Si sono svolti il 25 e il 26 di ottobre a Milano, nelle sale del Castello Sforzesco, gli Stati generali delle biblioteche, organizzati dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano in collaborazione con l’Associazione Italiana Biblioteche (AIB) e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) con l’obiettivo di promuovere la riflessione sul ruolo delle biblioteche nelle politiche pubbliche di rigenerazione urbana e sviluppo sostenibile delle città. Di seguito si propongono alcuni spunti di riflessione a partire da quanto è emerso nella due giorni.
Biblioteche e rigenerazione: un senso di novità
C’è già un primo, significativo, senso di novità negli obiettivi dichiarati, che collocano le biblioteche sotto una luce diversa da quella che tradizionalmente le illumina. Si parla di biblioteche e politiche pubbliche di rigenerazione urbana, di biblioteche e sviluppo sostenibile delle città. I libri, loro ambito di dominio secolare, lasciano il passo a una nuova missione, più larga e impegnativa.
Il senso di novità prende forza nell’intervento introduttivo di Barbara Lison, presidente di IFLA – International Federation of Library Associations and Institutions. Lison presenta le 20 grandi sfide/opportunità del prossimo futuro identificate dalle biblioteche sparse in 150 nazioni che aderiscono all’associazione e nessuna di esse riguarda in maniera diretta i libri. Si parla del ritorno degli spazi fisici e di apprendimento continuo, di diversità e di cambiamento climatico, di disuguaglianze, di estremizzazione e di virtualità.
Biblioteche: infrastrutture del welfare socio-culturale locale
Si parla di venti tendenze che modelleranno i prossimi anni delle nostre comunità e in ognuna di esse il libro e la lettura smettono di essere il centro dell’attività bibliotecaria e si mettono a disposizione delle persone e di una realtà complessa e accelerata, fatta di nuovi bisogni sociali, culturali e di welfare.
Una rete a maglie fitte
Si tratta di un compito impegnativo che le biblioteche di tutto il mondo si preparano a raccogliere e che, tra molte difficoltà, le vede ben attrezzate da almeno un punto di vista, quello logistico. Le biblioteche sono, più o meno, dappertutto e restano forse gli ultimi luoghi pubblici in cui le persone possono passare del tempo senza dover “consumare” niente.
Lo ricorda Chiara Faggiolani, professoressa alla Sapienza e direttrice di Biblab, nei risultati di una ricerca che rivelano una capillarità che merita di essere valorizzata: in Italia ci sono quasi 7.500 biblioteche, presenti in 2 Comuni su 3. Certo esistono importanti squilibri, non tutte le sedi hanno personale in numero sufficiente e adeguatamente formato, così come non tutte si trovano in edifici adatti e opportunamente attrezzati ma, pur con tutta la prudenza che Trilussa suggerisce, la fotografia di Biblab ci consegna una rete a maglie fitte, che mette a disposizione un “nodo”, almeno potenziale, ogni 8.000 persone.
Come le biblioteche possono diventare nuove infrastrutture di coesione locale
Le premesse su cui si innestano questi Stati generali delle biblioteche sembrano dunque abbastanza chiare: c’è una nuova dimensione vocazionale da assecondare, ci sono nuovi obiettivi da raggiungere e c’è una diffusione territoriale che sembra rendere la sfida affrontabile. Sul palco degli Stati generali, coordinati dal direttore dell’Area biblioteche del Comune di Milano, Stefano Parise, si sono alternate molte esperienze nazionali e internazionali, ognuna di esse ha aggiunto sostanza alle variegate risposte che le biblioteche stanno costruendo per andare incontro alle richieste delle comunità.
Tre coordinate per un percorso di sviluppo
Soluzioni, idee e proposte concrete che hanno trovato formalizzazione nella Carta di Milano per le biblioteche, documento sviluppato dagli assessorati alla cultura delle principali città italiane, simbolicamente firmato a conclusione degli Stati generali e condiviso con tutte le amministrazioni locali con l’ambizione che diventi la base su cui costruire una strategia bibliotecaria nazionale. I molti interventi della due giorni milanese hanno dunque disegnato un percorso di sviluppo delle biblioteche piuttosto preciso, un percorso che pensiamo possa essere condensato in tre coordinate fondamentali.
1. Biblioteche che escono da sé e vanno verso le persone
La prima di queste coordinate emerge dall’esperienza della biblioteca Chiesa Rossa, a pochi passi dal quartiere Stadera di Milano. È qui che lo staff della biblioteca ha scelto di uscire dalle mura dell’edificio che lo ospita per andare a incontrare le persone nei luoghi che frequentano, nei molti cortili condominiali che caratterizzano l’edilizia del quartiere. L’attività di coinvolgimento, svolta in collaborazione con una cooperativa che si occupa di animazione di comunità, non taglia però fuori la biblioteca. L’obiettivo di questo movimento verso l’esterno non è quello di nascondersi, piuttosto il contrario: laboratori e letture all’aperto sono occasione per conoscere le persone e per mostrare loro cosa sia una biblioteca e che cosa faccia passando del tempo insieme, costruendo relazioni e proponendo attività che, in alcune loro fasi, radunano tutte le persone a Chiesa Rossa. Un lavoro di questo tipo ha reso la biblioteca un luogo familiare, accogliente anche per cittadini e cittadine che, prima, non l’avevano mai frequentato e che ora, invece, lo sentono proprio.
2. Biblioteche che ascoltano i bisogni delle persone
La seconda coordinata arriva da Tilburg, in Olanda; si trova qui la biblioteca LocHal, ricavata all’interno di un ex hangar ferroviario. Anche in questo caso il cambiamento è nato da una richiesta fatta al personale: andate in mezzo alle persone, chiedete loro cosa vorrebbero trovare qui e ascoltatele. Ne è nato un luogo riconfigurabile grazie a mobili su rotelle ed enormi teli fonoassorbenti, fatto per chi vuole divertirsi e per chi vuole studiare, per chi vuole seguire un laboratorio e per chi vuole assistere a uno spettacolo. Ci sono anche i libri, esposti più come in una libreria che come in una biblioteca classica. Ma l’insegnamento più significativo arriva da un dettaglio che il direttore Peter Kok racconta quasi per caso. La biblioteca si trova a pochi passi dalla stazione ferroviaria, in un quartiere che ospita molte persone senza fissa dimora. Anche per questo LocHal è aperta tutti i giorni dalle 8 alle 22, per consentire loro di entrare presto, bere qualcosa di caldo, leggere i giornali e ricaricare, chi ce l’ha, il cellulare. La forza delle biblioteche sta in questa doppia caratteristica, nella capacità di essere sentinelle in ascolto della prossimità più minuta e nel loro essere tante, diffuse e distribuite sul territorio. Una rete di questo tipo, in cui ogni nodo si prende carico di una piccola parte, può davvero generare effetti capaci di superare il locale.
3. Biblioteche che coinvolgono e progettano insieme alle persone
La terza e ultima coordinata è un lascito di molte delle esperienze raccontate agli Stati generali delle biblioteche ed è lo stimolo a passare da una progettazione per le persone a una progettazione con le persone. Ne ha parlato Anna-Maria Soininvaara, direttrice della biblioteca di Helsinki in cui gran parte dell’offerta è sviluppata insieme a chi frequenta la biblioteca, ne ha parlato Theo Kemperman, direttore della biblioteca di Rotterdam che ha coinvolto più di un milione di persone attraverso nove diversi canali di rilevazione, digitali e analogici. Ne ha parlato anche Laura Ricchina, direttrice della già citata Chiesa Rossa, che ha sottolineato come dal punto di vista concreto siano utili strategie che ha definito di “discriminazione positiva” e dunque, tra le altre cose, orari di apertura lunghi, spazi ampi e accoglienti, tecnologie facilitanti, segnaletica multisensoriale e multilingue. Una dotazione che non nasce dal nulla ma che è possibile immaginare solo cambiando approccio, coinvolgendo nella progettazione persone singole, gruppi informali, associazioni, enti del terzo settore. La biblioteca gioca, in questo, un ruolo di attivazione territoriale e di mediazione tra le diverse esigenze, con l’obiettivo di costruire progetti larghi, rappresentativi e inclusivi.
Una questione di branding
Andare verso le persone, ascoltarle e progettare insieme a loro, tre cardini di un’esperienza bibliotecaria completamente nuova e che conducono a un ultimo aneddoto che aiuta a cogliere il senso degli Stati generali delle biblioteche. Lo racconta Antonella Agnoli, una delle maggiori esperte italiane della materia.
Ricorda Agnoli che un giorno si trovava a passeggiare all’esterno di una biblioteca, in una zona attrezzata con panchine su cui un gruppo di ragazzi e ragazze giocava a carte e scacchi. Avvicinatasi ha chiesto loro come mai giocassero lì fuori, invece di entrare nella biblioteca dove avrebbero trovato tavoli spaziosi, sedie comode e un’abbondante collezione di giochi da tavolo. La risposta, una sentenza: “Ma signora, secondo lei in un posto che si chiama biblioteca ci possono essere i giochi?“.
È una risposta acuta e amara, che mette in evidenza lo spazio che esiste fra ciò che le biblioteche sono, ciò che ogni giorno bibliotecari e bibliotecarie si impegnano a farle diventare e il modo in cui sono ancora oggi troppo spesso percepite. Biblioteche: un nome che comincia a stare un po’ stretto a luoghi che puntano a diventare veri e propri centri di comunità e che, in molti casi, lo sono già.