Restituire complessità alla “questione giovanile”
Nel momento in cui ci si interroga sulla cosiddetta “questione giovanile”, l’attenzione viene spesso catturata da dati e riflessioni sulle difficoltà di inserimento socio-lavorativo dei giovani e sulla maggiore complessità che caratterizza i processi di transizione alla vita adulta nella contemporaneità. In effetti, i problemi che i giovani affrontano nell’inserirsi nel mercato del lavoro e le conseguenze di ciò sul superamento di altre soglie dell’adultità (ad esempio, uscire dalla casa dei genitori, costituire una propria famiglia) costituiscono, soprattutto in Italia, un innegabile questione sociale. Tuttavia, comprendere la condizione giovanile contemporanea solo attraverso l’analisi della loro (debole) inclusione economico-lavorativa rischia di produrre una lettura “doppiamente semplificata” della marginalità giovanile.
In primo luogo, guardare solo all’inclusione economico-lavorativa semplifica la condizione di marginalità esperita dalle giovani generazioni nascondendo forme di esclusione che si realizzano, per esempio, sul piano civico e politico. Guardare solo all’inclusione economico-lavorativa significa, infatti, non riconoscere come questa sia “nutrita” dalle (e nutra le) difficoltà di accesso dei giovani agli spazi della partecipazione istituzionale, dall’esclusione dei temi giovanili (che interessano i giovani o sono interessanti per i giovani) dall’agenda politica e dal mancato riconoscimento dei giovani come “full citizens”1.
In secondo luogo, una lettura della condizione giovanile focalizzata solo sul piano dell’inclusione economico-lavorativa limita la possibilità di riconoscere il potenziale valore positivo della marginalità giovanile, intesa come capacità di mettere in discussione e rileggere la società e le sue istituzioni a partire da un punto di vista liminare, periferico e quindi diverso. Volgere lo sguardo solo al piano dell’inclusione economico-lavorativa rischia, infatti, di riprodurre una lettura delle giovani generazioni come vittime inermi e passive della loro condizione di marginalità e di non riconoscere le richieste e le pratiche di ri-significazione sociale che da quella marginalità possono essere elaborate. In linea con il pensiero di Bell Hooks2, è infatti possibile e necessario distinguere “tra la marginalità che è imposta da strutture oppressive e la marginalità che scegliamo come luogo di resistenza – uno spazio di apertura radicale e di possibilità” (mia traduzione) e osservare le loro interazioni.
Restituire complessità alla condizione giovanile, in questa prospettiva, implica considerare quali condizioni di inclusione sociale e quali opportunità di coinvolgimento civico e politico sono offerte alle giovani generazioni come dimensioni che si influenzano a vicenda.
I giovani italiani tra marginalità negativa e marginalità positiva
Guardando congiuntamente al rapporto tra “partecipazione” intesa come “fare parte” e “partecipazione” nel senso di “prendere parte”3, è possibile fare luce sulla specifica posizione che i giovani hanno come cittadini e riflettere sul rapporto tra inclusione e coinvolgimento come spazio in cui la marginalità viene sia riprodotta che rielaborata. A partire da questa angolazione, la condizione dei giovani italiani in questi primi decenni del XXI secolo può essere letta come un vero e proprio spazio sociale che si sviluppa tra la “marginalità negativa” a cui i giovani sono costretti per la propria posizione nel mercato lavorativo e occupazionale e la “marginalità positiva” che le giovani generazioni italiane stanno sviluppando e manifestando nelle arene della partecipazione e, in particolar modo, nel contesto delle pratiche non istituzionalizzate della partecipazione.
Sul piano dell’inclusione, le giovani generazioni italiane esperiscono una condizione di marginalità negativa fin dagli anni ’80, quando i livelli di disoccupazione giovanile hanno iniziato progressivamente a crescere. Più recentemente, la crisi economica del 2008 e le conseguenti misure di austerity hanno indubbiamente inasprito la marginalizzazione sociale dei giovani italiani le cui prospettive di vita, secondo molte analisi, rischiano di essere ulteriormente indebolite dagli effetti socioeconomici della pandemia da Covid-19. Guardare a questa situazione considerando il rapporto tra inclusione sociale e coinvolgimento significa riconoscere, in primo luogo, che i giovani italiani si trovano nella condizione di marginalità negativa propria dei “denizens”: formalmente inclusi e sostanzialmente esclusi, essi sono da tempo costretti a muoversi in un contesto che li accoglie solo parzialmente garantendo loro diritti sostanziali di inclusione.
Da un’altra prospettiva, considerare la posizione dei giovani italiani attraverso il rapporto tra inclusione sociale e coinvolgimento civico e politico permette di evidenziare come, durante l’ultimo decennio, l’esperienza della marginalità negativa sul piano lavorativo-occupazionale abbia alimentato anche una trasformazione del modo di partecipare dei giovani italiani. Sebbene difficile da quantificare per la sua natura volatile, la sfera della partecipazione giovanile non istituzionalizzata ha, negli ultimi anni, dimostrato la sua capacità di divenire spazio di apertura radicale sotto diversi punti di vista. Nell’evidenziare il collegamento tra le forme della partecipazione civica e politica giovanile contemporanea e la prolungata condizione di “periferizzazione sociale” esperita dalle giovani generazioni italiane, è stato da più parti sottolineato il potenziale trasformativo delle pratiche partecipative giovanili e la loro potenziale capacità di ri-significare il concetto di inclusione sociale.
Focalizzandosi primariamente sulle questioni dell’inclusione economica, dei diritti delle minoranze, dell’uguaglianza di genere e della giustizia ambientale, le forme del coinvolgimento civico e politico dei giovani italiani si distinguerebbero, infatti, per la loro potenziale capacità di produrre – a partire dalla prolungata condizione di marginalità esperita dalle giovani generazioni – nuove soluzioni a radicati problemi sociali di inclusione. Questa possibilità si collega, in particolare, a due trasformazioni che appaiono caratterizzare le forme del coinvolgimento non istituzionale dei giovani.
Da un lato, infatti, queste avrebbero assunto un carattere più “sistemico”. Le narrazioni e le soluzioni che i giovani italiani impegnati in forme di partecipazione non istituzionalizzate elaborano collegherebbero in modo più esplicito le questioni individuali e locali a una critica sistemica, dimostrando così una profonda consapevolezza della natura interconnessa e sfaccettata della disuguaglianza sociale. Dall’altro, un secondo elemento di novità è stato notato nel tentativo di creare, attraverso le forme di attivazione civica e politica realizzate al di fuori delle istituzioni, alleanze con altre soggettività e gruppi sociali. Le attuali forme di impegno civico e politico dei giovani si distinguerebbero, infatti, per un approccio intersezionale che si concretizzerebbe nel tentativo costante di creare connessioni tra diverse questioni sociali e tra i gruppi da esse interessati.
Le implicazione del coinvolgimento civico e politico
Quali implicazioni hanno le forme contemporanee del coinvolgimento civico e politico dei giovani per il modo in cui pensiamo all’inclusione sociale?
Uno sguardo attento alle pratiche di attivazione civica e politica dei giovani italiani permette di notare come le idee di inclusione sociale espresse, per esempio, da movimenti (prevalentemente) giovanili come Fridays For Future (FFF) non siano rilevanti solo per i giovani, ma abbiano la potenziale capacità di dare un nuovo – più articolato e aperto – significato al concetto di inclusione sociale. Infatti, nel rivendicare il proprio diritto al futuro, i giovani che partecipano alle manifestazioni di FFF non solo reclamano il medesimo diritto per tutti, ma lo fanno immaginando un modello di società in cui giustizia ambientale e giustizia sociale vanno di pari passo e in cui gli interessi individuali si connettono alle dinamiche globali.
Collegando tra loro questioni (come ambiente e inclusione sociale), gruppi (ad esempio, giovani italiani e migranti climatici) e piani apparentemente distanti (dalle azioni quotidiane alle dinamiche globali), le pratiche di attivazione civica e politica dei giovani contemporanei appaiono, soprattutto, invitarci a mettere in connessione istanze sociali che spesso concepiamo come separate. Le pratiche partecipative dei giovani sembrano, infatti, ripensare l’inclusione sociale come un problema che non può essere affrontato per settori, problemi o gruppi, ma solo riconoscendo e affrontando le interconnessioni che esistono tra questi. In tal senso, considerare la voce dei giovani nel ripensare l’inclusione sociale non implica solo promuovere una (quantomai necessaria) redistribuzione delle risorse tra le generazioni, ma riconoscere che l’inclusione sociale si realizza pienamente solo tramite politiche capaci di creare “alleanze” tra interessi sociali apparentemente distanti.
I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social PoliciesIl presente articolo sintetizza alcuni degli esiti principali di un lavoro pubblicato sul numero 1/2022 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: I. Pitti, In the Margins: Young Italians’ Social Participation between Engagement and Inclusion, in «Politiche Sociali/Social Policies», 1/2022, pp. 15-30.
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Note
- Dalton, R.J. (2017), The Participation Gap. Social Status and Political Inequality, Oxford, Oxford University Press.
- Hooks, B. (1989), Choosing the Margin as a Space of Radical Openness, in «Framework», 36, pp. 15-23.
- Cotta, M. (1979), Il concetto di partecipazione politica. Linee di un inquadramento teorico, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», 2, pp. 193-277.