Il conto alla rovescia è partito. Trascorsi i sessanta giorni di "riscaldamento" dall’inizio della Garanzia per i giovani (GG), la lancetta dei fatidici 4 mesi – termine entro i quali i servizi al lavoro sono chiamati a offrire un’opportunità di inserimento ai giovani Neet – ha incominciato a ticchettare.
Come scrive Maurizio Ferrera, alcune regioni sembrano sulla buona strada, avendo già avviato numerosi colloqui di orientamento ed emanato i primi avvisi pubblici per l’assegnazione dei servizi. Altre invece mostrano ancora un polso debole. E ciò appare preoccupante sopratutto in quelle aree dove i problemi occupazionali dei giovani sono più acuti e occorre intervenire con urgenza.
Le cifre riportate nell’ultimo monitoraggio della GG non sono confortanti. A fronte di circa 98.000 registrazioni (su un bacino potenziale stimato in 1,5 milioni di utenti), i posti di lavoro finora disponibili sono pari a poco più di 3.300. Molti commentatori, nonché la stessa Susanna Camusso, sottolineano come questo risultato sia del tutto insoddisfacente: qualora i servizi al lavoro fossero in grado di collocare tutte le opportunità rese al momento disponibili, arriveremmo al massimo a coprire solo il 3% delle adesioni.
Anche se questi numeri sembrano "parlare chiaro", occorre comunque ricordare che:
a) la GG è pensata anche per offrire occasioni di formazione professionale o educative o percorsi di auto-imprenditorialità che non vengono conteggiate come “occasioni di lavoro”, nonché per erogare servizi volti al rafforzamento dell’occupabilità delle persone (uno degli obiettivi primari delle politiche attive);
b) è probabile che tra i registrati vi sia anche una quota significativa di inattivi. E’ vero che così si ingrossano le file di coloro che richiedono assistenza (come ricorda Giovannini, la GG rischia di accrescere il tasso di disoccupazione giovanile), ma perlomeno anche queste categorie ora possono diventare oggetto di intervento pubblico, mentre prima erano difficilmente raggiungibili;
c) tra coloro che si registrano e chi effettivamente risponde alla prima chiamata dei centri per l’impiego, il delta può essere significativo. Un conto è l’adesione online (per quanto più o meno macchinosa), un altro è l’impegno effettivo.
Guardando invece alle imprese, la loro finora limitata risposta dipende da vari fattori:
a) manca l’abitudine (e talvolta forse anche la volontà) da parte di molte aziende alla collaborazione, mentre gli accordi siglati con le associazioni di categoria devono ancora entrare a regime (a tal proposito si veda Larsen C.A., P. Vesan (2012), Why public employment services always fail? The double asymmetric information problem and the market of low-skill workers, Public Administration, giugno, 466-79.);
b) manca ancora l’avviso pubblico dell’Inps per i bonus occupazionali;
c) la crisi continua a mordere e questo ovviamente non può essere imputato al cattivo funzionamento del programma.
Due mesi possono essere già tanti oppure ancora pochi. Di certo non sono troppi per una strategia bicefala qual è la Garanzia per i Giovani in Italia. Da un lato, infatti, essa cerca di perseguire una terapia shock, di breve periodo, per affrontare di petto il fenomeno dei Neet. Dall’altro, la GG si pone anche un obiettivo ambizioso di medio periodo, e di certo non secondario, quale l’avvio della costituzione di un sistema nazionale di politiche attive e servizi per l’impiego (P. Vesan (2014), La Garanzia per i giovani: una seconda chance per le politiche attive del lavoro in Italia?, Politiche sociali, in corso di pubblicazione). In entrambi i casi, la GG non è e non sarà una condizione sufficiente per raggiungere questi due obiettivi. Ma rimane pur sempre un’occasione unica per tentare di fare seriamente qualcosa.
I dati del recente monitoraggio realizzato dalla Struttura di missione indicano perlomeno una chiara direzione di marcia, seppur non contemplata come specifico investimento dalla GG: occorre sviluppare efficaci servizi alle imprese in modo da poter migliorare lo scambio di informazioni e il livello di cooperazione (anche per evitare infruttuosi "scaricabarile"). Inoltre appare importante, quanto ovvio, il rilancio delle politiche di crescita. Altrimenti qualsiasi Garanzia rischia di rimanere lettera (quasi) morta, in grado al massimo di mobilitare i giovani solo a fronte di generiche intenzioni.
Il Ministero ha avviato una campagna informativa ad hoc rivolta alle imprese e proseguirà in questa direzione. Ovviamente è un primo passo, ma non basta. Rimane inoltre da comprendere quale ruolo i sindacati possono giocare in questa partita, i quali già dichiarano che i panni di osservatori esterni finora indossati sono troppo stretti.
Questa è dunque la situazione a due mesi dall’avvio della Garanzia per i Giovani. Ma cosa possiamo dire delle scelte di investimento effettuate dalle regioni italiane?
Da una prima analisi di come sono state ripartite le risorse sulle nove misure target della GG (tab. 1) , circa il 42% degli 1,4 miliardi di euro assegnati alle regioni è stato stanziato per attività di formazione e di tirocinio extra-curriculare. Seguono gli investimenti in servizi connessi all’accompagnamento al lavoro e ai bonus occupazionali. Osservando la ripartizione su base macro-regionale, nelle regioni meridionali spicca la voce servizi di accoglienza e orientamento, la quale si assesta al 16,3% del totale delle risorse disponibili, contro percentuali di dieci punti inferiori registrate al Centro-Nord. Al contrario, al Sud la quota parte di risorse destinate ai tirocini è pari a circa la metà di quanto viene fatto dalle regioni settentrionali.
Tabella 1. Gli investimenti regionali della GG per macro aree – dati percentuali.
Fonte: nostra elaborazione su dati Italia Lavoro S.P.A.
Anche a livello delle singole regioni emergono alcune peculiarità (c.f. tabella 2 in allegato).
Il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta hanno concentrato più della metà delle risorse nei tirocini, mentre il Piemonte investe circa il 45% del suo budget nella formazione.
La Lombardia è la regione che intende riservare la più alta quota parte di risorse ai bonus occupazionali (circa il 30%), seguita dal Lazio (26%).
Quasi tutte le regioni investono poche risorse della GG sull’apprendistato, dichiarando di voler attingere ad altri finanziamenti, con la sola eccezione della provincia di Trento (26% del totale delle risorse), a cui seguono la Basilicata e la Calabria (rispettivamente il 22,3% e il 15,7% delle risorse a loro assegnate).
Un’attenzione particolare al servizio civile è invece riservata dalla Toscana (ben 28,5% delle sue risorse) e dal Molise (22%), mentre la Campagna e la Sicilia dedicano più del 23% del loro budget ai servizi di accoglienza e primo orientamento.
Emerge dunque con chiarezza la forte eterogeneità nelle scelte intraprese dalle varie amministrazioni regionali, pur tenendo presente che tali strategie di investimento risentono, come dicevamo, della possibilità di attingere ad altri fondi per finanziare misure rivolte agli stessi target della GG.
Se tale eterogeneità risponda a precise scelte strategiche calate sulle peculiarità dei mercati del lavoro locali, oppure alla "logica del calderone", dove le varie iniziative perseguono, quando va bene, decisioni di comodo, volte a riprodurre prassi amministrative già consolidate, e, quando va male, logiche squisitamente clientelari, appare una questione degna di approfondimento. Certo è che gli usual suspects sono sempre i primi ad essere indiziati.
L’effettiva applicazione dei principi di contendibilità e di premialità, nonché il ricorso alla rendicontazione per unità di costi standard potrebbe aiutare a contenere (perlomeno rispetto al passato) la cattura delle risorse disponibili a fini particolaristici. Ovviamente la rigorosa applicazione di tali principi potrebbe risultare particolarmente demanding, sia per gli attori pubblici, sia per i soggetti privati coinvolti, aprendo la strada a due opposti scenari. Il primo è lo scenario dell’inerzia, dove i finanziamenti non verranno alla fine utilizzati. L’altro è lo scenario della "best practice", tale per cui l’amministrazione pur virtuosa delle risorse rischia di rimanere intrappolata in una logica sperimentale, che condanna le iniziative cofinanziate dai fondi europei a un impatto circoscritto nel tempo e nello spazio, senza veramente riuscire a forzare il sistema nel suo complesso.