Le biblioteche possono ancora rivestire un ruolo decisivo nell’ambito delle politiche culturali (e sociali) dei territori, ma è necessaria una forte volontà di innovazione accompagnata da strumenti e processi adeguati. Su Corriere Buone Notizie Alessandro Agustoni riflette del tema raccontando l’esperienza del sistema interbibliotecario CUBI, che riguarda 57 Amministrazioni Comunali della Lombardia. L’articolo è parte dell’inchiesta curata dal nostro Laboratorio e pubblicata lo scorso 22 ottobre; qui invece potete trovare l’articolo di contesto curato da Paolo Riva e la relativa infografica.
Chi ha più di trent’anni ha un ricordo sufficientemente chiaro di un gettone telefonico. I più giovani invece faticano addirittura a comprendere il senso di quell’oggetto. Questo perché quando le cose perdono utilità escono di scena e vengono dimenticate, come non fossero mai esistite. Nell’epoca dell’informazione digitale potrebbe essere facile pensare che le biblioteche siano rapidamente destinate a fare la fine del gettone del telefono, trasformandosi inesorabilmente in luoghi obsoleti e dimenticati. Non è così.
In un mondo in cui la qualità del capitale umano è il principale elemento di successo di ogni territorio le biblioteche, il cui fine è quello di favorire lo sviluppo di competenze nelle persone, hanno la possibilità di tornare a essere luoghi vivi e attrattivi. Per ottenere questo scopo la strada è semplice: mantenere fede alla propria missione storica e aggiornare i modi per perseguirla.
Andrebbero anzitutto aggiornati gli strumenti da utilizzare. Al libro, che non può più essere solo di carta, andrebbero accostati nuovi strumenti: offerta di formazione continua, processi di apprendimento tra pari, coinvolgimento dei cittadini per progettare le attività che più li interessano. Nuovi ferri del mestiere dunque, a cui andrebbe affiancata anche la capacità di utilizzarli al meglio, rinnovando la figura del bibliotecario: regista dei nuovi servizi e fulcro di questo complesso intreccio di relazioni.
Di fronte ad un’ipotesi di cambiamento così sfidante una singola biblioteca, anche la meglio equipaggiata, non avrebbe tuttavia nessuna chance di farcela da sola. Troppi investimenti, rischi e incognite. Ecco perché nell’area est della Città Metropolitana di Milano e della Provincia di Monza, sulla scia delle riflessioni sopra proposte, 57 Amministrazioni Comunali stanno ripensando la propria rete di biblioteche pubbliche con l’obiettivo di definire un piano strategico e realizzando un percorso partecipato che coinvolge decisori politici, personale delle biblioteche e cittadini. L’iniziativa si chiama CUBI (www.cubinrete.it), sta procedendo positivamente e finora ha permesso di individuare almeno tre concetti per il rinnovamento delle biblioteche di questi territori.
Primo: molteplicità. Le biblioteche quando hanno spazi attraenti possono offrire servizi diversi, adeguati alle diverse esigenze delle persone; occorre però definire un perimetro di pertinenza della nuova offerta, che può essere quello (largo) della condivisione di conoscenze e competenze.
Secondo: rete. Le biblioteche possono organizzarsi per garantire in ogni sede servizi di base e di prossimità e – trasversalmente o solo dove se ne hanno strutture e risorse – servizi di nicchia (sale studio disponibili la sera, servizi personalizzati di avvicinamento alle nuove tecnologie, ludoteche di qualità): quando c’è qualcosa che davvero le interessa, infatti, le persone sono disposte a muoversi.
Terzo: innovazione. Le biblioteche possono offrire servizi bibliotecari anche al di fuori della proprie mura, e in questo senso il digitale è una risorsa da usare più intensamente; inoltre non è sempre necessario un edificio per fare biblioteca: in certe situazioni attraverso servizi “mobili“ può essere molto, forse più, attraente ed efficace.
In sintesi: non c’è bisogno di trasformismo ma di vera trasformazione.