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La legge di stabilità 2017 predisposta dal Governo Renzi, attualmente in discussione in Parlamento, è ricca di bonus e sostegni monetari alle famiglie, ai lavoratori ed ai pensionati. Questa tipologia di interventi hanno caratterizzato, negli ultimi anni, le politiche del Governo aggiungendosi ad un sistema di welfare sociale già molto sbilanciato sul fronte dei trasferimenti monetari. Ma siamo sicuri che questi siano adeguati per il nostro Paese?


I bonus sono efficaci? La lezione degli 80 euro

Queste misure sono efficaci? Che effetti hanno prodotto? Ci sono delle controindicazioni? Nella legge di stabilità 2017 si introducono nuovi bonus come il bonus bebè ed il bonus asili nido, che effetti genereranno?

Il tema è complesso ed articolato, tuttavia in una recente audizione al Senato incentrata sui temi del welfare l’Istat ha fatto un primo bilancio, per il 2015, del bonus da 80 euro a sostegno del reddito dei lavoratori introdotto dal Governo Renzi. Nel suo intervento il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha evidenziato come solamente un terzo della spesa totale per il bonus è destinato a beneficiari che vivono in famiglie collocate nei due quinti con il reddito più basso, mentre la restante parte della spesa viene erogata a lavoratori che vivono in nuclei famigliari con redditi medi e medio alti. Gli obiettivi dichiarati di questa misura, che ad oggi rappresenta, per importo, il più importante intervento in ambito sociale realizzato negli ultimi anni, erano essenzialmente due: in primo luogo un obiettivo di “equità” cioè sostenere il reddito dei lavoratori con redditi bassi e medio bassi; in secondo luogo un obiettivo di “crescita”, cioè sostenere la crescita del Pil alimentando la domanda interna delle famiglie.

Sul fronte dell’equità, i dati mostrano come i risultati degli “80 euro” sono limitati in quanto: in primo luogo i 2/3 dei trasferimenti monetari sono stati percepiti da nuclei famigliari con redditi medi e medio alti; in secondo luogo il bonus, avendo lo stesso valore per tutti i beneficiari, tratta in modo uniforme situazioni differenti che avrebbero bisogno di sostegni personalizzati e di differente intensità, ad esempio modulando il sostegno monetario in modo inversamente proporzionale al reddito familiare.

Sul fronte della crescita, le evidenze empiriche mostrano come l’impatto sulla domanda degli “80 euro” è stato ridotto. Questo perché i redditi bassi e medio bassi hanno speso la gran parte del bonus percepito, mentre le famiglie con redditi medi e medio alti non hanno modificato le proprie scelte di consumo in base al bonus che ha avuto, sul loro reddito familiare, un’incidenza estremamente contenuta.

Ad una prima valutazione della misura possiamo quindi affermare che il bonus da 80 euro, non prendendo in considerazione il reddito dei nuclei familiari ma quello dei singoli lavoratori, risulta essere un intervento particolarmente iniquo sul fronte del sostegno ai redditi più deboli e di limitata efficacia per il rilancio della domanda delle famiglie.


Quali effetti avranno i bonus a sostegno delle famiglie previsti nella legge di stabilità?

Come abbiamo anticipato, nella legge di stabilità 2017 si prevede l’introduzione di altri bonus, a sostegno delle famiglie e della natalità come il bonus bebè ed il bonus asili nido. I contorni di queste misure non sono ancora definiti nel dettaglio, tuttavia, sembrano essere interventi non selettivi che anziché puntare sul rafforzamento dei servizi garantiti alle famiglie dallo Stato e dai Comuni monetizzano il bisogno. Sulla base delle esperienze pregresse è possibile prevedere che sia in termini di equità che in termini di crescita economica anche questi ulteriori bonus rischiano di produrre risultati estremamente limitati.

Sul fronte dell’equità entrambe le misure sembra che potrebbero trattare tutte le famiglie in modo eguale e quindi potrebbero trasferire una parte consistente delle risorse a nuclei famigliari con redditi medi ed alti, rappresentando inoltre un supporto limitato ed insufficiente per quelle famiglie con figli che hanno redditi bassi o sono in condizione di povertà.

Anche sul fronte della crescita questi interventi rischiano di essere un “buco nell’acqua” perché rappresentano un incentivo estremamente contenuto al rafforzamento dei servizi per la prima infanzia in quanto, anche in considerazione dell’esiguità dei trasferimenti monetari, solamente una parte limitata delle famiglie che percepirà il bonus lo utilizzerà per aumentare la domanda di servizi.


La logica di fondo dei bonus

Crediamo che alla base di queste scelte ci sia l’idea per cui il modo più efficiente per dare risposte ai bisogni sociali ed assistenziali è trasferire risorse monetarie ai cittadini, lasciando poi le persone libere di scegliere come impiegare queste risorse acquistando servizi sul mercato. In questo schema lo Stato risponde ai bisogni dei cittadini utilizzando gli strumenti, i meccanismi e le logiche di mercato.

È interessante osservare come, nel momento in cui sono sempre più evidenti i limiti dei mercati nel garantire il benessere sociale, l’equità e la stabilità dei sistemi economici, con i bonus lo Stato rinuncia a svolgere un ruolo di regia e programmazione e lascia al mercato il compito di trovare soluzioni adeguate ai bisogni delle famiglie. Queste risposte, come è già accaduto nel settore della cura degli anziani, lasciano ampio spazio all’economia informale comprimendo i diritti dei lavoratori e riducendo la qualità delle prestazioni.

In virtù di queste considerazioni i bonus rischiano di diventare una grande “occasione persa” per il Paese in cui, a fronte di una significativa spesa sociale aggiuntiva effettuata dallo Stato non corrispondono adeguati risultati né in termini di un potenziamento dei servizi di welfare né in termini di crescita economica ed occupazionale.


Una proposta alternativa

Se una parte delle risorse utilizzate per i vari bonus venisse impiegata per potenziare la rete dei servizi per l’infanzia si potrebbero innescare processi virtuosi capaci di garantire diritti ai bambini ed alle giovani coppie incentivando la partecipazione femminile al mercato del lavoro, combinando crescita economica e sviluppo occupazionale. Se ad esempio, venisse istituito un fondo da 1 miliardo di euro su base nazionale, destinato al cofinanziamento dell’80% delle rette di nuovi asili nido, aggiuntivi rispetto a quelli già presenti, tale fondo consentirebbe di attivare su tutto il territorio nazionale:

  1. Circa 150 mila nuovi posti nido a cui potrebbero accedere anche le famiglie con redditi bassi e medio bassi oggi escluse dai servizi esistenti;
  2. Circa 25 mila nuovi posti di lavoro, rappresentati dalle educatrici e dal personale impiegato nei nidi;
  3. Investimenti privati per circa 1 miliardo di euro realizzati per costruire i nuovi asili nido o ristrutturare gli edifici esistenti trasformandoli in asili, valorizzando una parte del patrimonio immobiliare invenduto;
  4. Nuove partnership tra amministrazioni pubbliche e cooperative sociali, in cui le amministrazioni ampliano l’offerta di servizi per l’infanzia e svolgono un ruolo di programmazione mentre le cooperative sociali realizzano gli investimenti necessari per la realizzazione dei nuovi nidi e si impegnano nella gestione degli stessi;
  5. La sperimentazione di nuova generazione di servizi per l’infanzia maggiormente flessibili e modulari in grado di rispondere meglio alle esigenze delle nuove famiglie;

L’introduzione di un fondo nazionale che finanzi i servizi per l’infanzia favorirebbe inoltre l’introduzione di questa tipologia di servizi in aree del paese in cui oggi questi servizi sono assenti.
Le risorse economiche ci sono bisogna avere il coraggio di invertire la rotta, innovare e sperimentare nuove soluzioni!