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Il Compact è un interessante accordo, siglato nel 1998 dal governo di Tony Blair, che regola i rapporti intercorrenti tra la pubblica amministrazione inglese e le organizzazioni del Terzo settore in materia di politiche sociali. “Compact” significa letteralmente “patto”, “accordo”, ma è anche il termine con cui nel Regno Unito si fa riferimento al documento sopra citato (e alle sue successive modifiche) e, contemporaneamente, al sistema di governance, politics e social policies sviluppatosi seguendo i principi contenuti in tale documento.

Governo e Terzo settore nel Regno Unito: un rapporto difficoltoso

Il Terzo settore nel Regno Unito, quanto meno fino all’inizio degli anni Ottanta, è stato visto con una certo sospetto dalle forze politiche che si sono alternate alla guida del Paese dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Da un lato, larga parte del partito laburista riteneva che il Terzo settore andasse contro i principi statalisti e centralizzatori propri del labour party e che, pertanto, non dovesse essere sostenuto o avvantaggiato in alcun modo. Dall’altro lato, i conservatori ritenevano che il ruolo del settore non profit fosse del tutto marginale, trascurabile sia dal punto di vista economico che sociale e, pertanto, ininfluente anche da quello politico. In una posizione simile a quella dei tories si trovavano i liberaldemocratici i quali, tuttavia, fino al 2010 non hanno ricoperto alcun ruolo di governo (le ragioni di questa “ostilità” trasversale, in realtà molto più articolate e sfumate, sono trattare in maniera più approfondita nella recensione del volume “The Ages of Voluntarism”, presente su questo sito).

Solo nel corso degli anni Ottanta, con i governi di Margareth Thatcher, il Terzo settore ha iniziato ad essere percepito non solo come un’espressione della società civile di cui tener conto, ma anche come soggetto in grado di svolgere un ruolo economicamente significativo per il Regno Unito. In particolare nel corso del secondo mandato (1983-1987), durante il quale la spinta liberalizzatrice si fece più intensa, e del terzo (1987-1990), in cui invece furono le riforme sociali a costituire una parte consistente del programma di governo, il Terzo settore emerse come attore in grado di svolgere un ruolo rilevante in un ottica di liberalizzazione, diventando un soggetto importante nel panorama dei quasi-mercati. I governi tories, che guidarono il Regno Unito fino alla seconda metà degli anni Novanta, mantennero tuttavia una posizione ambigua nei confronti delle organizzazioni del Terzo settore. Se infatti queste erano ritenute in grado di svolgere un ruolo significativo, sia dal punto di vista sociale che economico, non vi era nei loro confronti un riconoscimento formale, né una chiara volontà di coinvolgimento diretto nelle decisioni relative alle politiche sociali del Paese. Le organizzazioni del Terzo settore arrivarono dunque ad essere considerate realtà particolarmente rilevanti per la vita della Gran Bretagna, addirittura in grado di affiancare o sostituire lo Stato nella fornitura di servizi precedentemente gestiti dal settore pubblico. Allo stesso tempo da parte governativa non si rilevava tuttavia la volontà di dare a tali organizzazioni un ruolo più attivo, ovvero di coinvolgerle direttamente nella creazione, implementazione e valutazione delle politiche sociali in cui erano chiamate ad operare.

La volontà di formalizzare i rapporti tra Terzo settore e Governo

Nel corso degli anni Novanta si è assistito, anche grazie alle favorevoli politiche varate dai governi in carica, ad un ulteriore sviluppo del Terzo settore in termini numerici, economici, sociali e culturali. Tale crescita è stata accompagnata dalla richiesta di molte organizzazioni appartenenti al settore non profit di strutturare e sviluppare i propri rapporti con la pubblica amministrazione. In particolare nel 1995 il National Council for Voluntary Organisations (NCVO) la più grande associazione di rappresentanza del Terzo settore inglese, attraverso la costituzione della Commission on the Future of Voluntary Sector (nota anche come Commissione Deakin) si occupò di approfondire i temi legati allo sviluppo del settore non profit in Inghilterra. La commissione, presentando i risultati della propria inchiesta, sottolineò come l’enorme vitalità della società civile inglese, evidente soprattutto nella sua parte legata al mondo del volontariato, dovesse essere oggetto di una maggiore e rinnovata attenzione da parte del Governo. Tale obiettivo tuttavia, sottolineava il rapporto finale della Commissione, avrebbe dovuto essere raggiunto senza precludere l’indipendenza e la flessibilità delle organizzazioni del Terzo settore, che proprio grazie alla loro autonomia erano state in grado di svilupparsi in ambiti socialmente complessi, in particolare quelli in cui la presenza di strutture governative risultava scarsa o poco incisiva.

Per instaurare relazioni durature e proficue la Commissione Deakin consigliò la creazione di un accordo che prevedesse principi e linee guida, ricavabili dalle esperienze descritte dal rapporto stesso, che fossero valide tanto per il Terzo Settore quanto per il governo. La commissione indicò nel concordat – una tipologia di accordo molto utilizzata in Gran Bretagna nel corso degli anni Novanta per sviluppare relazioni informali tra diversi livelli amministrativi, che punta a codificare processi consolidati nella prassi ma privi di una cornice formale di riferimento – la modalità privilegiata per il raggiungimento di tale scopo. Il governo Major, tuttavia, decise di non prendere in considerazione tali proposte, ritenendo che la natura del Terzo settore, giudicato complesso e disomogeneo, non rendesse necessario un accordo formale.

Di diverso avviso fu invece il New Labour Party che, seguendo i principi della “terza via” impostata da Blair, fece proprie le proposte espresse dalla Commissione Deakin. In vista della campagna elettorale per le elezioni politiche del 1997 venne pubblicato Building the future together, un rapporto inerente le attività e le potenzialità del Terzo settore, in cui le richieste provenienti dalla Commissione venivano sostenute e in parte addirittura rafforzate.

La nascita del Compact

Dopo la vittoria alle consultazioni del 1997 Blair cercò fin da subito di concretizzare gli impegni assunti durante la campagna elettorale. Nei giorni immediatamente successivi l’insediamento del governo iniziarono i lavori per il rinnovamento delle strutture amministrative responsabili delle relazioni col Terzo Settore e quelli per la creazione del concordat richiesto dal mondo del non profit. A questo scopo venne costituito il Working Group on Government Relations, composto dalle 65 maggiori organizzazioni del Terzo settore appartenenti al NCVO e da esponenti della pubblica amministrazione. Il Workin Group raccolse migliaia di proposte provenienti dalle organizzazioni e dalla società civile in generale, e si impegnò affinché il testo finale fosse il più possibile espressione delle richieste provenienti dal mondo del privato non profit.

Nel novembre 1998, sulla base del lavoro svolto dal Working Group, venne infine pubblicata la prima versione del Compact. Il documento si rivolgeva ai dipartimenti del governo centrale (inclusi uffici regionali e agenzie esecutive sparse sul territorio) e alle organizzazioni del “Volontary and Community Sector”, senza tuttavia prevedere per tali soggetti vincoli legali o sanzioni legate al mancato rispetto dell’accordo. Nessuna legge o regolamento costringeva infatti la pubblica amministrazione, né tanto meno le organizzazioni del Terzo settore, al rispetto dei principi contenuti nel documento. L’autorità del concordat era ritenuta già assicurata attraverso altri strumenti: il pieno appoggio del Governo al testo da un lato, e il ruolo svolto dalle associazioni del Terzo settore durante le consultazioni per la stesura dello stesso dall’altro, garantivano un grado di condivisone tale da non richiedere ulteriori garanzie. Piuttosto che da cavilli legali la forza del Compact era considerata garantita dal forte sostegno bipartisan al progetto.

A causa del concomitante processo di devolution, varato nella seconda metà del 1997, il Compact si rivolgeva, e si rivolge tuttora, alle sole organizzazioni del Terzo settore e alle pubbliche amministrazioni che operano sul territorio inglese. Le restanti nazioni che compongono il Regno Unito, poiché titolari a seguito del processo devolutivo di numerose competenze in materia sociale, non sono interessate dalle indicazioni contenute nel Compact. Galles, Scozia e Irlanda del Nord hanno tuttavia cercato di seguire l’esempio inglese adottando propri documenti aventi caratteristiche simili a quelle del Compact inglese.

Nel corso della sua storia il Compact è stato modificato due volte. Nel 2009 il governo Brown, a seguito di alcune consultazioni multilaterali, ritenne che il testo del 1998 e i relativi codici fossero da considerarsi ormai diffusi e applicati sia dalla pubblica amministrazione che dalle organizzazione del Terzo settore. Venne quindi creato un testo più snello e flessibile, denominato Refreshed Compact, volto a coinvolgere realtà non considerate dal documento originale, nel tentativo di estendere anche ad altre realtà la possibilità di aderire ai principi del Compact. Nel 2010 il neoeletto governo Cameron mise nuovamente mano al testo modificandolo in base al progetto Big Society, pietra angolare del programma tories sulle politiche sociali. Il nuovo testo, denominato Renewed Compact, pur modificando notevolmente la terminologia usata nelle precedenti versioni, mantenne invariati i principi contenuti sia nel documento del 1998 che in quello del 2009.

Il contenuto del Compact

Il Compact, come detto, rappresenta essenzialmente una dichiarazione di intenti, caratterizzata da standard generali di comportamento indirizzati sia al governo che al Terzo settore, che si propone di cambiare la cultura delle relazioni tra Governo e Voluntary Sector e favorire la collaborazione, in diversi ambiti e senza alcun obbligo di realizzazione, tra queste due realtà.

Il documento, in tutte le sue versioni, esprime innanzitutto le ragioni per cui il Terzo settore è ritenuto fondamentale per il sistema britannico, sottolineando il contributo da esso fornito per lo sviluppo sociale, culturale, economico e politico del Paese. Le organizzazioni non profit sono riconosciute come realtà in grado di agire in ambiti in cui il settore pubblico si muove con difficoltà o in cui la presenza dello Stato risulti meno incisiva di quella di strutture indipendenti, più radicate sul territorio e caratterizzate da un maggior grado d’esperienza rispetto all’apparato pubblico. Attraverso diverse modalità, correlate alle proprie caratteristiche e capacità, sia il Governo che il Terzo settore nel momento in cui affermano di voler aderire al testo si impegnano ad aumentare il grado di reciproca collaborazione e di trasparenza del proprio operato, tenendo conto in particolare di questi principi:

  • l’azione volontaria è elemento essenziale nella società democratica e l’attività delle varie realtà volontarie è fondamentale per lo sviluppo positivo della società nel suo insieme;
  • nello sviluppo e nell’implementazione delle politiche pubbliche e dei servizi il governo e il Terzo settore hanno ruoli distinti ma complementari;
  • lavorare in funzione di obiettivi chiari e condivisi conferisce un valore aggiunto alle azioni intraprese e, per questa ragione, creare occasioni di consultazione e collaborazione può portare a una relazione sempre più fruttuosa tra governo e Terzo settore;
  • nonostante governo e terzo settore presentino forme diverse di accountability e debbano rispondere a stakeholders differenti entrambi debbono garantire allo stesso modo oggettività, trasparenza, onestà e responsabilità delle proprie azioni;
  • il governo può svolgere, in forza della sua posizione, un ruolo importante nel finanziamento delle attività del Terzo settore e sarebbe quindi positivo il massimo sostegno possibile;
  • governo e Terzo settore riconoscono l’importanza della promozione di eguali opportunità per tutte le persone, senza distinzione di razza, età, disabilità, genere, orientamento sessuale o credo religioso.

Misure volte a favorire l’implementazione dei principi contenuti nel Compact

L’assenza di vincoli legali per l’applicazione dei principi sopra elencati non deve far pensare che non vi fosse interesse da parte dell’autorità e delle organizzazioni non profit ad applicarli nella maniera più ampia e rigorosa possibile. La genericità dei principi espressi rese tuttavia necessaria la stesura di una serie di documenti integrativi, denominati Codes of Good Practice, che delineassero più precisamente gli impegni assunti da governo e organizzazioni del Terzo settore attraverso l’adesione al Compact. I cinque codici, pubblicati nel periodo compreso tra il 2000 e il 2005, definivano specificamente modalità e procedure che apparato pubblico e Terzo settore avrebbero dovuto seguire per implementare correttamente il Compact.

1. Il primo codice ad essere pubblicato, nel 2000, fu il Funding Code, il quale stabiliva i criteri attraverso cui gli uffici governativi avrebbero potuto fornire prestiti e finanziamenti alle organizzazioni del Terzo settore, nonché le modalità con cui queste avrebbero potuto avanzare richieste in tale senso. Il codice tuttavia non trattava alcune problematiche che nella fase di implementazione sarebbe poi stato necessario affrontare (come ad esempio questioni relative ai contratti di servizio o alle carte dei servizi), il che rese necessaria la stesura di una nuova versione del documento, nel 2005, denominato Funding and Procurement Code of Good Practice.

2. Nel 2000 venne adottato il Consultation and Policy Appraisal Code e, che stabiliva le forme di consultazione e valutazione che avrebbero caratterizzato i rapporti tra Governo centrale e Terzo settore. La previsione di queste misure avrebbe dovuto permettere vantaggi sia per l’apparato governativo che per le organizzazioni non profit relativamente alle reciproche modalità di rapporto e comunicazione. Da un lato il governo sarebbe stato così in grado di attingere a una serie di esperienze e conoscenze, provenienti dalle associazioni di volontariato, pertanto non reperibili attraverso i tipici strumenti dell’azione pubblica, che avrebbero permesso di ottenere un know-how altrimenti irricevibile. Dall’altro lato le organizzazioni del terzo settore sarebbero state in grado di rapportarsi direttamente con il legislatore attraverso un nuovo canale privilegiato, che avrebbe permesso di influenzare le pubblic policies relative al proprio campo d’azione.

3. Nel 2001 venne pubblicato il Black and Minority Ethnic Voluntary and Community Sector Code, che specificava particolari impegni per il governo nei confronti delle minoranze etniche presenti nel Regno Unito. L’obiettivo del codice integrativo era in primo luogo la razionalizzazione dei rapporti tra l’apparato governativo e quelle realtà etnico-religiose organizzate in associazioni che col passare degli anni si erano sviluppate nel Paese. Il codice stabiliva misure di collaborazione volte a contrastare razzismo, ineguaglianza ed esclusione, ovvero tutti quegli elementi negativi che possono caratterizzare i rapporti delle minoranze sia con la società civile che con gli apparti del governo centrale. Il codice rientrava in una serie di progetti del Home Office (Ministero dell’Interno) volti al miglioramento delle relazioni con le Black and Minority Ethnic, e nello specifico cercava di migliorare i rapporti con le associazioni, le fondazioni e i gruppi organizzati su base etnica operanti sul territorio inglese.

4. Sempre del 2001 è il Volunteering Code. Attraverso questo codice vennero specificati molti degli impegni assunti da entrambe le parti per migliorare l’impatto del volontariato sulla società inglese. Il governo si sarebbe impegnato nella pubblicizzazione e valorizzazione delle attività di volontariato a fronte di un contributo delle organizzazione del Terzo settore alla creazioni di policies governative maggiormente incisive sulle tematiche direttamente legate al volontariato. Nel 2005 il codice è stato rivisto ed integrato con una sezione che si occupa della dimensione locale del volunteering.

5. Del 2003 è il Community Groups Code, ultimo dei cinque codici “originali”, che inquadrava parte delle relazioni tra l’apparato governativo e i Community Groups, ovvero tutti i rapporti intercorrenti tra il settore pubblico e i gruppi rappresentativi delle comunità locali.

Le indicazioni contenute nei codici, è giusto sottolinearlo nuovamente, non rappresentano un obbligo per gli aderenti dell’accordo, ma una serie di indicazioni che, se seguite, possono favorire lo sviluppo delle relazioni, e indirettamente delle politiche pubbliche, attuate all’interno del Paese.

L’implementazione del Compact da parte del Governo centrale

All’interno dei dipartimenti governativi che mantengono relazioni con la società civile, come mostra anche un recente rapporto del National Audit Office, l’implementazione del Compact appare ormai completa. Questo significa che i vari dipartimenti che costituiscono lo scheletro del governo britannico hanno recepito i principi del Compact e sono direttamente impegnati affinché gli atti e regolamenti prodotti, nonché le azioni del proprio personale, siano sempre attente e compatibili con le esigenze della società civile.

Nonostante si stia parlando di una pubblica amministrazione, la quale per sua stessa natura tende a dotarsi di strutture e procedure standardizzate, l’implementazione del Compact è avvenuta con modalità diverse da dipartimento a dipartimento. Alcuni dipartimenti hanno scelto di inserire nel proprio regolamento interno un esplicito riferimento al Compact, altri hanno deciso di attivare collegamenti diretti con le organizzazioni del Terzo settore, altri ancora hanno attivato specifici programmi volti al sostegno del volontariato. Anche in questo caso, pertanto, è stata lasciata massima libertà anche all’apparato pubblico nello scegliere se aderire ai principi del Compact e, in caso di scelta positiva, come aderirvi. I responsabili dei dipartimenti hanno avuto la possibilità di decidere quale modalità di implementazione adottare basandosi sulla realtà dei propri uffici, valutando diversamente le esigenze del proprio personale, le attività del proprio dicastero o il livello delle relazioni, più o meno intense, mantenute con la società civile.

L’implementazione dei principi del Compact all’interno della quasi totalità degli apparati del governo centrale sarebbe stata tuttavia molto più complicata senza l’azione svolta dall’Office for Civil Society (OCS). Quest’unità amministrativa che attualmente fa riferimento al Cabinet Office (il dipartimento alla dipendenze del Primo Ministro, simile alla nostra Presidenza del Consiglio) da quando esiste il Compact si è strutturata per aiutare i diversi segmenti del governo centrale ad aderire ai principi del Compact stesso. L’OCS svolge una doppia funzione. In primis funge da canale privilegiato per il mantenimento dei rapporti tra dipartimenti governativi e organizzazioni del Terzo settore, monitorando tutte le attività sviluppate sia dal settore pubblico che da quello privato non profit, e favorendo punti di incontro e dialogo tra queste due realtà. Questo significa che, nel caso in cui un’organizzazione del Terzo settore volesse prendere contatti con un ufficio pubblico che si occupa a vario titolo di social policies, l’Office for Civil Society rappresenta lo “sportello” a cui rivolgersi. Parimenti, se un apparato amministrativo del governo centrale necessita di maggiori informazioni su un organizzazione o un progetto non profit può rivolgersi all’OCS.
Secondariamente, l’Office for Civil Society svolge un’attività di promozione del principi del Compact all’interno dell’apparato pubblico e coordina i dipartimenti qualora questi debbano approvare misure riguardanti il Terzo settore. Quest’ultimo compito, col passare degli anni, è diventato progressivamente meno impegnativo: mano a mano che i diversi dipartimenti applicavano, ognuno con la propria modalità, i principi del Compact, il compito dell’OCS è stato sempre più quello di canalizzatore piuttosto che di promotore.

Lo sviluppo del Compact a livello locale

La versione originale del Compact si rivolgeva a tutti i dipartimenti del governo centrale e ai loro distaccamenti sul territorio mentre le autonomie locali, inizialmente, non erano considerate destinatarie dei contenuti del documento. Le ragioni di questa esclusione sono anch’esse riconducibili al complicato processo di devolution precedentemente citato, il cui stadio di avanzamento nel 1998 spinse coloro i quali si occuparono della stesura del Compact a glissare sul tema degli enti locali, rimandando nel futuro la definizione di linee guida per la sua implementazione a livello locale.

Tuttavia è proprio a livello locale, nonostante l’assenza iniziale di indicazioni relative a questo ambito, che l’impatto del Compact può risultare maggiormente visibile ed apprezzabile. In primo luogo perché tra il 70 e il 90% delle relazioni intercorrenti tra organizzazioni del Terzo settore e apparato pubblico si svolgono a livello locale. Secondariamente perché è a questo livello che le necessità provenienti dalla società civile sono percepite meglio e con più urgenza tanto dalle amministrazioni pubbliche quanto da coloro i quali, a diverso titolo, si occupano di problematiche sociali. Non deve quindi destare stupore il fatto che su tutto il territorio inglese, a partire dal 1999, iniziarono a sorgere in maniera del tutto spontanea i cosiddetti local compacts, versioni locali del documento nazionale.

I local compacts rappresentano la declinazione locale dei principi contenuti all’interno del Compact nazionale, e sono stati creati in base alle necessità proprie di ogni area dagli attori ivi operanti Questi documenti territoriali, che hanno assunto prevalentemente la forma giuridica del concordat (come il Compact nazionale) sono frutto dell’intesa tra i diversi livelli di governo locale, eventuali strutture del governo centrale presenti sul territorio interessato, forze dell’ordine, servizi di emergenza, vigili del fuoco, strutture locali del sistema sanitario nazionale ed, eventualmente, le associazioni di rappresentanza territoriale delle organizzazioni del Terzo settore presenti nell’area. Fermi restando i principi contenuti nel Compact nazionale (rispetto, onestà, collaborazione, indipendenza…) i diversi documenti territoriali si sono strutturati in base ai bisogni emergenti all’interno della comunità, determinando accorgimenti in grado di rispondere postiivamente alle esigenze della realtà locale. I local compacts si sono sviluppati in maniera totalmente spontanea, e solo in un secondo momento, a partire dal 2001, si è cercato di regolamentarne il loro sviluppo attraverso la creazione di indicazioni e linee guida che ne specificassero meglio struttura, funzioni ed obiettivi. Anche in questo caso si è cercato di tutelare l’assoluta libertà degli enti di seguire o meno i contributi forniti nel corso degli anni, preferendo mostrare come l’utilizzo di determinati accorgimenti abbia condotto allo sviluppo di local compacts di successo.

I dati relativi alla diffusione dei local compacts in Inghilterra sono paradossalmente incompleti. Nonostante la propensione anglosassone alla catalogazione e valutazione delle proprie public policies al 2012 non esiste un registro nazionale aggiornato dei local compacts o, se esiste, esso non né pubblico né accessibile. Perfino la Commission for the Compact, l’organismo che dal 2007 al 2011 si è occupata dell’implementazione del Compact a livello nazionale, non è in possesso di tali di informazioni. Questo fatto è spiegabile attraverso due motivazioni. Da un lato le diverse riforme degli enti locali susseguitesi dal 1997 ad oggi hanno portato all’abolizione di diversi enti locali (in special modo i metropolitan districts) e la creazione di nuovi enti più grandi in loro sostituzione (in particolare le unitary authorities) determinando la conseguente scomparsa di alcuni compact sviluppatisi al livello territoriale più “basso” e la nascita, assolutamente non immediata e non automatica, di nuovi allo stesso livello o “superiore”. In secondo luogo è da rilevare una “disattenzione” dei soggetti sottoscrittori dei local compacts i quali, una volta elaborato (o ri-elaborato) il proprio documento territoriale, hanno spesso omesso di comunicare ad apparati del governo centrale o ad altri enti che si occupavano della loro classificazione le modifiche apportare ai propri testi. I dati più recenti forniti da Compact Voice, organizzazione legata alla NCVO che si occupa di monitorare le iniziative legate allo sviluppo del Compact, parlano di 203 local compacts diffusi sulla quasi totalità del territorio inglese. Compact Voice oltre all’identificazione dei diversi local compacts si sta occupando anche della loro valutazione e classificazione. Molti di essi sono stati inseriti nella cosiddetta “Green Flags Map” (figura 1), iniziativa che punta a individuare, attraverso interviste alle associazioni, alle istituzioni e sulla base di informazioni già in possesso di Compact Voice, quei Compact locali che si sono distinti per le iniziative promosse sul proprio territorio o per la struttura organizzativa di cui si sono dotati.

 

Figura 1, Local compacts insieriti nella Green Flags Map

Fonte: Compact Voice website, 27 maggio 2012.

 

I local compacts si sono rivelati ottimi strumenti di governance in quanto in grado di coinvolgere, sia nel corso della loro stesura che nelle fasi di sviluppo e implementazione, un gran numero attori presenti sul territorio. I compact locali hanno infatti garantito a tutti gli attori del territorio uno spazio, creato su misura dagli stessi attori, in cui potersi confrontare, discutere e decidere periodicamente quali misure implementare per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Laddove i rapporti tra autorità locali e organizzazioni del Terzo settore erano già avviati o strutturati i local compacts sono stati sempre in grado di rafforzare i legami e favorire la collaborazione tra le due realtà, con indubbi benefici per la comunità. Laddove tali rapporti non esistevano, ne hanno invece favorito lo sviluppo, rivelatosi poi più o meno incisivo a seconda dell’impegno profuso dai soggetti coinvolti. Tali documenti non determinano, per loro stessa natura, obblighi o doveri per le parti aderenti, ma hanno l’indubbio merito di favorire l’incontro e la collaborazione tra coloro i quali operano per lo sviluppo del bene comune, creando strutture ad hoc in grado di favorire confronto e collaborazione.

Conclusioni

Il Compact, sia nella sua versione nazionale che nelle sue declinazioni locali, si caratterizza dunque per una natura giuridica assolutamente non vincolante, che tende a non imporre nulla a coloro i quali decidono di aderirvi. Questo fattore, che potrebbe apparire una debolezza, è in realtà la forza del Compact: i soggetti sottoscrittori dell’accordo decidono di mettersi insieme perché vi verificano una convenienza, un vantaggio nel perseguimento degli obiettivi che si sono posti, ed è per tale ragione che tendono al rispetto e all’applicazione dei principi che hanno scelto di seguire.

Questa libertà di adesione ha condotto a uno sviluppo, specialmente locale, di esperienze spontanee dimostratesi in grado di strutturare modelli di governance innovativi, in grado di rispondere alle esigenze del territorio perché pensati e strutturati dai soggetti operanti proprio su quel territorio. Questa scelta ha comportato la nascita di local compacts anche molto diversi fra loro, ma l’utilizzo di strumenti come Guidelines, Workbook e testi indicanti le best practices presenti nel Paese paiono aver parzialmente risolto anche questi problemi.

Dal punto di vista culturale, sociale, giuridico, economico e politico Italia e Regno Unito sono indubbiamente molto diversi, ma niente vieterebbe di prendere in considerazione l’esperienza del Compact anche nel nostro Paese. Se infatti un Paese come l’Inghilterra, in cui il principio di sussidiarietà è del tutto sconosciuto, è riuscito a creare al proprio interno esperienze spontanee in grado di coinvolgere non solo la società e le associazioni ma addirittura la pubblica amministrazione di ogni ordine e grado, cosa impedisce che anche nel nostro Paese possa verificarsi un simile sviluppo? La riforma del titolo V, spesso lo si dimentica, ha introdotto due forme di sussidiarietà: una verticale e una orizzontale. Mentre la prima viene spesso chiamata in causa e (malamente) applicata ed abusata, la secondo è tendenzialmente lasciata ai margini. E’ forse questa l’occasione, soprattutto per gli enti locali che vivono con grande difficoltà l’attuale crisi economica, di cercare vie alternative che possano permettere il coinvolgimento, secondo il principio di sussidiarietà orizzontale, di soggetti appartenenti alla società civile che hanno desiderio di sperimentare metodi innovativi di collaborazione come è, appunto, il Compact.

 

Riferimenti 

Bandera L. (2013), Il progetto Compact. Un laboratorio di secondo welfare nel Regno Unito, Working Paper 2WEL n. 2/2013, Centro Einaudi. 

Compact originale: Compact on Relations between Government and the Voluntary and Community Sector in England (1998). 

Refreshed Compact: The Compact on relations between Government and the Third Sector in England (2009).

Renewed Compact: The Coalition Government and civil society organisations working effectively in partnership for the benefit of communities and citizens in England (2010).

Rapporto finale della Commission for the Compact: Use it or lose it, a summative evaluation of the Compact (2010).

Sito del National Council for Voluntary Organisation (NCVO)

Sito del National Audit Office (NAO)

Sito di Compact Voice

 

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