In M. Tomarchio & S. Ulivieri (eds.), Pedagogia militante. Diritti, culture, territori, Pisa: ETS, pp. 852-857.
- Istituto Demopolis e Impresa Sociale Con i Bambini (2021), Gli italiani e la povertà educativa minorile. https://www.conibambini.org/wp-content/uploads/2021/11/Gli-italiani-e-la-poverta-educativa-indagine-Demopolis-18-novembre-2021.pdf
- Valenzano N. e Zamengo F. (2018), Pratiche di comunità educanti. Pensiero riflessivo e spazi condivisi di educazione tra adulti, Ricerche Pedagogiche, 208-209: 345-364.