I Patti educativi di comunità, introdotti con il Piano Scuola 2020-2021, consentono agli istituti scolastici di ampliare la loro offerta formativa, valorizzando le risorse presenti nel territorio in cui le scuole si inseriscono. L’esperienza dei Patti educativi di comunità si colloca nel quadro più ampio dei “Patti di comunità” o “Patti di collaborazione”. Ovvero accordi stipulati tra cittadini e amministrazioni pubbliche in attuazione dei principi costituzionali di solidarietà, comunanza di interessi e sussidiarietà orizzontale.
Per capire meglio le caratteristiche, le potenzialità e il futuro dei Patti educativi come strumento di innovazione per la scuola, abbiamo chiesto a Pasquale Bonasora, Presidente del Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà di raccontarci l’esperienza dei Patti di comunità.
Che cosa sono e come nascono i Patti?
Il termine Patto sta assumendo una sua dimensione ben precisa nel diritto amministrativo. Nella pubblica amministrazione, e in particolare a livello locale, si avverte sempre con più forza la difficoltà di portare avanti determinati percorsi partecipati. Questo accade perché è difficile distaccarsi dallo schema “verticale”, come definito da Gregorio Arena (ndr professore di diritto amministrativo all’Università di Trento ed ex presidente di Labsus), in cui da una parte si trova l’istituzione, che dirige e determina le scelte e i processi, dall’altra la comunità di riferimento che deve recepirli.
Tuttavia, in un contesto in cui le risorse si riducono e i bisogni crescono è necessario impostare un nuovo rapporto con la comunità del territorio. È qui che interviene il principio di sussidiarietà orizzontale (previsto dall’articolo 118 della Costituzione), il quale permette ai cittadini, anche singoli, di occuparsi dell’interesse generale. I Patti sono quindi uno strumento attraverso il quale è possibile attuare il principio di sussidiarietà.
Nel 2014, insieme al Comune di Bologna, Labsus ha definito degli strumenti che potessero agevolare la messa in atto di questo principio. Abbiamo agito sulla distribuzione dei poteri tra i diversi soggetti coinvolti, lavorando su principi diversi da quelli dell’autorità pubblica. In particolare abbiamo puntato sulla fiducia e sulla condivisione delle responsabilità. In questa prospettiva, le decisioni di interesse generale sono prese attraverso processi di co-progettazione.
Lo strumento normativo che sancisce la condivisione di responsabilità è il Regolamento per i beni comuni, mentre il Patto di collaborazione è lo strumento attuativo del Regolamento. Il Regolamento è adatto a questo tipo di collaborazioni perché è la fonte normativa emanata dall’autorità pubblica più vicina alla comunità, cioè l’ente locale. Individuato un bene comune specifico dal Regolamento, intorno a quel bene le comunità e l’istituzione stabiliscono delle azioni di cura che rendono il bene fruibile dal maggior numero di persone possibile.
Quali sono le principali caratteristiche che deve avere un Patto?
Il Patto deve possedere due caratteristiche, che sono sia giuridiche sia di significato: deve prevedere un interesse generale e un uso non esclusivo del bene. Questo significa che il bene non può essere affidato solo a un ente, ma piuttosto a un’insieme di associazioni, enti, istituzioni eccetera. Inoltre, nel corso degli anni, il Patto ha assunto una sua struttura ben precisa. Si tratta di un atto amministrativo attraverso cui una serie di soggetti (pubblici e privati) collaborano tra loro per tutelare un bene comune e definiscono chiaramente le azioni da mettere in campo e le responsabilità di ciascun aderente.
Come si sono sviluppati i Patti nel tempo e che ruolo hanno giocato le scuole?
Nel corso degli anni, i Patti sono diventati strumenti potentissimi. Dal 2014 ad oggi, sono quasi 300 i Comuni che hanno adottato un Regolamento sui beni comuni e sono stati sottoscritti quasi 5.000 patti. Dall’ultima rilevazione, nel 2019, all’interno di un campione di 800 patti attivi, il 10% era sottoscritto da scuole. Lo strumento del Patto, insomma, è diventato essenziale per costruire un rapporto tra la comunità e la scuola, e ha configurato quest’ultima come un vero e proprio bene comune. Grazie ai Patti, la scuola diventa il fulcro attorno a cui la comunità di riferimento (docenti, studenti, cittadini, genitori) costruisce un percorso tale per cui gli spazi scolastici si aprono alle città e al paese.
Che ruolo hanno le scuole all’interno dei Patti?
Nei Patti costruiti attraverso il Regolamento il ruolo della scuola è sempre centrale. Può essere uno dei sottoscrittori, quindi pari agli altri, ma nella definizione delle azioni di cura rimane uno degli attori centrali. Se poi l’azione di cura avviene all’interno o nell’area circostante alla scuola, questa diventa la chiave per costruire il rapporto con il territorio di riferimento.
Il tipo di azioni che le scuole possono fare è vario: possono tutelare diversi beni, materiali e immateriali, come ad esempio la costruzione di relazioni nel mondo scolastico. Questo significa coinvolgere tutti, anche i ragazzi, che spesso diventano protagonisti dei Patti, capovolgendo l’idea che debbano essere gli adulti a definire i percorsi educativi.
Che relazione c’è con i Patti educativi di comunità introdotti dal Piano scuola?
Con il Piano Scuola 2020-2021, il Ministero ha introdotto il Patto educativo di comunità e questo strumento ha le stesse radici del Patto di Collaborazione. Possiamo dire, quindi, che Patti di collaborazione e Patti educativi sono sostanzialmente molto simili dato che entrambi si legano all’articolo 118 e individuano nella co-progettazione fra tutti i soggetti interessati un elemento fondamentale. La differenza sta nel fatto che i Patti di collaborazione possono riguardare qualsiasi bene comune; i patti educativi hanno invece come obiettivo specifico le scuole (e il loro rapporto con la comunità di riferimento).
Che cosa si aspetta per il futuro dei Patti?
Se finora i Patti educativi sono stati spesso (ma non esclusivamente) utilizzati in ottica emergenziale, quello che mi aspetto è la possibilità che diventino uno strumento quotidiano per la scuola, tanto da poterle consentire una relazione continua con il territorio e le istituzioni pubbliche. Per farlo è necessario molto impegno. Ma soprattutto è importante far passare il messaggio che l’apertura al territorio sia una condizione essenziale per la riuscita dei Patti. Per questo motivo credo che il miglior modo per rendere efficaci i fondi del PNRR sia di gestirli a livello locale. Anche l’ANCI sta insistendo molto su questo: se il territorio non viene coinvolto, i fondi sono sprecati. Bisogna rendere chiaro questo messaggio e aiutare dirigenti scolastici, insegnanti e studenti ad immaginare la relazione tra scuola e territorio.
#DisuguaglianzeEducative
Questo approfondimento è stato realizzato nell’ambito della ricerca “Diritto all’istruzione, disuguaglianze educative e partecipazione” che Secondo Welfare sta realizzando per ActionAid.