Il welfare locale è da tempo sotto i riflettori. Le ripetute crisi e la gestione ordinaria dei bisogni sociali (vecchi e nuovi) lo hanno messo sotto pressione. Ultima la pandemia che, affrontata con un modello di intervento emergenziale e il ricorso a misure straordinarie – dell’UE, nazionali e locali – di trasferimento monetario, ha confermato sia la fragilità dei sistemi socio-assistenziali e socio-sanitari tradizionali, sia la loro insostenibilità e difficoltà ad adattarsi alle nuove sfide. È noto, infatti, che i sistemi di welfare locale sono caratterizzati da una grande distanza tra (nuovi) bisogni e risorse pubbliche disponibili e che si occupano prevalentemente degli stessi target da almeno quattro decenni, mentre sono deboli o assenti su nuove emergenze sociali, prevenzione e attivazione.
In questa cornice, però, la crisi pandemica, sembra aver attivato una serie di dinamiche positive (rapida sburocratizzazione e semplificazione dei processi socio-assistenziali e di erogazione di molti servizi; ridefinizione della governance pubblico-privata di diversi settori di attività), idonee a far ritenere possibile un radicale cambio di paradigma nel welfare locale e una sua riconfigurazione in chiave di (maggiore) adeguatezza, appropriatezza, sostenibilità e resilienza, secondo logiche coerenti con l’innovazione e l’investimento sociale. È esattamente in questa cornice e da interlocuzioni sul tema, intercorse tra i nostri due atenei, rispettivamente il Centro di ricerca CERGAS della SDA Bocconi School of Management e il Laboratorio Percorsi di secondo welfare dell’Università degli Studi di Milano, che è nata l’idea di scrivere un volume che rifletta su questi cambiamenti in atto e ne declini le possibili implicazioni pratiche.
Il volume “Platform Welfare: nuove logiche per innovare i servizi locali”, edito da Egea e pubblicato nel dicembre 2021, pone le sue basi su tre ordini di considerazioni comuni ai nostri gruppi di ricerca che nel lavoro di questo scritto hanno potuto intrecciare prospettive disciplinari differenti: da un lato il management pubblico e, dall’altro, la scienza politica e l’analisi delle politiche pubbliche.
Il declino del welfare tradizionale
La prima di queste considerazioni afferisce alle profonde trasformazioni sociali che interessano le società occidentali. Alla luce di tali trasformazioni, infatti, i servizi di welfare tradizionali hanno mostrato evidenti crepe nella risposta ai bisogni individuali e collettivi. Solo a titolo esemplificativo, possono essere citati la frammentazione del tessuto familiare – il 33% delle famiglie è composto da una sola persona, un dato che raggiunge il 50% nelle grandi città (Volpi 2019), il fenomeno dei NEET, i giovani che né studiano né lavorano, che si attesta al 20,7% nella fascia 15-24 anni, la mancanza di mobilità sociale soprattutto nel sistema scolastico che è profondamente segregato per strati socio-culturali ed etnici di provenienza, in particolare nel passaggio dalla scuola media alla scuola superiore.
I fenomeni citati non sono attualmente ricompresi nel portafoglio di offerta dei servizi tradizionali: essi necessitano di forme di aggregazione sociale, di riattivazione esistenziale e professionale (es. NEET), di connessione e scambio tra gruppi sociali distinti (per favorire la mobilità sociale e arginare la polarizzazione culturale). Aree lontane da quanto messo in campo dai servizi di welfare tradizionali.
Del resto, questi ultimi, sono stati disegnati, organizzati e sviluppati tra gli anni Settanta e Ottanta e se allora erano coerenti con il contesto socio-culturale in cui si inserivano, oggi i servizi territoriali di welfare non sono più in grado di rispondere alle sfide contemporanee per missione e finalità, per format di intervento, per modalità e approcci erogativi. Le principali differenze sono rintracciabili in quattro parole chiave – prestazioni, individuali, riparatorie, a domanda dell’utenza (distintive del welfare tradizionale) – che dovrebbero essere sostituite con: servizi, ricompositivi e aggregativi (di gruppo), con obiettivi promozionali o preventivi, di iniziativa ovvero proposti pro-attivamente dal sistema di welfare.
Rispondere a nuove trasformazioni
La seconda considerazione scava più nel profondo e guarda alle conseguenze derivanti dalle grandi trasformazioni in atto. Tali accadimenti sono di tale entità che è irrealistico pensare di affrontarle con le (scarse) risorse pubbliche in gioco. Il 24% della popolazione è anziana (di cui oltre 3 milioni sono persone in condizione di non autosufficienza) (Istat 2021), circa l’11,8% dei lavoratori sono poveri (working poor) (Raitano et al 2019) e nel 2020 il tasso di inattività è pari al 35% (+1 punto percentuale rispetto al 2019), il 33% delle famiglie sono unipersonali e quindi rischiano isolamento e solitudine, la povertà, che riguarda circa 5 milioni e mezzo di individui, è sempre più multidimensionale e il lavoro ha cessato da tempo di rappresentare un argine alla vulnerabilità.
Questi problemi, come è facile intuire, investono buona parte della società e possono essere affrontati solo attraverso la (ri)attivazione di processi sociali intrinseci nella comunità. Il pubblico, dal canto suo, deve utilizzare le sue risorse umane, finanziarie e regolative per attivare e agire sui processi e sulle dinamiche sociali che possono rispondere alle criticità collettive emergenti.
L’innovazione della Platform Economy
La terza considerazione guarda più concretamente alla “rivoluzione” in atto nei modelli di servizio e consumo che investe diversi ambiti della nostra vita. Questa rivoluzione viene indicata con il termine Platform economy, ovvero una nuova forma per acquistare servizi, ma anche per informarsi su di essi e compararli, così come per fruirli e per creare nuovi meccanismi e relazioni sociali che generano comunità digitali e fisiche, che influenzano le mappe cognitive dei suoi membri.
Seppur la Platform Economy rischi di passare come un fenomeno intrinsecamente legato all’utilizzo della leva tecnologica, in realtà esso si caratterizza come una vera e propria disciplina nella quale l’utilizzo della leva tecnologica nelle sue variegate forme si coniuga a nuovi strumenti in una società in rapida evoluzione.
Le logiche caratterizzanti la Platform Economy possono essere adottate in diversi contesti e il lavoro profuso e l’ambizione dei nostri centri di ricerca in questo volume sono stati quelli di coniugare una lettura dei fenomeni sociali in continua trasformazione (basata su solidi dati quantitativi) con robusti framework teorici al fine di incoraggiare una radicale riprogettazione del sistema di welfare locale in ambiti di bisogno, tradizionalmente negletti, che oggi necessitano invece di risposte. Da questo deriva l’elaborazione del paradigma Platform Welfare presente nel titolo.
I framework come strumento di riprogettazione : il caso degli anziani fragili
Ancor più nello specifico, il volume espone e analizza nel dettaglio gli strumenti di riprogettazione che utilizzano logiche di ricomposizione sociale, di valorizzazione delle risorse delle comunità e delle persone, non necessariamente correlati ad aumenti di spesa pubblica, pur avendo l’obiettivo di raggiungere consistenti aumenti del tasso di risposta ai bisogni. I framework esposti guardano alla creazione di piattaforme di marketplace locali che favoriscano l’aggregazione della domanda e la professionalizzazione dei servizi (l’opposto della badante “personale” e in “grigio”), che orientino le Pubbliche Amministrazioni verso un approccio sempre più orientato ai risultati e alle loro misurazioni (outcome based).
Si tratta di piattaforme multicanale, che integrano sportelli (social point e hub) con call center e digitale, in modo da poter essere inclusivi e coerenti con le caratteristiche dei distinti cluster sociali e i loro bisogni. Accanto ai nuovi framework teorici, il volume richiama anche l’importanza delle logiche sottese al paradigma dell’innovazione sociale e del service management e non manca di dedicare un affondo allo strumento della co-progettazione, che tanto rilievo sta assumendo in questa fase storica.
Per dare un’idea ancor più concreta dei framework presentati, il volume procede con l’analizzare concrete esemplificazioni rivolte a target di utenti che esprimono bisogni emergenti, pur essendo oggi fuori dai radar convenzionali dei servizi: è questo il caso dei ragazzi delle scuole medie, dei working poor, degli anziani fragili a cui aggiungiamo logiche e strumenti operativi per il community building a livello di quartiere.
Solo per citare un esempio, con riferimento al target degli anziani fragili, il volume si interroga innanzitutto sulle sfide reali e i (nuovi) bisogni che interessano questa fetta della popolazione per poi fornire una possibile e rinnovata matrice che riconosce la co-presenza di diversi cluster/profili (silver age, anziani fragili, anziani a maggior rischio non autosufficienza) all’interno della più genericamente definita anzianità.
Il caso degli anziani fragili – persone che detengono problemi di socialità e/o mobilità – è quella attualmente non raggiunta dall’offerta dei servizi. Nei confronti dei bisogni complessi espressi da questo target è necessario passare da una concezione di welfare tradizionale e di “attesa” dell’utente a un welfare di iniziativa e generativo. Allo stesso modo, per ripensare efficacemente ai servizi per questo target bisogna tenere a mente la netta distinzione tra due tipi di servizi da attivare: di back office (conoscere il proprio target) e quelli di front office (assistere il proprio target). Il primo obiettivo è mappare correttamente il target di riferimento dei servizi attraverso la costruzione di un database nominativo degli anziani fragili presenti nel territorio che abbia le seguenti caratteristiche: dinamicità, clusterizzazione, aggiornamento dei dati anagrafici nel tempo, meccanismi di autosegnalazione (in primis da parte degli assistenti sociali, possibilmente anche grazie agli enti del Terzo Settore e al mondo dell’associazionismo).
Le linee di intervento invece attivabili in front office si suddividono in tre tipi di servizi:
- occasioni di socializzazione, mappatura esaustiva delle iniziative gestite dalle associazioni del territorio e intercettazione di nuovi spazi (pubblici) collettivi per la socializzazione, identificabili ad esempio tra gli spazi non utilizzati delle RSA o di altre strutture, spazi parrocchiali e biblioteche con iniziative in fasce orarie dedicate per il target anziani, il potenziamento delle università della terza età (sia in presenza sia in digitale);
- trasporto, ovvero il trasporto verso le attività di socializzazione e quello per esigenze individuali (spesso, ma non solo, per ragioni mediche);
- servizi alla persona: in questa categoria si contemplano tutte le iniziative di servizio gestite da privati o da enti del Terzo Settore tra cui possono essere ricompresi a titolo esemplificativo e ordinati per condizione di fragilità crescente dell’anziano: pulizia, lavanderia, piccole manutenzioni, formazione digitale, pet-sitting, spesa a domicilio, pasto a domicilio, social housing protetto.
Le tre aree di intervento esposte devono essere affrontate adottando una logica di sistema. In primo luogo, il superamento della frammentazione delle misure e degli interventi per favorire l’integrazione e il coordinamento delle risposte pubbliche e private e un significativo miglioramento in termini di accesso ai servizi, oltreché per evitare la dispersione di risorse scarse e scongiurare il rischio di inappropriatezza.
L’obiettivo è fornire agli anziani fragili pacchetti unitari di risposte coerenti anche se realizzati da soggetti diversi, così da creare una rete robusta di interventi, investire in prestazioni professionali di qualità, collegando maggiormente il sistema dei trasferimenti monetari alla rete dei servizi territoriali. In secondo luogo, il rafforzamento dei servizi territoriali e domiciliari professionali per superare la logica assistenziale, oggi prevalente, fondata sull’aiuto informale prestato dai familiari e/o dai/dalle badanti.
Famiglie e comunità hanno bisogno di servizi agli anziani strutturati e integrati, organizzati intorno a professionisti che operano in team e con un approccio multidimensionale al care, in grado di aiutare al domicilio le persone fragili e sostenerne le famiglie; è altresì importante investire maggiormente sulla residenzialità leggera, oggi sostanzialmente assente nel nostro Paese, e su soluzioni innovative come il senior co-housing. Infine, la sburocratizzazione dei processi e la semplificazione delle procedure dell’offerta pubblica di prestazioni per mettere in campo interventi e servizi flessibili in grado di rispondere a bisogni in continua evoluzione lungo il ciclo di vita, bisogni che non riguardano solo gli anziani ma anche tutta la rete che li circonda.
Il ruolo della Governance
Il volume, nella sua ultima Parte, si pone l’obiettivo di traghettare il lettore dalla teoria alla prassi affrontando il tema centrale del ruolo della governance. Definire degli assetti di governance funzionali, efficaci e adatti ai vari contesti è infatti la conditio sine qua non per garantire la formulazione e la realizzazione di interventi che diano risposte concrete ai bisogni della collettività. E questo è particolarmente vero nel caso si vogliano mettere in campo soluzioni ambiziose, trasversali e inter-settoriali come vengono proposte nel volume. La governance locale partecipata si realizza attraverso il coinvolgimento attivo di tutti gli stakeholder di un territorio (pubblici e privati, locali e regionali – e quando possibile anche nazionali -, individuali e collettivi) alla progettazione e realizzazione dei beni e servizi utili al suo sviluppo economico e sociale e al miglioramento della qualità della vita delle persone e delle comunità. In estrema sintesi, il modello di governance a cui tendiamo nel nostro scritto è un modello:
- consapevole dei suoi processi e meccanismi interni di funzionamento, verso i quali adotta un approccio critico e di messa in discussione a seconda degli obiettivi che si prefigge e dei risultati che raggiunge;
- attento al contesto esterno di riferimento, verso il quale si rivolge con un’intenzione proattiva;
- capace di riconoscere le interdipendenze sociali, supportarle al fine di generare maggiore valore aggiunto per la collettività nel suo complesso.
Conclusioni
Infine, il volume presenta WILL (Welfare Innovation Local Lab), progetto che ha preso avvio nell’autunno 2019 e ha un orizzonte di 5 anni (2019-2024) e che vede coinvolte le nostre realtà – il Centro di ricerca CERGAS della SDA Bocconi School of Management e il Laboratorio Percorsi di secondo welfare dell’Università degli Studi di Milano – e dieci città capoluogo di provincia (Bergamo, Como, Cuneo, Mantova, Parma, Ravenna, Reggio Emilia, Padova, Rovigo, Novara). Il progetto ambisce a mettere a terra gli elementi teorici, di prassi e di metodo per concretizzare un cambio paradigmatico (orientato verso l’innovazione sociale) nel management dei servizi sociali a livello territoriale.
Se il 2021 può (e deve) essere un anno di svolta per il sistema di welfare non ci si può aspettare che tale svolta si realizzi sulla spinta di iniziative sperimentali che sono necessariamente limitate a contesti territoriali e a nicchie di cittadini e comunità. Piuttosto è necessario che emerga un cambio di visione radicale, strutturato e solido, basato su una rilettura della società e su un diverso modo di vedere, pensare e implementare politiche e servizi. Il volume auspica questo tipo di cambiamento e rilancia sulla centralità degli enti locali per attuarlo.
Riferimenti
- Longo F. e Maino F. (2021), Platform Welfare. Nuove logiche per innovare i servizi locali,
- Raitano, M., Jessoula, M., Pavolini, E. & Natili, M. (2019), In-work poverty in Italy. European Commission, European Social Policy Network.
- Volpi F. (2019), Il vero volto della famiglia italiana: un racconto attraverso i dati, IREF, Roma
Il presente articolo è stato pubblicato originariamente sul numero 2/2021 di Quaderni di Economia Sociale. È qui riprodotto previo consenso degli autori.