In Europa 123 milioni di persone (24,5% della popolazione), 1 su 4, sono a rischio povertà. È questo il quadro drammatico dato dal terzo Rapporto di monitoraggio dell’impatto della crisi economica nei sette “Paesi deboli” dell’Unione Europea (Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda, Romania, Cipro), curato da Caritas Europa e presentato lo scorso 19 febbraio a Roma presso la Sala Stampa Esteri alla presenza di Lieve Fransen, direttore per le politiche sociali ed Europa 2020 presso la Direzione Generale Occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione Europea.
Il rapporto, che contiene una serie di dati, testimonianze e raccomandazioni rivolte ai governi nazionali e alle autorità europee, in merito alla povertà e all’esclusione sociale, spiega come la crisi economica sia aggravata dalle politiche di austerity e di spending review messe in atto in numerosi Paesi dell’Unione. L’Europa, che si era impegnata a diminuire il numero dei poveri entro il 2020 al contrario ne ha aumentato il numero: “Dovevano diventare 96,4 milioni entro il 2020, ossia 20 milioni di poveri in meno”, ha precisato Walter Nanni, responsabile dell’Ufficio studi di Caritas italiana, “sono invece aumentati. Viene da chiedersi se la medicina messa in campo per colpire la malattia non abbia invece ucciso il paziente”. Così “I tagli ai servizi pubblici essenziali hanno pesato sui più poveri, creando maggiori disuguaglianze”, ha concluso Nanni.
Nel Rapporto di Caritas si evidenzia la crescita delle persone a rischio povertà gravemente indigenti, la disoccupazione soprattutto giovanile, le famiglie in cui non si lavora come si dovrebbe (aumentano lavori precari e part time), i giovani che non studiano né lavoro, la dispersione scolastica, l’impossibilità di pagare le cure mediche. Infatti, nonostante alcuni segnali di ripresa registrati nei macro indicatori economici nel corso dei primi mesi del 2014, gli effetti della crisi appaiono ancora molto forti e persistenti.
Le conseguenze della crisi sul mercato del lavoro
Dal 2012 al 2013 il tasso di disoccupazione è passato dal 10,4 al 10,8% della popolazione europea in età attiva. Nell’Unione a 28 Stati (aprile 2014), erano più di 25 milioni i cittadini privi di lavoro (8,4 milioni in più rispetto al dato pre-crisi del 2008). Le persone più colpite sono quelle con bassi livelli di istruzione e i giovani (sono oltre 5 milioni di disoccupati sotto i 25 anni, pari al 22,5%). Aumenta dal 2012 al 2013 il fenomeno della disoccupazione di “lungo periodo”: nel 2013, il 49,4% dei disoccupati europei era tale da più di un anno (44% nel 2011). Nei sette Paesi caso-studio tutti gli indicatori di disoccupazione sono molto superiori alla media europea: 16,9% il tasso di disoccupazione (10,8% valore UE28); 55,9% il tasso di disoccupazione di lungo periodo (49,4% UE28); 40,2% il tasso di disoccupazione giovanile (23,4% UE28).
Preoccupante l’esplosione dei Neet 15-24enni nei sette Paesi caso studio: mentre a livello UE28 il tasso dei Neet è pari al 13%, nei Paesi deboli il valore è superiore (18,1%), con l’Italia che conquista il triste primato di paese dell’UE28 con il più elevato tasso di giovani che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in attività di formazione. La disoccupazione è particolarmente grave in Grecia: 27,3% la disoccupazione generale, 70,9% la disoccupazione di lungo periodo e 58,3% la disoccupazione giovanile. La Romania si distingue invece per bassi livelli di disoccupazione generale (7,3%), ma non di disoccupazione di lungo periodo (47,9%) e giovanile (23,6%). In Italia, nel 2013, il tasso di disoccupazione generale era inferiore alla media dei sette Paesi deboli (12,2%), ma superiore alla media europea, mentre la disoccupazione giovanile appare più grave della media europea (40% dei 15-24enni).
Dal 2012 al 2013 il tasso di occupazione nell’UE28 è rimasto stabile (68,4%), ma in costante calo rispetto al dato pre-crisi (70,3%). Nei sette Paesi caso-studio il tasso di occupazione è pari al 61,2%, inferiore rispetto alla media europea e lontano dalla situazione pre-crisi (69,2% nel 2008); Anche se nei primi mesi del 2014, in alcune nazioni, il tasso di occupazione sembra mostrare segnali di ripresa, l’approfondimento dei dati indica una tendenza ad una precarizzazione del lavoro, ad una diminuzione delle ore lavorate, ad un incremento del tasso di lavoro part-time.
Tabella 1. Indicatori di povertà ed esclusione sociale (2013)
Fonte: Eurostat; * dati riferiti al 2012
Gli effetti su povertà e sostegno al reddito
In tema di povertà e di esclusione sociale, si evidenzia una Europa a due velocità: alla fine del 2013 il 24,5% della popolazione europea (122,6 milioni di persone, un quarto del totale) era a rischio di povertà o esclusione sociale (1,8 milioni in meno rispetto al 2012). Nei sette Paesi caso studio lo stesso fenomeno coinvolge il 31% della popolazione residente, (+6,5 punti percentuali rispetto alla media UE28). L’Italia si posiziona su valori intermedi (28,4%). Il valore molto elevato della Romania (40,4%) dimostra come anche in presenza di alti tassi di occupazione la povertà possa comunque essere rilevante (in work poverty).
La deprivazione materiale: dal 2012 al 2013 la povertà “assoluta” è diminuita di poco: dal 9,9 al 9,6% della popolazione nell’UE a 28 Stati. Tra i Paesi deboli, il fenomeno è allarmante (14,9% nel 2013) e stabile (16,1% nel 2012), con punte massime in Romania (28,5%) e in Grecia (20,3%).
Nonostante l’incidenza della povertà “nel lavoro”, il numero di persone che vive in famiglie quasi totalmente prive di lavoro è comunque aumentato in tutti i Paesi caso studio (fatta eccezione per la Romania): erano il 12,3% nel 2012 e sono diventate il 13,5% nel 2013 (la media UE28 era pari al 10,5 nel 2012 e al 10,7% nel 2013).
I tagli a servizi pubblici e assistenza sociale
Numerose situazioni di povertà o di esclusione sociale sono state provocate o aggravate dalle politiche di austerity messe in atto dai governi nazionali, in risposta alle richieste di contenimento della spesa pubblica sollecitate dall’Unione Europea. I tagli subiti nei servizi pubblici hanno pesato maggiormente sulla popolazione a rischio di povertà, priva delle risorse necessarie per compensare tali riduzioni di spesa. Alcune delle conseguenze sociali delle misure di austerity saranno misurabili solamente nel medio-lungo periodo, in quanto molti tagli si sono abbattuti su servizi di taglio preventivo.
Sono diverse le testimonianze delle Caritas nazionali sull’entità e gli effetti dei tagli. Nel settore dell’assistenza socio-sanitaria, dal 2012 al 2013, vi è stato un forte declino della spesa sanitaria procapite, soprattutto in Grecia (-11,1%) e in Irlanda (-6,6%). In Italia la riduzione è stata pari allo 0,4%. Aumenta il numero di cittadini europei che rinunciano a cure mediche essenziali, a causa della necessità di partecipare economicamente alla spesa (22,8% in media nei sette Paesi caso-studio). Tale fenomeno si riflette nella domanda sociale che giunge alle Caritas: nel corso del 2013, in Italia, il 10,5% degli utenti dei Centri di Ascolto ha richiesto una prestazione assistenziale di tipo sanitario, altrimenti erogabile dal servizio pubblico (+6 punti percentuali rispetto all’anno precedente).
Altre conseguenze sono misurabili nel settore delle politiche educative/formative: nonostante le evidenze scientifiche dimostrino il forte legame tra povertà e basso livello di educazione, in numerosi Paesi dell’Unione sono stati effettuati dei tagli alle spese scolastiche e parascolastiche (sussidi per i libri scolastici, costo delle refezioni scolastiche, sostegno agli allievi con bisogni educativi speciali, ecc.). Questo tipo di tagli ha portato in alcuni casi alla riduzione della frequenza e ad un aumento della dispersione scolastica (si stima che in Romania, a causa dei forti tagli al budget scolastico e ai sussidi per l’istruzione, la popolazione scolastica sia diminuita del 9,4%, dal 2010 al 2014).
La risposta di Caritas
Le Caritas interpellate nel Rapporto offrono diverse forme di riposta alla crisi economica. Non manca in nessuno dei Paesi coinvolti l’erogazione di aiuto materiale, più evidente nel caso di Cipro, Romania e Grecia, mentre nelle Caritas più strutturate e di più antica istituzione (Spagna, Italia, Portogallo), l’azione di solidarietà materiale si accompagna ad attività di animazione pastorale, accompagnamento formativo, di studio e ricerca, sensibilizzazione, lobby e advocacy, ecc.
In Italia l’azione Caritas si esplica attraverso 1.148 iniziative anticrisi. Dal 2010 ad oggi le iniziative diocesane risultano pressoché raddoppiate (+ 99,0%). Sono 139 gli sportelli diocesani di consulenza/orientamento al lavoro, mentre sul fronte casa risultano attivi servizi informativi presso 68 diocesi. Gli empori solidali/botteghe di vendita sono presenti in 109 diocesi (+70%). Aumentano i progetti di taglio sperimentale o innovativo, che passano da 121 nel 2012 a 215 nel 2013 (+77,7%).
Nel corso del 2013 Caritas Italiana ha attivato un “fondo straordinario anticrisi”, rivolto a sostenere le Caritas diocesane nella realizzazione di interventi di contrasto alla crisi economica, nel settore dell’abitazione, del lavoro, delle spese di prima necessità, del sostegno al credito. Da giugno a dicembre 2013, il 76% delle Caritas diocesane ha presentato richiesta di rimborso per tali attività, per un importo pari a 5 milioni 650 mila euro. Fra le tipologie di spese sostenute prevalgono i contributi al reddito (che assorbono il 39,6% dell’ammontare complessivo di spese rimborsate), seguiti dall’acquisto di beni di prima necessità (32%). Al Sud hanno prevalso nettamente le spese destinate alla costituzione di fondi di garanzia presso istituti bancari per la realizzazione di attività di microcredito, all’erogazione di contributi al reddito e per il sostegno alle esigenze abitative. Al Nord risultano invece prevalenti le spese per i voucher lavoro.
Raccomandazioni e proposte
Dopo sette anni dall’inizio della crisi, ha fatto notare durante la presentazione del rapporto Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas Italiana, “in tutta Europa la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni stanno diminuendo, il rischio di razzismi e odio è in aumento, e anche l’Italia è un Paese più povero e meno giusto”, da qui la proposta di “una revisione complessiva del modello sociale per una migliore giustizia sociale”. Il rapporto, quindi, si chiude con una serie di articolate proposte, basate sull’esperienza sul campo dell’organismo della Chiesa Cattolica, che Caritas Europa propone ai governo nazionali ed all’Unione Europea.
Alle istituzioni europee e alla Commissione Europea
- Assumere una forte regia della Strategia Europa 2020 e del semestre europeo;
- Dare maggiore coerenza alla Politica Europea e al semestre Europeo;
- Migliorare e integrare le azioni di monitoraggio sociale all’interno del ciclo del semestre europeo;
- Introdurre monitoraggio e valutazione sociale per i Paesi inclusi in Programmi di assistenza;
- Introdurre una maggiore trasparenza in relazione all’operato della Troika (Ce/Bce/Fmi);
- Favorire, tramite specifica direttiva quadro, l’introduzione di un sistema di reddito minimo nell’Ue, al fine di contrastare in modo efficace la povertà e favorire l’inclusione nel mercato del lavoro;
- Maggiori risorse e maggiore priorità ai Fondi strutturali;
- Assumere una forte regia nello sviluppo di politiche e nel monitoraggio della povertà infantile;
- Rendere disponibili ulteriori fondi per la disoccupazione giovanile e migliorare l’implementazione del programma “Garanzia giovani”;
- Guidare e favorire lo sviluppo dell’economia sociale;
- Coniugare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione del deficit con una crescita sostenibile;
- Includere il criterio del rispetto dei diritti umani nell’attivazione di progetti europei;
- Garantire strutture di governance inclusive, con coinvolgimento delle parti interessate.
Ai governi nazionali e autorità locali competenti
- Dare priorità agli investimenti su vasta scala, pluriennali e mirati ad aree ad alta intensità di lavoro;
- Poverty-proof: tutte le decisioni dei governi dovrebbero essere sottoposte a un processo di verifica, che assicuri che le azioni promosse non vadano ad aggravare il livello di povertà;
- Rafforzare i sistemi di sicurezza sociale;
- Investire in servizi di qualità e introdurre verifiche sociali sulle misure di risanamento economico;
- Adottare misure di protezione del mercato del lavoro;
- Definire misure di tassazione proporzionali alle capacità reddituali dei cittadini;
- Combattere l’evasione fiscale;
- Esplorare nuove forme di cooperazione pubblico-privato per creare nuovi posti di lavoro, lavori socialmente utili e di ultima istanza, sostenuti dalle amministrazioni pubbliche;
- Assicurare un reddito minimo garantito per tutti;
- Assicurare una governance inclusiva e partecipativa delle politiche sociali;
- Assicurare il monitoraggio e la valutazione di impatto sociale di ogni misura legislativa;
- Trarre il massimo beneficio dagli aspetti sociali della programmazione dei fondi europei.
Riferimenti
Il rapporto di Caritas Europa "Poverty and Inequalities on the Rise"
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