Sono passati quattro mesi dall’avvio della Garanzia Giovani nel nostro Paese. A questo punto, i percorsi di inserimento degli under 30 nel mondo del lavoro dovrebbero essere entrati a pieno regime, mentre l’implementazione della misura ancora arranca. Per questo alcuni hanno iniziato a sollevare dubbi, altri parlano già di fallimento del piano. Quali sono le principali posizioni nel dibattito in corso?
Una prima critica riguarda la bassa adesione al programma, sia dal lato della domanda – i giovani – che da quello dell’offerta – in primis le aziende. Rispetto ad un bacino potenziale di beneficiari individuati in 2,3 milioni di ragazzi, al 5 settembre risultano iscritti in 179.439 giovani, di cui solo 26.668 hanno sostenuto il primo colloquio di orientamento. Ciò significa che solo il 7,8% dei potenziali destinatari si è iscritto al programma – che solo per il 14,8% degli iscritti ha preso effettivamente avvio. L’andamento risulterebbe inoltre decrescente rispetto ai primi mesi. Se i numeri non sono positivi, bisogna considerare che questo risultato, come osserva Giulia Rosolen, si deve a diversi fattori, tra cui la perdita di fiducia verso le azioni di politica pubblica, ma anche una scarsa conoscenza dell’iniziativa, sia sul lato dei giovani che su quello delle imprese, coloro che potrebbero dare il grande slancio al programma. D’altra parte, infatti, poche sono le aziende che si sono fatte avanti. Secondo quanto rilevato dal ministero, le opportunità di lavoro a fine agosto sono 10.369 per un totale di 15.165 posti in tutta Italia: circa un’occasione ogni 12 giovani, considerando i 179mila aderenti al progetto.
Un altro aspetto additato come segnale di fallimento è infatti che quasi la metà delle offerte (47%) pubblicate riguardano figure di basso profilo (che non richiedono né un diploma né una laurea), il 40% occasioni di lavoro per figure intermedie (almeno il diploma di scuola secondaria superiore) e solo 13% figure alte (almeno la laurea triennale o specialistica). Guardando alla tipologia contrattuale, inoltre, quasi il 79% delle offerte pubblicate si concentra sul tempo determinato, poco più del 10% indeterminato, mentre tirocini e apprendistato – i due strumenti su cui la proposta europea voleva far maggior affidamento – rimangono nettamente in secondo piano, rispettivamente al 6% e all’1,6%. E’ quanto emerge da una prima ricerca condotta da ADAPT lo scorso luglio. Il punto è che la garanzia giovani, al di là delle numerose problematiche che si stanno riscontrando nel percorso di messa in opera, riflette in modo piuttosto lineare le caratteristiche del mercato del lavoro italiano che, sopratutto per quanto concerne la sua componente giovanile, è caratterizzato da offerte di lavoro a termine e spesso di bassa qualifica.
Anche a livello territoriale emergono le problematiche già proprie del sistema produttivo italiano: le occasioni di lavoro sono concentrate per il 71% al nord, la regione che attualmente “garantisce” maggiori offerte è la Lombardia, con quasi 1.000 proposte, seguita da Emilia Romagna e Veneto, chiude il Molise con una sola offerta di lavoro (Dati ADAPT, luglio 2014).
In merito all’attribuzione del ruolo di ente gestore alle regioni, dal blog Workcoffee si fa notare che la disomogeneità della domanda e l’emergenza estrema delle regioni da cui provengono il maggior numero dei giovani disoccupati da attivare (Sicilia, Campania, Lazio e Puglia) renderebbe necessaria una politica nazionale che non sia di mero coordinamento, ma che possa anche agire con funzioni sussidiarie. Alcuni ammoniscono inoltre sul rischio che l’implementazione della Garanzia, tenda a replicare la inefficienze che caratterizzano gli assetti regionali. A dimostrazione di ciò, ad esempio, Giuliano Cazzola, da Il Sussidiario, confronta la ripartizione delle risorse tra i vari obiettivi disponibili e conclude che mentre in alcune regioni, come la Lombardia, risultano consistenti gli investimenti in bonus occupazionali, in altre, come la Campania, vengono privilegiate "le spese di carattere amministrativo": il 23% delle risorse, la concentrazione maggiore di spesa, è destinato ad accoglienza, presa in carico e orientamento. A detta di Cazzola si osserva dunque in alcuni casi un’alta incidenza di "oneri riguardanti il funzionamento della "macchina" rispetto a quelli più direttamente funzionali a proporre occupabilità".
La Garanzia Giovani sconterebbe inoltre anche i limiti del nostro sistema di politiche del lavoro, in particolare dei servizi per l’impiego, limiti sottolineati quasi da ogni parte, tra cui Giubileo e Pastore, che sulle pagine de Linkiesta, riportano svariate ragioni per le quali senza una massiccia riforma del settore, essi non saranno in grado di svolgere il ruolo assegnato dal progetto europeo. Per migliorare almeno in parte la situazione si propone di seguire le raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea dell’aprile 2013, che si possono riassumere in quattro pilastri: intervento tempestivo e attivazione (operare perché i servizi per l’impiego siano in grado di fornire un orientamento personalizzato e una progettazione individuale); elaborazione di misure di sostegno per l’integrazione nel mercato del lavoro; attuare una valutazione degli interventi; elaborazione di strategie basate sulla partnership con i servizi privati. Anche le agenzie private infatti sono chiamate ad investire per la promozione di politiche attive, ma al momento si trovano a farlo in presenza di un sistema di accreditamento del tutto diverso da regione a regione e di un mercato ancora poco definito come spiegato sul blog WorkCoffee. Infatti, come sottolineato anche sulle pagine del Corriere della Sera, non c’è ancora una virtuosa sinergia pubblico/privato, cioè tra i centri dell’impiego e le agenzie del lavoro, finora servite come mero contenitore di offerte provenienti dalla loro clientela.
Infine, Il Tirreno – che sta dedicando molto spazio al tema essendo la Toscana una delle regioni “più impegnate” nel piano – ammonisce sul rischio che la Garanzia sia ridotta all’ennesima manifestazione dell incapacità riformatrice del paese, in particolare della scarsa capacità di far fruttare le risorse europee. Avremmo infatti già a disposizione 1 miliardo e 100 milioni stanziati dall’Unione Europea a luglio, due mesi dopo l’avvio di Garanzia Italia, solo che prevedono un co-finanziamento da parte dell’Italia di 400 milioni, come si legge sul sito della Commissione Europea e ancora non è chiaro se questi fondi siano disponibili nel bilancio dello Stato.
Queste le principali considerazioni emerse nel dibattito sulla Garanzia in questi mesi, considerazioni che oggi si intersecano inevitabilmente col dibattito sul Jobs Act, il quale – è questa un’opinione quasi universalmente condivisa – influenzerà il destino della garanzia e dell’occupazione giovanile in generale.